Condannato a 4 anni e 4 mesi per violenza su minori, alcuni dei quali erano suoi parenti, nel 2010 fu spostato dal carcere ed «internato».
Avendo raggiunto l’età della pensione si rifiutò di svolgere alcuna attività e chiese di essere dispensato dal lavorare in carcere. Per punizione tornò in carcere e subì un regime più severo.
Contesta che obbligare un pensionato a lavorare in carcere sia un lavoro forzato sanzionato dall’art. 4 co.2 Cedu (divieto di lavori forzati).
Il lavoro in carcere è un elemento positivo, perché volto alla rieducazione ed al reinserimento sociale del ristretto, purchè siano rispettate le misure di sicurezza, le tutele ed i diritti fondamentali riconosciuti a tutti i lavoratori (Siladin c. Francia del 2005, Vereingegen Tierfabriken Schweiz (VgT) c. Svizzera n.2 [GC] del 2009 e Stummer c. Austria [GC] del 2011).
Sul punto le leggi degli Stati del COE non sono uniformi, mentre concordano la Convenzione dell’ILO n.29/30, le norme del COE (Rec. 2006/2, c.d. regole del 2006 sul lavoro in carcere; CPT Convezione della Svizzera del 2001 e 2012) e le altre convenzioni internazionali (Revisione della Convezione di Vienna del 2015).
Nessuna violazione dell’art. 4 co.2 Cedu.
Inserito nei factsheets: Slavery, servitude and forced labour e Work-related rights.
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