Va sospeso l’avvocato che accetta l’incarico in cambio di favori sessuali (Consiglio Nazionale Forense, Sentenza 6 dicembre 2019, n. 145).

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero della Giustizia, in Roma, presenti i Signori:

– Avv. Andrea MASCHERIN                                      Presidente

– Avv. Rosa CAPRIA                                                   Segretario

– Avv. Giuseppe PICCHIONI                                     Componente

– Avv. Francesco LOGREICO                                             ”

– Avv. Giuseppe Gaetano IACONA                                  ”

– Avv. Carlo ALLORIO                                                        ”

– Avv. Antonio BAFFA                                                        ”

– Avv. Carla BROCCARDO                                                 ”

– Avv. Davide CALABRO’                                                   ”

– Avv. Donatella CERE’                                                      ”

– Avv. Antonio DE MICHELE                                            ”

– Avv. Angelo ESPOSITO                                                  ”

– Avv. Antonino GAZIANO                                              ”

– Avv. Diego CERACI                                                        ”

– Avv. Anna LOSUARDO                                                 ”

– Avv. Francesco MARULLO di CONDOJANNI            ”

– Avv. Maria MASI                                                          ”

– Avv. Enrico MERLI                                                       ”

– Avv. Carlo ORLANDO                                                 ”

– Avv. Arturo PARDI                                                      ”

– Avv. Andrea PASQUALIN                                          ”

– Avv. Michele SALAZAR                                              ”

– Avv. Stefano SAVI                                                      ”

– Avv. Salvatore SICA                                                  ”

– Avv. Priamo SIOTTO                                                ”

– Avv. Vito VANNUCCI                                                ”

con l’intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Renato Finocchio Ghersi, ha emesso la seguente

SENTENZA

sul ricorso presentato dall’avv. [RICORRENTE];

avverso la decisione in data 27/11/14, con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pescara gli infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi due;

il ricorrente, avv. [RICORRENTE] è comparso personalmente;

è presente il suo difensore avv. [OMISSIS];

per il collegio dell’Ordine, regolarmente citato, è presente l’avv. [OMISSIS];

udita la relazione del Consigliere avv. Diego Geraci;

Inteso il P.G., il quale ha concluso chiedendo in parziale accoglimento del ricorso, l’applicazione della sanzione della censura;

l’avv. [OMISSIS] per il COA di Pescara, chiede la conferma della decisione;

inteso il ricorrente, il quale ha rilasciato dichiarazioni spontanee;

inteso il difensore del ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Fatto e Diritto

In data 03/02/2014 perveniva al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pescara a firma dei Sigg. [ESPONENTE 1] e [ESPONENTE 2] un esposto in danno dell’Avv. [RICORRENTE], C.F.: [omissis], nato a [omissis] il [omissis], con studio in [omissis], con il quale contestando allo stesso la mancata fatturazione del compenso di € 270,00 e l’aver spedito al nominato [ESPONENTE 2] due messaggi telefonici inequivoci, consistente dichiarazioni di attivizzazione all’impegno professionale a fronte di prestazioni sessuali.

Tali espressioni, a loro dire, evidenziano un riflesso deontologico non corretto anzi profondamente lesivo dell’etica professionale, a cui ogni avvocato deve attenersi.

All’esposto i coniugi [ESPONENTI] allegavano la trascrizione di due messaggi di testo da telefono cellulare Samsung IMEI [omissis] e perizia giurata eseguita dal perito [omissis] ed asseverata innanzi al funzionario del Tribunale di Teramo in data 15/10/13.

Rubricato l’esposto il C.d.O. di Pescara avvertiva l’Avv. [RICORRENTE] che erano in corso accertamenti preliminari per presunte violazioni di rilievo disciplinare.

L’Avv. [RICORRENTE] in data 03/02/14 depositava una memoria difensiva con la quale preso atto dell’esposto deduceva la falsità delle contestazioni contenute nello stesso e negava di aver spedito il messaggio telefonico ivi indicato definendo siffatto eventuale comportamento incompatibile con la sua sfera religiosa e con il suo modus vivendi et operandi.

