REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. (OMISSIS) Paolina, nata a Messina il xx/xx/xxxx;
2. (OMISSIS) Salvatore, nato a Messina il xx/xx/xxxx;
3. (OMISSIS) Giovanni, nato a Messina il xx/xx/xxxx;
4. (OMISSIS) Salvatore, nato a Messina il xx/xx/xxxx;
5. (OMISSIS) Teresa, nata a Barcellona Pozzo di Gotto il xx/xx/xxxx;
6. (OMISSIS) Lucia, nata a Castroreale Terme il xx/xx/xxxx;
7. (OMISSIS) Angelo, nato a Barcellona Pozzo di Gotto xx/xx/xxxx;
8. (OMISSIS) Francesco, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il xx/xx/xxxx
9. (OMISSIS) Domenico, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il xx/xx/xxxx
quali parti civili nel procedimento nei confronti di (OMISSIS) Luigi Salvatore, nato a Castroreale il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 12/12/2018 della Corte d’appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dott.ss Paola Filippi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi;
udito per le parti civili l’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) , che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e ha depositato conclusioni scritte e note spese;
udito per la difesa di (OMISSIS) Luigi Salvatore, l’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, appellata dall’imputato (OMISSIS) Luigi Salvatore, ha assolto il medesimo dai reati a lui contestati di cui agli artt. 54, 1161 cod. nav. e art. 392 cod. pen., perché il fatto non sussiste.
2. Per una breve ricostruzione della vicenda processuale, deve darsi atto che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva condannato (OMISSIS) Luigi Salvatore in relazione al reato dal reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., perché recintando con paletti e rete metallica una particella di terreno di sua proprietà, apponendovi anche cartelli con scritto “divieto di accesso”, “divieto di transito”, impediva alla collettività l’accesso all’arenile, antistante alla particella di terreno, altrimenti non raggiungibile (capo a) e del reato di cui all’art. 392 cod.pen. perché potendo ricorrere al giudice, tenendo la condotta descritta nel capo a) si faceva ragione da sé con violenza sulle cose.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto dimostrato, sulla scorta del testimoniale e dei documenti, anche video prodotti, che l’imputato aveva recintato con paletti e rete metallica una parte di terreno di sua proprietà, apponendovi anche cartelli che vietavano il passaggio, e così aveva impedito l’accesso all’arenile da parte delle persone offese, risultando dimostrato da sempre l’utilizzo da parte di costoro della via di accesso al mare poi precluso dalla recinzione apposta.
Investita dall’impugnazione da parte dell’imputato, la Corte d’appello di Messina lo ha assolto da entrambi i reati a lui ascritti sul rilievo che, incontestata la materialità dei fatti ovvero la recinzione di parte del terreno di proprietà dell’imputato che ha reso più difficoltoso l’accesso al mare, ha escluso l’esistenza di una servitù di passaggio, non risultante da documenti ufficiali del Comune, ha, altresì, escluso che questa si fosse costituita per usucapione stante l’assenza del requisito dell’apparenza ovvero della presenza di opere visibili e permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio che rivelano in modo non equivoco l’esistenza di un peso gravante sul fondo servente.
Di poi, l’accesso al mare, per il pubblico e per le parti civili, era consentito tramite altre strade meno agevoli e comode. In assenza di prova della costituzione della servitù non era neppure integrato il reato di cui al capo b).
3. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi per cassazione le parti civili in epigrafe indicate, a mezzo del difensore di fiducia e ne hanno chiesto l’annullamento per i motivi qui enunciati.
3.1. Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 54, 1161 cod. nav., e art. 392 cod. pen. e correlato vizio di motivazione.
Argomentano i ricorrenti che la corte territoriale avrebbe errato nella valutazione delle prove testimoniali e documentali, avendo unicamente valutato i testi della difesa e ignorando il portato dichiarativo delle persone offese.
Dalle dichiarazioni di costoro emergeva che, da tempo immemore, attraverso quel terreno si transitava per accedere al mare e che non c’erano altri accessi possibili all’arenile di fronte al terreno dell’imputato, da cui la conseguenza che la condotta posta in essere da quest’ultimo, come pacificamente accertata, aveva impedito le parti civili e alla collettività tutta di usufruire di un bene pubblico qual è il demanio marittimo.
