Strattona i carabinieri durante la sua identificazione intervenuti perché l’imputato aveva minacciato un ausiliario del traffico.

(Corte di Cassazione Sezione VI Penale, sentenza 2 dicembre 2017, n. 55330)

…, omissis …

Sentenza

sul ricorso proposto da:

G.N., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 26/10/2015 della Corte di Appello di Napoli;

letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;

udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;

udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Sante Spinaci, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Considerato in fatto e in diritto

1. Con sentenza resa il 20/05/2014, all’esito di giudizio ordinario, il Tribunale di Napoli ha dichiarato N.G.colpevole dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale.

Reati commessi strattonando e colpendo con calci i carabinieri operanti, che intendevano procedere alla sua identificazione a seguito delle minacce rivolte dal G. ad alcuni ausiliari del traffico.

Fatti criminosi per i quali il Tribunale, che ha mandato assolto il prevenuto dal connesso reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari, ha condannato il G. unificati dalla continuazione i due reati e concessegli generiche circostanze attenuanti stimate equivalenti alla contestata recidiva reiterata, alla pena di sette mesi di reclusione.

2. Adita dalle impugnazioni del G. (invocante il proscioglimento quanto meno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.) e del pubblico ministero (quanto alla assoluzione dal reato di cui all’art. 385 cod. pen. e all’ingiustificata concessione delle attenuanti generiche), la Corte di appello di Napoli con la sentenza del 26/10/2015 indicata in epigrafe ha confermato la responsabilità del G. per i due reati di cui agli artt. 337 e 651 cod. pen., riformando quoad poenam la sentenza di primo grado in parziale accoglimento del gravame del pubblico ministero, escludendo le attenuanti generiche e, per l’effetto, determinando la pena (computata la contestata recidiva) in dieci mesi di reclusione.

Sul merito della regiudicanda i giudici di appello hanno valutato infondate le censure del pubblico ministero sulla ravvisabilità del reato di evasione e dello stesso G. sulla sussistenza nel suo contegno del reato punito dall’art. 337 cod. pen. («i verbalizzanti hanno descritto compiutamente la condotta dell’imputato, che da terra li colpiva anche con le stampelle, di modo che l’estrinsecazione della vis activa nei confronti dei pp.uu. al fine di opporsi agli stessi integra pienamente la fattispecie contestata»).

3. Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione di appello, deducendo i vizi di legittimità appresso sintetizzati.

3.1. Violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. e nullità della sentenza di primo grado (e della susseguente sentenza di appello) per difetto di rituale contestazione del reato di lesioni volontarie aggravate in pregiudizio di uno dei militari operanti.

La sentenza del Tribunale, limitandosi a prendere atto della contestazione suppletiva del p.m. della contravvenzione di cui all’art. 651 cod. pen., non ha dedicato nessuno spazio alla dimostrazione della sussistenza di tale reato, diffondendosi lungamente ex adverso sull’ipotesi di lesioni aggravate consumate in danno del carabiniere P. Sì che non possono nutrirsi dubbi sul fatto che il Tribunale abbia inteso condannare il G. anche per tale reato di lesioni, benché lo stesso non gli sia mai stato ritualmente contestato.

3.2. Erronea applicazione dell’art. 81, comma 3, cod. pen.

Al pari del primo giudice la Corte di Appello ha stabilito in misura di un mese di reclusione l’aumento di pena determinato, ai fini della continuazione criminosa, per il reato contravvenzionale ex art. 651 cod. pen.

Ciò benché la pena detentiva di un mese rappresenti la pena edittale massima prevista per il reato in questione (un mese di arresto). In tal modo i giudici di merito hanno operato un mero cumulo materiale
sanzionatorio, in luogo della specifica disciplina della continuazione criminosa ispirata al principio del favor rei.

3.3. Ingiustificata disapplicazione dell’art. 62-bis cod. pen.

Del tutto illogicamente la Corte di appello ha escluso la concedibilità al ricorrente delle circostanze attenuanti generiche, che pure il giudice di primo grado aveva congruamente motivato al fine di adeguare la pena al fatto storico concreto posto in essere dal prevenuto.

4. Il ricorso deve essere rigettato per infondatezza e indeducibilità (terzo motivo) delle addotte censure.

4.1. Il primo motivo di ricorso è destituito di pregio per le ragioni già esposte dalla sentenza di appello nel rigettare l’omologo motivo di gravame dell’imputato.

Il reato di lesione volontaria è, infatti, estraneo all’accusa contestata al G..

Né il Tribunale lo ha giudicato colpevole di tale reato, avendo esplicitamente puntualizzato che «alla stregua delle acquisite risultanze probatorie, deve essere affermata la penale responsabilità del prevenuto in ordine reati ascritti ai capi a) e c) che, stante l’evidente identità del disegno criminoso, ben possono ritenersi avvinti dal nesso della continuazione».

E, del resto, a riprova di tale precisazione, è agevole constatare che la pena base è stata individuata in quella minima edittale prevista per il reato di resistenza, pari a sei mesi di reclusione, sulla quale è stata apportato un aumento di un mese di reclusione per il solo reato ex art. 651 cod. pen., senza ulteriori incrementi per il presunto reato di lesioni.

Sicché appare ben chiaro che lo spazio dedicato dalla sentenza del Tribunale alle lesioni riportate dal carabiniere P. (reato, ripetesi, mai contestato dal p.m. al G.) si inscrive unicamente nella complessiva descrizione dell’antigiuridica condotta dell’imputato, al solo scopo di inquadrarne gli effetti della violenza esercitata ex art. 337 cod. pen. nei confronti degli operanti.

4.2. Infondato è del pari il secondo motivo di doglianza, afferente alla ipotizzata erronea applicazione dell’art. 81, comma 3, cod. pen., atteso che ai fini della determinazione dell’aumento di pena per la continuazione non assume rilievo il fatto che la pena per la violazione più grave sia stata fissata nei minimi di legge (sei mesi di reclusione per la resistenza), dovendosi invece tener conto del numero, della specie e di tutte le altre circostanze riflettenti i reati unificati.

Con la conseguenza in caso di continuazione tra due reati che, se la pena per la violazione più grave è stata fissata nel minimo edittale, come avvenuto nel caso del ricorrente G., l’aumento per la continuazione può ben superare la misura corrispondente al minimo edittale previsto per il secondo reato (v., ex plurimis: Sez. 2, n. 11021 del 03/10/1988,Gosatti, Rv. 179706; Sez. 1, n. 9498 del 31/03/1976, Soffiati, Rv. 134491).

4.3. Manifestamente infondata e indeducibile, infine, è la censura relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di profilo della regiudicanda (trattamento punitivo) riservato all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito e sottratto a scrutinio di legittimità, quando lo stesso, come deve constatarsi nel caso in esame, sia sorretto da sufficiente e non illogica motivazione.

Incongrua e contraddittoria è, se mai, la motivazione con cui il giudice di primo grado aveva ritenuto di gratificare ex art. 62-bis cod. pen. il G., pur difettando le condizioni per una loro benevola concessione.

Incongruenza che la Corte territoriale, accogliendo l’appello sul punto del p.m., ha puntualmente emendato sulla base di una unitaria valutazione della gravità dei fatti criminosi e della personalità dell’imputato, correttamente inquadrate nell’area referenziale dell’art. 133 cod. pen.

5. Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.