Con delibera assunta all’esito dell’udienza del 24/04/2014 il COA disponeva l’apertura del procedimento disciplinare incolpando l’iscritto dei seguenti addebiti (tale determinazione veniva ritualmente comunicata):

A) Violazione dell’art. 5 – 15 c.d.f. Per avere l’Avv. [RICORRENTE] omesso di fatturare la somma di € 270,00 ricevuta nell’anno 2010 per compensi professionali erogate da [ESPONENTE 1].

B) Violazione dell’art. 5 c.d.f. per aver l’Avv. [RICORRENTE] spedito a [ESPONENTE 1] due s.m.s. del seguente letterale tenore. “[ESPONENTE 1] ok ore 12 in studio. Io mi impegno a risolvere i tuoi problemi. Però io voglio fare sega a tuo cazzo!! Non dire niente a nessuno o.k. Fammi sapere (I° messaggio) “Buongiorno non è possibile vederci oggi ore 12 sentiamoci nel pomeriggio (II° messaggio) Pescara 13/03/13”.

C) Violazione degli artt. 5 – 7 – 8 c.d.f. per avere l’Avv. [RICORRENTE] omesso di fornire a [ESPONENTE 1] e [ESPONENTE 2] una relazione dettagliata relativa allo stato delle pratiche pendenti per le quali aveva ricevuto la revoca del mandato.

Alla seduta del 27/11/2014 comparivano i due esponenti, addotti nella qualità di testimoni, nonché il difensore di fiducia dell’incolpato, il quale produceva copia della fattura emessa di € 270,00 spedita in data 24/11/2014.

Il C.O.A. all’esito della Camera di Consiglio del 10/03/2015, deliberava di prosciogliere l’Avvocato [RICORRENTE] dal terzo capo d’incolpazione e di irrogare allo stesso la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi due, in relazione ai primi due capi che riteneva sussistenti.

Con ricorso depositato il 16/04/2015 l’Avv. [RICORRENTE] proponeva impugnazione innanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso la decisione del C.O.A. di Pescara, notificata all’incolpato il 31/03/2015, chiedendo in via principale l’annullamento della decisione, ed in via subordinata, rideterminare la sanzione della sospensione nella diversa sanzione dell’avvertimento od in subordine della censura, in ossequio al principio della applicabilità della disposizione più favorevole all’incolpato.

A fondamento dell’atto del 16/04/15 adduceva i seguenti motivi.

A) Sul primo capo d’incolpazione rilevava la non condivisibilità della decisione visto il profilo, a suo dire, assorbente dell’intervenuto ravvedimento operoso, peraltro escludente, il profilo deontologico e vista altresì la regolarizzazione fiscale seppur tardiva.

B) In merito alla violazione dell’art. 5 c.d.f, oggi art. 9 c.d.f., evidenziava l’erroneità della decisione, avuto riguardo al difetto d’intenzionalità nella fattispecie della condotta, confermando la linea difensiva innanzi al COA di Pescara negava con fermezza di aver inviato i messaggi sopraindicati” antitetici al suo consuetudinario accostarsi, con assoluto rispetto, nei rapporti interelazionali con i terzi.

Come rilevato già nella seduta del 27/11/2014, a dire dell’odierno ricorrente la spiegazione dell’evento doveva ricondursi ad un errore tecnico non infrequente nel sistema automatico di digitazione del telefono cellulare denominato T9 (o predective test) e conseguentemente addebitabile esclusivamente in via eventuale alla imperizia dell’incolpato.

Tale esimente di responsabilità escludeva l’intenzionalità, rilevando una totale assenza di responsabilità e l’inapplicabilità del contestato art. 5 c.d.f. oggi art. 9 c.d.f. In ogni caso la sanzione irrogata ai sensi degli art. 52 – 63 c.d. collegato all’art. 9 vigente appariva sproporzionata, auspicando una riduzione ad una sanzione meno afflittiva e precisamente in quella dell’avvertimento od in estremo subordine della censura.

Con atto depositato nella segreteria del C.N.F. si costituiva ritualmente il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pescara che nel riportarsi integralmente alla decisione assunta in data 27/11/2014, preliminarmente rilevava che l’incolpato nel caso di sospensione dall’esercizio della professione, doveva farsi assistere da un Avvocato iscritto dalle Giurisdizioni superiori, munito di procura speciale e non di una mera procura ad litem.

Deduceva conseguentemente l’inammissibilità del ricorso assorbente ogni valutazione nel merito.

