Il detenuto, posto fuori dalla circoscrizione del giudice che procede, non ha diritto di essere tradotto nel luogo fissato per l’udienza di trattazione (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 8 aprile 2020, n. 11695).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella Patrizia – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ANTONOV ROMAN nato il xx/xx/xxxx;

avverso l’ordinanza del 04/07/2019 del GIP TRIBUNALE di PERUGIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Marco VANNUCCI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro MOLINO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità de ricorso.

OSSERVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

che con ordinanza emessa il 4 luglio 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, in funzione di giudice dell’esecuzione, previo rigetto dell’opposizione da Roman Antonov proposta contro il proprio decreto del 23 novembre 2017: ha parzialmente accolto una delle domande da tale persona proposte (revoca della sentenza di condanna emessa il 16 febbraio 2010 dal Giudice di pace di Imperia e modificazione del decreto di cumulo di pene concorrenti emesso il 15 settembre 2017 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia quanto alla pena pecuniaria ancora da pagare); ha rigettato le altre domande dallo stesso Antonov proposte;

che per la cassazione di tale ordinanza Antonov ha proposto ricorso (atto sottoscritto dal difensore, avvocato Mauro Morabito) con cui deduce che la stessa è stata emessa in violazione degli artt. 178, lett. c), 179 e 180 cod. proc. pen. in ragione della “omessa audizione e traduzione dell’interessato”, in quanto: con gli atti specificamente indicati nel ricorso esso ricorrente, al tempo detenuto nel carcere di Opera in Milano, ebbe a chiedere al giudice dell’esecuzione di essere tradotto avanti il giudice dell’esecuzione per l’udienza camerale del 4 luglio 2019; il giudice non ha provveduto in merito, “come pure imposto dal quarto comma dell’art. 666 c.p.p.”; inoltre, con atto n. 1254 del 3 aprile 2018 consegnato al direttore di tale carcere esso ricorrente chiese al magistrato di sorveglianza e al giudice dell’esecuzione di essere ascoltato “in previsione dell’udienza di trattazione”; neppure a tale istanza è stato dato seguito, con conseguente violazione dell’art. 666, comma 4, cod. proc. pen.; le istanze sopra menzionate “devono necessariamente essere confluite nel fascicolo processuale e, in caso contrario, potrà essere l’Ecc.ma Corte intestata a disporne d’ufficio l’acquisizione”;

che il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto% la declaratoria di inammissibilità del ricorso, non avendo il ricorrente depositato atti a sostegno della propria censura;

che l’art. 666, comma 4, cod. proc. pen. prevede che: l’udienza camerale dal giudice dell’esecuzione fissata per la trattazione dell’incidente di esecuzione si svolge con la partecipazione necessaria del difensore dell’interessato e del pubblico ministero; l’interessato è sentito personalmente solo se ne fa richiesta; se questi è detenuto in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, egli può chiedere di essere sentito prima dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo;

che, pertanto, l’interessato, detenuto in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice che procede, non ha diritto di essere tradotto nel luogo fissato per l’udienza di trattazione dell’incidente di esecuzione, ma soltanto (su sua richiesta) di essere sentito dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui si trova, prima del giorno fissato per l’udienza; con la conseguenza che la sua ormessa audizione da parte del magistrato di sorveglianza, nonostante specifica costituisce nullità del procedimento di ordine generale e a regime intermedio, ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., soggetta, quanto alle condizioni di deducibilità e rilevabilità, ai termini di decadenza stabiliti dai successivi artt. 180 e 182 (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 40835 del 5 giugno 2014, Padovan, Rv. 260721);

che, anche ammesso che il ricorrente, all’epoca del fatto detenuto in Milano (come da lui affermato), avesse fatto richiesta di essere tradotto avanti il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, competente per la trattazione delle plurime istanze dallo stesso ricorrente a lui rivolte, per l’udienza fissata per la trattazione di tali istanze il giorno 4 luglio 2019, nessuna conseguenza giuridicamente rilevante deriverebbe per lui dalla, in tesi, mancata risposta giudiziale a tale istanza: e ciò, sul semplice rilievo che nessun diritto del ricorrente sarebbe leso da tale, eventuale, mancata risposta;

che è necessario, inoltre, rammentare il ricorso per cassazione è caratterizzato dal principio di autosufficienza, in base al quale è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto, perché di essi è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto, a meno che il fumus del vizio non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. Sez. 1, n. 6112 del 22 gennaio 2009, Bouyahia, Rv. 243225; Cass. Sez. 5, n. 11910 del 22 gennaio 2010, Casucci, Rv. 246552; Cass. Sez. 6, n. 29263 del 8 luglio 2010, Cavanna, Rv. 248192; Cass. Sez. 2, n. 20677 del 11 aprile 2017, Schioppo, Rv. 270071);

che il ricorrente ha dunque un peculiare onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta (cfr. altresì, Cass. Sez. 4, n. 3360 del 16 dicembre 2009, dep. 2010, Mutti, Rv. 246499) ed a tale onere può essere prestato ossequio nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel testo dei ricorso; allegazione in copia; precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo d’ufficio del processo di merito; et simili);

che, in tale ordine di concetti, si osserva che il ricorrente afferma espressamente di non essere certo della presenza, nel fascicolo d’ufficio del procedimento definito con l’ordinanza impugnata, dell’atto n. n. 1254 del 3 aprile 2018, asseritamente consegnato al direttore del carcere di Opera in Milano e che, a suo dire, conterrebbe istanza rivolta al magistrato di sorveglianza di Milano e al giudice dell’esecuzione di essere sentito dal primo per rendere dichiarazioni relative alle istanze presentate nel procedimento incidentale di esecuzione in vista dell’udienza camerale fissata per il 4 luglio 2019;

che il ricorso è dunque inammissibile in ragione della sua non autosufficienza, in quanto: lo stesso ricorrente dubita dell’esistenza dell’atto da lui indicato fra quelli acquisiti al fascicolo del procedimento definito con l’ordinanza impugnata; non è onere di questa Corte ricercare atto processuale la cui esistenza non è dal ricorrente affermata come certa;

che dalla inammissibilità del ricorso derivano la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo determinare nella misura di tremila euro (art. 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria l’8 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.