La Corte d’appello avrebbe, poi, ritenuto non provata l’esistenza di una servitù pubblica di passaggio sul terreno del (OMISSIS) poi recintato, e ciò in violazione della legge extrapenale, art. 825 cod. civ., dal momento che la servitù pubblica di passaggio non necessità di opere visibili e permanenti ai fini della sua sussistenza.
Il comportamento del (OMISSIS) avrebbe così impedito alla collettività e ai singoli il godimento di un bene collettivo pubblico, il mare. Impedendo l’accesso al mare, ha impedito il godimento di un diritto collettivo reale sul bene pubblico.
4. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. I ricorsi delle parti civili sono fondati per le ragioni di seguito esposte.
6. Ferma la ricostruzione in punto di fatto operata dai giudici del merito, non potendo avere ingresso nel giudizio di legittimità una diversa valutazione del compendio probatorio rispetto a quella operata dai giudici del merito in presenza di motivazione che non appare né manifestamente illogica né contraddittoria e/o carente, la sentenza impugnata è pervenuta all’epilogo assolutorio in violazione di legge e segnatamente dell’art. 825 cod. civ. e con motivazione non corretta.
Deve rammentarsi che in tema di demanio marittimo, il reato previsto dall’art. 1161 cod. nav. è alternativamente integrato dalla condotta di arbitraria occupazione del demanio marittimo, dall’esecuzione di innovazione non autorizzate ovvero, ancora, dall’esercizio di attività che impediscano l’uso pubblico del demanio, e tale ultima condotta può anche riguardare la realizzazione di opere su un fondo privato le quali impediscono l’esercizio di una servitù di passaggio pubblico per l’accesso al mare e cioè di usufruire del bene demaniale secondo la destinazione che gli è propria.
Anche la condotta del soggetto agente che, per impedire il passaggio a mare attraverso il proprio fondo ab immemorabile esercitato da una collettività, realizza una recinzione, appone un cancello nel bene di sua proprietà, in tal modo ostacolando il passaggio al lido alla generalità degli aventi diritto e riservandolo del tutto arbitrariamente, ai condomini del fondo privato, integra il reato di cui all’art. 1161 cod, nav. (Sez. 3, n. 15268 del 16/02/2001, Rv. 219015 – 01).
L’art. 1161 c. nav. attua una tutela completa e articolata del demanio marittimo, prevedendo come reato quattro forme alternative di condotta, costituite dall’occupazione diretta o dall’esecuzione sul demanio di innovazioni non autorizzate o dall’impedimento dell’uso pubblico di esso ovvero dall’inosservanza delle disposizioni degli artt. 55, 714 e 716 c. nav..
Il reato è, dunque, a forma mista, nel senso che una sola delle azioni alternativamente previste è sufficiente a commetterlo e che la commissione di due o più di tali azioni realizza un’ipotesi di concorso di reati.
Nel prevedere come reato l’impedimento all’uso pubblico del demanio, l’art. 1161 c. nav. non pone alcuna limitazione riguardo ai modi e ai termini in cui l’impedimento dev’essere realizzato per divenire penalmente rilevante.
Ne deriva che il reato configurato è a forma libera, in quanto il precetto penale comprende qualsiasi tipo di condotta che, al di fuori dall’occupazione diretta, impedisca tale uso, ad es., precludendovi, o anche semplicemente rendendovi più difficile l’accesso mediante opere realizzate in zona limitrofa a quella demaniale.
Pertanto, si rende colpevole del reato previsto dall’art. 1161 c. nav. colui che, pur senza occupare direttamente una zona demaniale, ne impedisca tuttavia l’uso pubblico mediante l’esecuzione nella sua proprietà di opere, quali sbarramenti, recinzioni, cancelli e simili, che se non negano in diritto, ostacolano comunque in concreto l’esercizio di fatto della facoltà di raggiungere il demanio e, quindi, di usufruirne secondo la destinazione che gli è propria (Sez. 3, n. 1219, 24/09/1996 Di Giorgio e altri, Rv. 206164 – 01).