Nel merito e senza recesso della eccezione, rilevava la fondatezza della decisione sia in ordine al primo capo d’incolpazione in quanto la tardiva fatturazione (dopo oltre 4 anni) non poteva sanare ex tunc la violazione deontologica sia altresì in ordine al secondo capo d’incolpazione, rilevando che dalla ampia istruttoria e dalla documentazione si evincevano elementi di valutazione non sottoponibili ad interpretazioni ondivaghe.

In via preliminare si segnala che il COA nella memoria di costituzione (pagina 2 e 3) eccepisce la inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale. In particolare, sostiene il COA, che quella rilasciata nel ricorso è una “semplice procura ad litem, ma di certo non una procura speciale, la quale, per essere propriamente tale, avrebbe dovuto essere rilasciata dell’incolpato, privo di autonomo ius postulandi, con espresso riferimento alla volontà di impugnare mediante ricorso la statuizione in data 27/11/2014 del COA di Pescara al fine, ancora espresso, di ottenere innanzi il Consiglio Nazionale Forense, l’annullamento della sanzione irrogatagli ovvero la sua rideterminazione in senso favorevole”.

Va premesso che l’art. 60, comma 4, R.D. 37/1934 stabilisce che “Nel procedimento davanti al Consiglio nazionale il professionista interessato può essere assistito da un avvocato iscritto nell’albo speciale di cui all’art. 33 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, munito di mandato speciale”.

Nel caso che ci occupa, il mandato speciale contenuto a pagina 5 del ricorso si vuole (da parte dell’Ordine) non specifico nella parte in cui , seppur sia esplicita la nomina a difensore di fiducia “nel presente procedimento disciplinare” e sia evidente il conferimento “di ogni più ampio potere e facoltà”, ne viene censurata la assenza di indicazione degli estremi della pronuncia disciplinare gravata.

In casi come quello di cui innanzi, la giurisprudenza del CNF, avallata dalla giurisprudenza di legittimità ha statuito la possibilità di applicare l’art. 182, comma 2, c.p.c. che, come noto, obbliga il giudice, in presenza di un difetto di rappresentanza ovvero un vizio che determina nullità della procura al difensore, ad assegnare termine per provvedere in ordine alla sanatoria dei difetti e dei vizi (da ultimo si veda, Cass. Civ. Sez. Unite Sent.,07/11/2017, n. 26338 e meno recentemente Cass. Civ. Sez. Unite sentenza 18/02/2014 n. 3775).

Tale soluzione tecnica non è applicabile alla fattispecie, rilevato che l’incolpato ha rilasciato regolarmente procura speciale per tabulas.

L’attività istruttoria espletata dal Consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata stante che la valutazione disciplinare è avvenuta non già, solo esclusivamente, sulla base delle dichiarazioni dell’esponente o di altro soggetto portatore di un interesse personale nella vicenda, ma altresì dall’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti, che rappresentano certamente il criterio logico-giuridico inequivocabilmente a favore della completezza e definitività della istruttoria in ragione di alcune circostanze oggettive.

Si rileva che il Giudice della deontologia ha peraltro ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e la rilevanza delle prove dedotte in virtù del principio del libero convincimento, con la conseguenza che la decisione assunta in base alle testimonianze ed agli atti acquisiti in conseguenza dell’esposto deve ritenersi legittima, stante che si appalesa la coerenza con le risultanze documentali acquisite al procedimento.

Peraltro non determina nullità del provvedimento la mancata audizione di testimonianze ininfluenti ai fini del giudizio, per essere il Collegio pervenuto all’accertamento completo dei fatti da giudicare attraverso la valutazione delle risultanze acquisite in sede di istruttoria, apparendo il supplemento istruttorio attività meramente ultronea (Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Gaziano), sentenza del 10 maggio 2017, n. 57).

In particolare osservasi che:

a) l’incolpato non ha negato di essere stato all’epoca dell’invio dei due messaggi intestatario dell’utenza;

b) che inconfutabili appaiono le circostanze di tempo dedotte con riferimento alla detta utilizzazione dell’apparecchio mobile;

c) che l’apparecchio non è mai stato nella disponibilità di terzi, anche a dire del ricorrente;

d ) che il numero telefonico dal quale provenivano i messaggi è quello rubricato dagli esponenti ed utilizzato dagli stessi per contattare il professionista.

Nessuna prova (a cui era tenuto) fu fornita dal ricorrente a corredo della eccezione di errore nel sistema automatico di digitazione o incollato per errore, limitandosi ad una fideistica affermazione di non conducenza alla sua persona del testo.

La decisione di I°grado non merita alcuna censura sotto i due capi d’incolpazione. I concetti di probità, dignità e decoro costituiscono doveri generali e concetti “faro”, a cui si ispira ogni regola deontologica, giacchè essi rappresentano le necessarie premesse per l’agire degli avvocati, e mirano a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nella figura dell’avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.

L’avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza, non solo nei confronti della parte assistita, ma anche e soprattutto verso l’ordinamento, generale dello Stato e particolare della professione, verso la società, verso i terzi in genere.

Sulla violazione dell’art. 15 (dovere di adempimento previdenziale e fiscale) del Codice Deontologico Forense previgente, alcuni passi giurisdizionali sono inequivoci.

Pone in essere un comportamento che viola il dovere di adempimento fiscale, oltre a quello di correttezza, l’avvocato che ometta la fatturazione dei compensi percepiti (Rigetta il ricorso avverso la decisione C.d.O. di Bologna del 31 ottobre 2012). (Cons. Naz. Forense 25/11/2014, n. 170 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MERLI – P.M. VELARDI conf.) In senso conforme: Cons. Naz. Forense 10/06/2014, n. 86 –, sentenza del 27 ottobre 2010, n. 181; sentenza del 22/ ottobre 2010, n. 125).

Pone in essere un comportamento disciplinare rilevante il professionista che ritardi nell’emissione della fattura, non emettendola al momento della riscossione del compenso professionale, ed ometta altresì di inviarla al cliente (Cass. Civ., sez. Unite, sentenza del 27 settembre 1999, n. 133).

Sull’elemento psicologico (volontarietà o comunque consapevolezza) che il ricorrente denunzia come inesistente nella fattispecie, appare opportuno cristallizzare il postulato che ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare, è sufficiente la volontarietà del comportamento dell’incolpato e, quindi, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la “suitas” della condotta, intesa come volontà consapevole dell’atto che si compie, dovendo la coscienza e la volontà essere interpretate in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo e, quindi, dominarlo.

L’evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità. (Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Logrieco), sentenza del 10 ottobre 2017, n. 139).

Per l’imputabilità dell’infrazione disciplinare pertanto non è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione, (dolo generico o specifico), ma è sufficiente la volontarietà con la quale è stato compiuto un atto deontologicamente scorretto. (Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel, Sorbi), sentenza del 28 dicembre 2015, n. 223; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. De Giorgi), sentenza del 18 luglio 2013, n. 11).

L’Avv. [RICORRENTE] si duole altresì che la decisione impugnata si qualifica come oggettivamente gravosa sotto il profilo della sanzione disciplinare applicata e comunque, a suo avviso, essa è sproporzionata rispetto ai fatti addebitati ed è immotiva, perchè non si cura di indicare i criteri utilizzati per determinare la sanzione.

Invero la mancata indicazione, da parte del Consiglio territoriale, dei criteri per la scelta e la quantificazione della sanzione irrogata, non integra alcuna nullità della decisione, non sussistendo uno specifico obbligo motivazionale, ma esclusivamente un criterio di adeguatezza, in relazione all’offesa alla dignità e al decoro della classe professionale che dal comportamento riconosciuto possano derivare. In ogni caso, anche laddove fosse previsto sul punto un obbligo motivazionale, la sua mancanza non provocherebbe la nullità, ovvero l’annullabilità, della decisione impugnata, in quanto all’eventuale carenza motivazionale il giudice d’appello potrebbe, con i poteri conferitigli dalle norme, supplire, apportando tutte le integrazioni che ritenga necessarie.

Nel caso in specie la sanzione non può ritenersi non congrua, in quanto appare di estrema gravità la confusione o la sovrapposizione dell’atto sessuale alla prestazione professionale.

La volgarità delle espressioni usate, il fine prepostosi dal ricorrente nel contesto di un mandato professionale ledono profondamente i fondamentali doveri.

P.Q.M.

visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;

il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso.

Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma nella camera di Consiglio del 21 giugno 2018.

Depositato presso la segreteria del Consiglio nazionale forense il 6 dicembre 2019.

SENTENZA – è copia conforme all’originale -.