Inimicizia con giudice. Presupposti per la ricusazione (Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza 26 luglio 2017, n. 18395).

…, omissis …

Fatto e diritto

Rilevato che:

l’avv. S.S. ha presentato “interpello per astensione e, in difetto, ricorso per ricusazione” dei consiglieri dott. Raffaele Frasca e dott. Luigi Scarano, componenti del collegio chiamato a pronunciarsi all’udienza del 9 maggio 2017 sul suo ricorso iscritto al n. 2784/2015 R.G.;

che, il ricorrente ritiene che sussistano ragioni di astensione obbligatoria dei predetti consiglieri ai sensi dell’art. 51, comma primo, nn. 1 e 3, cod. proc. civ. per avere essi, quali componenti di collegi di questa Corte in altri giudizi dei quali egli era parte, contribuito all’assunzione di decisioni, a lui sfavorevoli, gravemente errate, tali che “neppure il più sprovveduto degli studenti universitari della materia sarebbe giunto a formulare le anomalie” lamentate, non spiegabili “se non in termini di aprioristica linea reiettiva e di inimicizia grave per carenza di imparzialità e terzietà”, nonché per il fatto che pende nei confronti dei medesimi consiglieri, davanti al Tribunale di Roma, azione civile di responsabilità ai sensi della legge n. 117 del 1988;

che, all’adunanza camerale fissata per l’esame dell’istanza di ricusazione l’avv. S. non è comparso e il PM ha concluso per il rigetto del ricorso.

Considerato che:

il ricorso non può essere accolto;

che, con riferimento alle questioni processuali poste dal ricorrente queste Sezioni Unite hanno già avuto occasione di puntualizzare, nella ordinanza 22/07/2014, n. 16627 e in successive decisioni conformi, che:

– pur dovendosi svolgere il procedimento di ricusazione nel contraddittorio delle parti, tuttavia non è prevista dalla legge l’assegnazione al ricorrente di uno specifico termine per comparire, incompatibile con le caratteristiche e la natura del procedimento (nel presente procedimento l’avv. S. ha ricevuto avviso dell’adunanza camerale, alla quale non ha ritenuto di partecipare);

– la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma primo, cod. proc. civ., censurato in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., salvi altri parametri, nella parte in cui attribuisce la decisione sulla ricusazione del giudice a collegio composto da soli giudici togati, senza il correttivo della presenza quantomeno di rappresentanti della collettività (sul tipo della corte d’assise), è manifestamente infondata, non configurandosi il procedimento di ricusazione come un procedimento a carico del giudice ricusato, in cui lo stesso sia parte, e pertanto non potendosi ritenere fondato un generale sospetto di parzialità del giudice della ricusazione in conseguenza del generico rapporto di “colleganza”;

– l’art. 53, secondo comma, cod. proc. civ., per il quale sulla ricusazione si decide “udito il giudice ricusato e assunte, quando occorre, le prove offerte”, attribuisce al giudice ricusato il diritto di essere ascoltato, ma non lo obbliga a rendere informazioni o chiarimenti, tranne che il giudice della ricusazione lo ritenga necessario per finalità istruttorie;

– anche quanto al merito vanno ribaditi i seguenti principi, già affermati dal precedente sopra richiamato (e da quelli successivi ad esso conformi), e cioè che:

– la “causa pendente” tra ricusato e ricusante, ai sensi dell’art. 51, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., non può essere costituita dal giudizio di responsabilità di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, che non è un giudizio nei confronti del magistrato, bensì nei confronti dello Stato;

– premessa la tassatività e non estensibilità in via interpretativa delle ipotesi previste dall’art. 51, cit., ai fini della possibilità di astenersi e, correlativamente, dall’art. 52 relativo alla ricusazione, e che l’inimicizia prevista dall’art. 51 n. 3 deve riguardare “rapporti estranei al processo” e non può essere dimostrata sulla base di soli comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte ricusante, la quale è tenuta a indicare fatti e circostanze concrete che rivelino l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione;

– nella specie il ricusante non ha allegato la sussistenza di fatti integranti una “grave inimicizia”, nei termini appena precisati, tra lui e i due giudici ricusati, né di fatti integranti la prova di un loro “interesse nella causa o in altra vertenza su identica questione di diritto”, né, tanto meno, che tale interesse sia “personale e diretto”.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso.