(Corte di Cassazione Civile, sez. II, sentenza 02.09.2015, n. 17440)
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente –
e AUTORITA’ GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
contro
IMPRESA INDIVIDUALE TORREFAZIONE (OMISSIS), in persona del legale pro tempore, M.A.S.;
– intimata –
avverso la sentenza depositata dal Tribunale di Palmi, Sezione distaccata di Cinquefrondi, l’1 maggio 2011;
Udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 settembre 2014 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha chiesto il rigetto del ricorso del Ministro dell’interno e l’accoglimento di quello dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
A seguito di un’attività di controllo amministrativo presso la Torrefazione (OMISSIS), gli agenti del Commissariato di Taurianova accertavano la presenza, all’interno del negozio, di una telecamera collegata ad un monitor ubicato sul soppalco dell’esercizio commerciale utilizzata dal titolare dell’attività con lo scopo di sorvegliare l’accesso degli avventori nel proprio negozio quando si recava al piano superiore.
Gli operatori, in considerazione della mancanza dell’apposito cartello previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, procedevano alla contestazione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 161 del citato decreto legislativo.
M.A.S., legale rappresentante della Impresa Individuale Torrefazione (OMISSIS), trasmetteva al Garante per la protezione dei dati personali un proprio scritto difensivo con il quale, oltre a chiedere la propria audizione, chiariva che l’istallazione del videocitofono aveva un’esclusiva funzione di sicurezza, non concretizzandosi in alcuna violazione della normativa sulla privacy.
Al termine dell’attività istruttoria, il Garante adottava l’ordinanza ingiunzione n. 264 del 2010, ritenendo che l’attività in questione potesse veicolare una portata informativa.
Con sentenza emessa in data 17 maggio 2011, l’adito Tribunale di Palmi, dichiarata la carenza di legittimazione passiva del Ministero dell’interno, provvedendo sull’opposizione ad ingiunzione avanzata dalla Torrefazione (OMISSIS), riteneva che la videosorveglianza effettuata da detto esercizio commerciale rientrasse si nel concetto di “trattamento”, ma non integrasse gli estremi della definizione di “dato personale” ai sensi della normativa vigente.
A tal riguardo, rilevava che, pur dovendo escludersi che l’apparecchio in questione potesse essere considerato un videocitofono, le modalità di raccolta dei dati personali non configuravano una violazione delle garanzie di protezione previste dal Codice dalla privacy, giacchè limitate nel tempo e specifiche nella loro finalità.
Avverso detto provvedimento il Ministero dell’interno e l’Autorità per la protezione dei dati personali hanno formulato tempestivo ricorso affidato ad un unico motivo.
L’impresa intimata non si è costituita in giudizio.
1. – Con l’unico motivo di ricorso gli odierni ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 4, 11, 13 e 161, violazione dei principi generali in materia di tutela dei dati personali ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, dolendosi che l’interpretazione fornita dal Tribunale di Palmi sulla nozione di dato personale contrasti con la normativa del Codice, introducendo un’esimente non prevista dal legislatore.
2. – Il ricorso proposto dal Ministero dell’interno è inammissibile.
Come si è rilevato, il Tribunale di Palmi ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero, il quale quindi in tanto avrebbe potuto impugnare la sentenza in quanto avesse denunciato la erroneità della sentenza impugnata sul punto ; ma nel ricorso in esame non vi è alcuna censura diretta a criticare la statuizione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’interno.
3. – Il ricorso dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali è fondato.
3.1. – Occorre premettere che il giudice di merito ha accertato che l’attività oggetto di contestazione (installazione di una videocamera per rilevare le presenze nel locale al piano terra onde consentire al titolare di controllare dal laboratorio, collocato su un soppalco, gli accessi al locale stesso) integrasse un trattamento rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4.
In proposito, il Tribunale ha ritenuto, alla luce della definizione contenuta nell’art. 4 citato, irrilevante che la videocamera installata non fosse destinata alla registrazione, atteso che, alla luce della definizione legislativa, integra trattamento anche la mera attività di raccolta di dati personali.
Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, comma 1, lett. a), infatti, costituisce “trattamento, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”.
Il Tribunale ha invece ritenuto di non poter ravvisare nella ripresa delle immagini di coloro che frequentavano il locale al piano terra la consistenza di un dato personale.
Premesso che ai sensi del medesimo art. 4, comma 1, lettera b) , costituisce “dato personale, qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”, il Tribunale ha ritenuto che l’immagine di una persona non potesse essere definita dato personale in assenza di elementi oggettivi che ne consentano una potenziale identificazione.
In particolare, il Tribunale ha valorizzato le modalità e la funzione della videoripresa, finalizzata unicamente a consentire al titolare dell’esercizio di controllare l’accesso di persone sospette nel proprio locale al piano terreno per il tempo in cui lo stesso si trovava nel laboratorio collocato su un soppalco, in assenza di ogni potenziale identificabilità delle persone riprese – peraltro da un apparecchio di non elevata definizione – senza alcuna possibilità di registrazione delle immagini stesse.
Il Tribunale ha fatto cosi applicazione del principio per cui “l’immagine di una persona, pur possedendo capacità identificativa del soggetto, quando viene trattata non integra automaticamente la nozione di dato personale, agli effetti del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ma lo diviene qualora chi esegue il trattamento la correli espressamente ad una persona mediante didascalia od altra modalità, quale un’enunciazione orale, da cui sia possibile identificarla, restando invece irrilevante, in mancanza di tali indicazioni, la circostanza che chi percepisce l’immagine sia in grado, per le sue conoscenze personali, di riconoscere la persona ritratta” (Cass. n. 12997 del 2009). E, su tale base, ha quindi ritenuto insussistente, nella specie, l’obbligo per il titolare dell’esercizio, di apporre l’informativa di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13.
3.3. – Nel caso di specie, se la possibilità della installazione della videocamera poteva ritenersi giustificata dalle esigenze di sicurezza prospettate dal titolare dell’esercizio commerciale, certamente la detta attività, integrante, come detto, trattamento di dati personali, avrebbe dovuto formare oggetto di apposita informativa ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13.
La ricorrenza di condizioni legittimanti l’attività di videosorveglianza comporta peraltro l’assoggettamento dell’attività all’obbligo di informativa, di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 196 del 2003, a norma del quale “1.
L’interessato o la persona presso la quale sono raccolti i dati personali sono previamente informati oralmente o per iscritto circa: a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati ; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati; c) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati, e l’ambito di diffusione dei dati medesimi; e) i diritti di cui all’art. 7; f) gli estremi identificativi del titolare e, se designati, del rappresentante nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 5 e del responsabile.
Con specifico riferimento alla videosorveglianza, il già ricordato Provvedimento del 29 aprile 2004, prevede al paragrafo 3 che “gli interessati devono essere informati che stanno per accedere o che si trovano in una zona videosorvegliata e dell’eventuale registrazione;
ciò anche nei casi di eventi e in occasione di spettacoli pubblici (concerti, manifestazioni sportive) o di attività pubblicitarie (attraverso web cam). L’informativa deve fornire gli elementi previsti dal Codice l’art. 13) anche con formule sintetiche, ma chiare e senza ambiguità”, con la precisazione che il Garante ha individuato, ai sensi dell’art. 13, comma 3, del Codice un modello semplificato di informativa minima”, riportato in allegato. “Il supporto con l’informativa: deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la telecamera; deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile; può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate”.
3.4. – Discende dalle considerazioni sin qui svolte che: il titolare della Torrefazione (OMISSIS) poteva procedere alla videosorveglianza del piano terra del proprio locale; tale attività integra un “trattamento di dati personali” ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, lett. a) e b), riguardando la “raccolta” l'”immagine” delle persone; la detta attività avrebbe dovuto formare oggetto di informativa rivolta ai soggetti che accedevano al locale ove era installata la videocamera, con le forme di cui alla citata regolamentazione.
Il M. a tanto non ha provveduto, sicchè la sentenza impugnata, che ha accolto l’opposizione avverso la sanzione comminata dall’Autorità garante, in accoglimento del ricorso proposto da quest’ultima, va cassata.
Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’opposizione.
Le spese dell’intero giudizio possono essere compensate tra le parti in considerazione dei dubbi interpretativi derivanti anche da pronunce di questa Corte.
La Corte dichiara. inammissibile il ricorso del Ministero dell’interno; accoglie il ricorso dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’opposizione del M.. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2015
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