Se il figlio si separa, la casa in comodato resta alla moglie e non torna ai genitori.

L’appartamento concesso in comodato al figlio, non torna ai genitori dopo la domanda di separazione dalla moglie, poiché, essendo destinato a casa coniugale, rimane al coniuge assegnatario fino alla raggiunta indipendenza economica dei figli. 
Lo ha disposto la Corte d’Appello di Napoli, seconda sezione civile, nella sentenza n. 3526/2015 del 26 agosto. 
 
L’attrice è un’anziana che aveva concesso in uso, ovvero in comodato precario, l’abitazione di sua esclusiva proprietà al figlio e alla sua sposa.
Iniziata la separazione giudiziale, il figlio faceva ritorno presso la piccola abitazione (di sua esclusiva proprietà) in cui vivevano i suoi anziani genitori, mentre la moglie continuava a detenere la casa vivendo con i bambini.
La madre, quindi, manifestava formalmente alla nuora la volontà di far cessare con effetto immediato il predetto comodato chiedendo l’immediata restituzione e rilascio dell’abitazione, ritenendo che “dopo la fine del matrimonio l’occupazione diventa senza titolo e scatta la restituzione dell’immobile alla suocera o suocero“.
Essenzialmente, la difesa sostiene che dopo la separazione la casa in comodato debba tornare in possesso del comodante.
La nuora, contestando la domanda attorea, evidenzia che, in sede di udienza presidenziale di separazione dal coniuge, il tribunale le aveva assegnato la casa coniugale.
Per il giudice di prime cure appare incontestato che l’immobile sia destinato a casa coniugale della nuora e dei figli ancora minorenni, sicché “è innegabile il vincolo di destinazione e del comodato di scopo attribuito all’appartamento. La sua ragione va invero rinvenuta nel consentire al nucleo familiare di trovare conforto in un cespite idoneo ad allevare la prole fintanto che essa non avesse raggiunto l’indipendenza economica“. 
Non essendo ancora indipendenti i figli della convenuta, non può dirsi ancora venuta del tutto meno quella condizione che aveva consigliato l’attribuzione della casa coniugale alla donna.

I giudici del gravame condividono tale impostazione e ritengono l’appello infondato, stante i principi in materia dettati dalla sentenza n. 20448/2014 delle Sezioni Unite.

Il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., “sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile ‘per relationem’, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile“.
Inoltre, la ricorrente afferma, per la prima volta in appello, che è sopravvenuto un urgente bisogno dell’appartamento ai sensi dell’art. 1809, 2° comma, c.c., in quanto dovrà lasciare la casa attualmente occupata, come da richiesta del figlio (lettera raccomandata intervenuta addirittura dopo la sentenza appellata).
Per i giudici, questa nuova “causa petendi” è tuttavia infondata anche nel merito: ai fini dell’operatività dell’art. 1809, 2° comma, c.c., le sezioni unite hanno specificato che non è sufficiente la necessità di abitare l’immobile, dovendosi dare conto, altresì, della contemporanea sussistenza di necessità economiche.
Per i giudici di Cassazione, infatti, il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene “non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili.

Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante“.

L’appello è rigettato.