Tangente di quasi 100.000 euro. Corruzione. Si configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 c.p. – lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati nell’an, nel quando o nel quo modo, si conformino all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali.

(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 luglio 2017, n. 35940)

…, omissis …

Ritenuto in fatto

1. Avverso la ordinanza, indicata in epigrafe, del Tribunale di Catania, che in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha annullato l’ordinanza cautelare emessa nei confronti di M.G.N. , propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania.

M. era stato raggiunto dalla misura cautelare domiciliare perché gravemente indiziato del delitto di corruzione, per aver concorso nella promessa ed elargizione a A.R. , membro di una commissione aggiudicatrice di una gara ad evidenza pubblica, di una tangente di 96.108 Euro, quale indebita utilità per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio – costituiti nel recepire le indicazioni del M. , interessato alla vittoria del raggruppamento di imprese (omissis) e (…), effettivamente risultato poi aggiudicatario. Secondo l’ipotesi accusatoria, la tangente sarebbe stata versata all’A. da L.R.S. , sotto forma di compenso per un contratto di consulenza, redatto anche con la collaborazione del M. .

In sede di riesame, il P.M. aveva modificato la provvisoria imputazione, indicando la prestazione sinallagmatica dell’A. in quella di essersi reso disponibile a informare M. dell’andamento della gara mentre questa era in corso ed avvertirlo di eventuali problematiche che potessero impedire l’aggiudicazione in favore del predetto raggruppamento, nonché a recepire eventuali suggerimenti del M. .

Il Tribunale riteneva che la condotta dell’A. non fosse inquadrabile nello schema corruttivo, non essendo individuabile l’atto contrario ai doveri di ufficio.

Nessun profilo di irregolarità era stata segnalata dall’accusa in ordine allo svolgimento della gara e alla relativa aggiudicazione e non risultava che lo stesso A. avesse compiuto o concordato interventi a favore del RTI, essendosi limitato a segnalare problematiche di natura tecnica delle quali aveva scarsa conoscenza.

D’altra parte, secondo il Tribunale, la versione fornita dall’A. era di aver ricevuto una ricompensa per il favore fatto nella gara e quindi al di fuori del pactum sceleris richiesta dall’art. 319 cod. pen..

Né i fatti potevano, come prospettato dal P.M., configurare il reato di cui all’art. 318 cod. pen., in mancanza di un pactum sceleris.

2. Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 319 cod. pen. non avendo valutato il Tribunale che nel caso in esame si versava in ipotesi di vendita di funzione, connotata da ampia discrezionalità (sotto forma di preventiva rinuncia all’imparzialità) e che non era necessario un accordo preventivo all’atto contrario ai doveri di ufficio, ben potendo la corruzione essere di tipo successivo (come nella specie, dove era stata versata una ricompensa per il favore fatto): era stato dimostrato che l’unica ragione giustificatrice dell’incarico di consulenza, affidato all’A. , era quello di ricompensarlo per la disponibilità manifestata.

Il ricorrente rileva altresì che analogamente per la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen., anche alla luce della nuova formulazione della norma, non è richiesto che l’accordo illecito debba essere di tipo preventivo.

Si contestano altresì difetti motivazionali, per non aver valutato dati rilevanti, quali: la consapevolezza dell’A. di aver assunto le sue funzioni solo grazie all’intervento del M. ; la dimostrazione della natura illecita dell’accordo sottostante e della consapevolezza dell’illiceità del patto corruttivo attraverso le modalità del pagamento, realizzate con una consulenza gonfiata e con l’emissione di fatture false in favore di società cartiere maltesi.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Va ribadito che integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, ex post, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge (tra tante, Sez. 6, n. 4459 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiorani, Rv. 269613).

Invero, in tema di corruzione propria, costituiscono atti contrari ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti (perché vietati da atti imperativi) o illegittimi (perché dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validità ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dall’osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza ed imparzialità (Sez. 6, n. 30762 del 14/05/2009, Ottochian, Rv. 244530).

D’altra parte, è pacifico che il reato in oggetto possa essere integrato anche mediante atti di natura discrezionale o meramente consultiva, quando essi costituiscano concreto esercizio dei poteri inerenti l’ufficio e l’agente sia il soggetto deputato ad emetterli o abbia un’effettiva possibilità di incidere sul relativo contenuto o sulla loro emanazione.

Ed invero, l’atto di natura discrezionale o consultiva non ha mai un contenuto pienamente “libero”, essendo soggetto, per un verso, al rispetto delle procedure e dei requisiti di legge, per altro verso, alla necessità di assegnare comunque prevalenza all’apprezzamento dell’interesse pubblico (Sez. 6, n. 8935 del 13/01/2015, Giusti, Rv. 262497; Sez. 6, n. 36212 del 27/06/2013, De Cecco, Rv. 256095), senza deviarne o stravolgerne il contenuto per tutelare interessi di ordine privatistico dietro la corresponsione di somme di denaro.

Da quanto premesso ne discende che configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen., lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati nell’an, nel quando o nel quomodo, si conformino all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali (Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, dep. 2017, Bonanno, Rv. 269347).

Va poi aggiunto che l’art. 319 cod. pen. prevede che le “utilità” integranti la vendita delle funzioni siano erogate anche dopo l’esercizio delle funzioni stesse, in conformità al duplice schema perfezionativo del reato (Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234360; Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583; Sez. 6, n. 4105 del 01/12/2016, dep. 2017, Ferroni, Rv. 269501).

3. L’ordinanza impugnata, non conformandosi ai suddetti principi di diritto, ha conferito rilievo assorbente alla mancanza da un lato di una compravendita di uno specifico atto d’ufficio, dall’altro di un accordo corruttivo precedente all’esercizio delle funzioni.

4. Gli errori di diritto impongono pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato, perché il Tribunale proceda ad una nuova valutazione, che, nel riesaminare la gravità indiziaria, si estenda eventualmente agli altri punti attinti dal riesame e lasciati impregiudicati dalla precedente decisione.

P.Q.M. 

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catania. 

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