Sovrintendente della Polizia con 30 provvedimento disciplinari. Debiti. Inosservanza doveri di assistenza familiare al coniuge ed al figlio minore. Destituzione.

(Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 18 luglio 2016, n. 3199)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 7004 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12;

contro

An. Pa.;

per la riforma della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE I n. 00312/2015, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio disposta con decreto Capo del Dipartimento P.S. 19.2.2014.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 4504/2015

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2016 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e udito per la parte appellante l’Avvocato dello Stato Wally Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con decreto 19 febbraio 2014 prot. 333-D29281 il Capo della Polizia irrogava al Sovrintendente della Polizia di Stato An. Pa., in servizio presso il Commissariato di P.S. di Vigevano, la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, inflittagli a causa dei reiterati riprovevoli comportamento tenuti anche fuori dal servizio, che (unitamente alle numerose pregresse sanzioni disciplinari) denotavano mancanza di senso del decoro e del dovere e ledevano fortemente il prestigio del Corpo della P.S.

Dal procedimento disciplinare era emerso che l’interessato nel 2013, debitore di diverse mensilità del canone di locazione dell’appartamento in cui viveva a Vigevano, nonché delle spese accessorie delle utenze dei servizi, aveva saldato quanto dovuto alla proprietaria solo dopo la notifica del provvedimento di sfratto, emesso dal giudice civile a conclusione di apposito giudizio instaurato dalla proprietaria.

Poiché, però, il sovrintendente, comunque, era rimasto debitore del pagamento delle spese accessorie per le utenze, la proprietaria dell’appartamento, non riuscendo ad ottenere il rimborso dell’importo delle bollette pagate, aveva presentato un esposto all’Amministrazione, chiedendole di intervenire presso il dipendente.

Il provvedimento disciplinare faceva presente che, seppure il comportamento consistente nel “contrarre debiti senza onorarli” è sanzionato dal d.P.R. n. 737/1981 (Regolamento recante le disposizioni in materia di procedimento disciplinare dei dipendenti della P.S.) all’art. 4, n. 4, con la sola pena pecuniaria, tuttavia, nel caso di specie, l’interessato risultava reiteratamente recidivo, avendo già riportato 30 sanzioni disciplinari, (di cui 5 giorni di consegna di rigore, 8 richiami scritti, 14 pene pecuniarie di diversa entità, 3 deplorazioni e 4 sospensioni disciplinari) e, quindi, riteneva sussistenti i presupposti per la sanzione della destituzione, poiché tali comportamenti erano valutati incompatibili con la permanenza in servizio.

2. L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Lombardia, sede di Milano (R.G. 1943/2014), chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per vizi vari tra cui l’asserito difetto di proporzionalità della sanzione, precisando di essere ormai prossimo (ad anni 54) al collocamento a riposo .

Con ordinanza n. 934/2014 il T.A.R. Lombardia ha accolto la domanda cautelare proposta dal ricorrente con ampia motivazione sulla non manifesta infondatezza del ricorso nel merito.

Con sentenza n. 312/2015, pubblicata il 29 gennaio 2015, il T.A.R. ha accolto il ricorso del sovrintendente di P.S., esponendo che, poiché dopo l’ordinanza cautelare l’Amministrazione resistente non aveva assunto iniziative processuali e difensive rivolte a dimostrare l’infondatezza di quella stessa ordinanza, al comportamento dell’Amministrazione resistente, in applicazione dell’art. 116 cpc, in concreto, andava attribuito un valore ” processuale significativo” di sostanziale adesione alla pronuncia cautelare .

3. Avverso la sentenza l’Amministrazione ha proposto appello, chiedendone l’annullamento, previa sospensione.

L’appellante deduce in primo luogo che la mancata impugnazione dell’ordinanza cautelare del T.A.R. non può essere considerata un “comportamento processuale significativo”; in secondo luogo espone puntualmente le ragioni per le quali la sanzione della destituzione, irrogata al dipendente si deve ritenere congrua e legittima.

L’appellato non si è costituito.

Con ordinanza cautelare n. 4504/2015 questa Sezione si è pronunciata sulla istanza di sospensione della sentenza.

Alla pubblica udienza del 28 .2.2016, udito l’Avvocato dello Stato presente, la acusa è andata in decisione.

4. Quanto sopra premesso in fatto, in diritto il Collegio ritiene che l’appello dell’Amministrazione sia fondato.

È fondato, innanzi tutto, l’argomento con il quale viene censurato il procedimento logico seguito dal T.A.R., che ha richiamato l’art. 116 c.p.c. riguardo al comportamento processuale tenuto dall’Amministrazione dopo l’ordinanza cautelare pronunciata dallo stesso T.A.R..

In effetti (come dedotto dall’appellante) essendo stata fissata l’udienza di merito a distanza di soli sei mesi dalla pronuncia dell’ordinanza cautelare e considerato l’oggetto della controversia, è ragionevole che l’Amministrazione, per evitare la proliferazione non necessaria di contenzioso, non avesse un particolare interesse ad impugnare l’ordinanza cautelare favorevole al ricorrente, mentre, per altro verso, l’esecuzione della ordinanza in questione non è motivo sufficiente per ravvisare un tacito riconoscimento della fondatezza del ricorso.

4.1. Sotto il profilo sostanziale, poi, la sanzione disciplinare irrogata, considerato il quadro complessivo del curriculum di servizio dell’appellato, appare proporzionata alla mancanza ai doveri di servizio addebitata al medesimo.

Infatti, pur considerando che l’inadempienza alle obbligazioni contrattuali (ai fini disciplinari) è punita con la pena pecuniaria (che nel sistema delle sanzioni disciplinari del personale di P.S. è di minor rilevanza rispetto alla deplorazione, alla sospensione ed alla destituzione), tuttavia il d.P.R. n. 737/1981, in caso di recidiva (tanto più se specifica e reiterata), prevede la possibilità di applicare le sanzioni di livello superiore, compresa la destituzione.

Sotto questo profilo, nella fattispecie, si rileva che, dei 30 precedenti disciplinari a carico dell’interessato, alcuni riguardano negligenze nell’adempimento dei compiti di servizio, mentre una decina riguardano lo stesso tipo di inosservanza dei doveri di servizio: si tratta cioè di sanzioni inflitte in ragione del mancato pagamento di crediti (ovvero emissione di assegni a vuoto e vicende simili), che in 3 casi è stato sanzionato con la sospensione dal servizio (due volte per 2 mesi ed una volta per 6 mesi), sanzione di livello immediatamente inferiore alla destituzione, mentre, sotto il profilo della mancanza di senso dell’onore, si rileva che, tra l’altro, nel 1991 e nel 1993 nei confronti dell’appellato erano state adottate anche due sanzioni pecuniarie a seguito di due condanna ai sensi art. 570 c.p.( pena sospesa) per violazione degli obblighi di assistenza familiare al coniuge ed al figlio minore.

Sussiste in pieno, dunque, il presupposto della destituzione, di cui all’art. 7. n. 6, del d.P.R. n. 737/1981.

5. In conclusione l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza T.A.R., va respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di destituzione di cui al decreto del Capo del Dipartimento di P.S. 19.2.2014 .

Considerate le caratteristiche della vicenda e la circostanza che l’appellato già all’epoca del ricorso era, comunque, prossimo al collocamento a riposo, sussistono giusti motivi per disporre che nulla è dovuto dall’appellato per le spese di lite

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l ‘appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado proposto avverso la destituzione inflitta con decreto del Capo della Polizia 19.2.2014..

Nulla per le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Carlo Deodato, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18 LUG. 2016.