7. Questo è quanto è avvenuto nel caso in esame. Infatti, il ricorrente, recintando la sua proprietà ed apponendo cartelli che vietavano l’accesso, ha impedito l’accesso al demanio marittimo, sottraendolo alla generalità degli aventi diritto.
Però, quando l’impedimento all’uso pubblico del demanio marittimo si realizza mediante la chiusura all’accesso, perché questa condotta comporti la commissione del reato previsto dall’art. 1161 cod. nav., è necessaria la dimostrazione che sussista un diritto di servitù collettiva di pubblico passaggio esercitata da una collettività, indeterminata di soggetti considerati “uti cives”, quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale e non “uti singuli”, quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato (Cass. civ. Sez. 2, 29/05/1998 n. 5312, ric. Marraffa, res. Margherita; Id., 29/08/1998 n. 8619, ric. Ventimiglia; res. Vitale e altro; Id., 26/05/1999 n. 5113, ric. Lapolla res. Musciacchio), servitù collettiva di passaggio che, in assenza di atti pubblici, può essere oggetto di usucapione ai sensi dell’art. 825 c.c..
Come affermato da Sez. 3, n. 1219 del 24/09/1996, Di Giorgio e altri, la fattispecie dell’arbitraria occupazione del demanio marittimo è diversa da quella dell’esercizio delle attività che ne impediscono l’uso pubblico e dall’altra relativa all’esecuzione di innovazioni non autorizzate, anche in seguito ad un rapporto di concessione, sicché l’attività impeditiva può svolgersi pure in zone non demaniali e di proprietà privata, purché abbiano quale caratteristica precipua quella di escludere l’uso pubblico del bene.
In tal caso, però, occorre accertare se sussista un diritto collettivo pubblico oppure un diritto reale di godimento su beni appartenenti ad altri soggetti ex art. 825 cod. civ. ed il contenuto di questi diritti, che possono costituirsi anche per usucapione attraverso una precedente protratta utilizzazione del bene privato da parte dei singoli appartenenti alla comunità o per effetto di passaggio esercitato “ah immemorabili” o “per dicatio ad patriam”.
Occorre, inoltre, tenere presente che le cosiddette servitù di uso pubblico non si estinguono, a differenza di quelle private, semplicemente per non uso, avendo il singolo componente della comunità il diritto di avvalersi di detta servitù fino a quando non insorga una ragione di impossibilità fisica o giuridica da cui l’ulteriore godimento resti impedito, sempreché non derivi da un fatto del controinteressato alla continuazione dell’uso pubblico o non intervenga un provvedimento dell’autorità amministrativa quale soggetto esponenziale della collettività dei cittadini che dichiari cessato l’interesse pubblico a fruire di quel determinato bene (Principio enunciato in relazione ad una fattispecie in cui alcuni privati avevano apposto cancelli nella loro proprietà impedendo il cosiddetto accesso al mare).
In tale ambito, le Sezioni Unite civili n. 20138 del 03/10/2011 (Rv. 618740 – 01) hanno affermato che le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all’usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’art. 1061 cod. civ. soltanto per le servitù predali.
8. Né consegue, con riguardo al caso concreto, l’erroneità della applicazione della legge extrapenale dal momento che la corte territoriale ha ritenuto l’inesistenza di una servitù collettiva acquisita per usucapione in assenza di opere visibili.
9. Pertanto, la decisione impugnata deve essere annullata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello che, attenendosi ai principi sopra enunciati, dovrà valutare se c’è dato uso da tempo immemorabile da parte dei soggetti uti cives (non solo uti singoli perché abitanti in zona), non rilevando l’esistenza di altre strade di accesso in località limitrofa, e ciò discende dal fatto che se c’è la servitù di passaggio sul quel fondo, esiste il diritto di esercitarla usandola.
10. Al medesimo giudizio del rinvio è demandata la regolamentazione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 21/11/2019.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020.