In materia di notifiche penali, in caso di trasferimento dell’imputato che renda inidoneo il domicilio dichiarato, le notifiche possono essere eseguite al difensore d’ufficio (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 30 aprile 2025, n. 16370).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. SALVATORE DOVERE – Presidente –

Dott. DANIELA CALAFIORE – Relatore –

Dott. GABRIELLA CAPPELLO – Consigliere –

Dott. LOREDANA MICCICHÉ – Consigliere –

Dott. ANNA LUISA ANGELA RICCI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 18/09/2024 della Corte d’appello di Napoli

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Daniela Calafiore;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa SABRINA PASSAFIUME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Udito il difensore avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) del foro di Brescia in difesa di (OMISSIS) (OMISSIS), il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe) corretta nel dispositivo (quanto alla esclusione della contestata recidiva) con ordinanza del 18 settembre 2024, ha confermato, in punto di responsabilità penale, la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto (OMISSIS) (OMISSIS) responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 per aver detenuto gr. 23,66 di sostanza stupefacente del tipo hashish e una bustina contenente sostanza stupefacente del tipo marijuana del peso di gr. 0,76 (fatto del 20.5.2018), e ha rideterminato la pena in mesi sei di reclusione ed euro 1032 di multa, escludendo la recidiva contestata.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):

– violazione di legge processuale in relazione alla omessa notifica all’indagato dell’avviso di conclusione indagini e degli atti successivi. In particolare, premesso che l’imputato era stato residente nel Comune di Brescia dal 2016 al 2019 con trasferimento di residenza nel 2019, il tentativo di notifica era avvenuto nel 2018 e la Corte d’appello aveva disatteso il motivo d’impugnazione reiterando la nota con la quale il Tribunale aveva, a propria volta, rigettato l’eccezione;

– vizio di motivazione relativamente all’accertamento dell’elemento oggettivo del reato; il ricorrente deduce di aver già prospettato al giudice d’appello l’insufficiente accertamento sulla natura della sostanza sequestrata, ma anche la Corte territoriale aveva ritenuto sufficiente l’esame del narcotest per raggiungere la certezza, oltre ogni ragionevole dubbio, della illiceità della condotta. Invece, ad avviso del ricorrente, anche quando il narcotest fosse ritenuto sufficiente per la qualificazione della sostanza rinvenuta al (OMISSIS) come stupefacente, non sarebbe dato sapere come, da tale dato qualitativo, si potesse desumere il superamento dei limiti quantitativi, pure necessario ai fini della rilevanza penale;

– mancanza di motivazione in punto di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale quanto all’esame dell’imputato; nonostante l’esplicita richiesta, la sentenza impugnata si era limitata a respingerla senza offrire alcuna spiegazione delle ragioni del diniego;

– inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in punto di mancato avviso all’imputato della possibilità di accedere alle pene sostitutive. Il ricorrente evidenzia che, all’esito della pronuncia di primo grado, la cd. riforma Cartabia non era ancora entrata in vigore e l’imputato non era stato avvisato della possibilità di accedere alle pene sostitutive e nemmeno poteva chiederlo il difensore con l’atto d’appello depositato il 24 maggio 2022, dunque, avrebbe dovuto essere la Corte d’appello a dare l’avviso, all’esito della sentenza pronunciata il 18 settembre 2024, non essendo stata rilevata, neanche implicitamente, l’assenza dei presupposti.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Quanto alla questione relativa alla omessa notificazione all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini (art. 415 bis cod.proc.pen) e degli atti successivi, si deve ritenere corretta la motivazione della Corte territoriale, secondo cui il riscontrato “trasferimento” dell’imputato dal domicilio eletto ha legittimato le successive notifiche al medesimo ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., non essendovi alcun onere per l’Autorità Giudiziaria – per ogni fase del procedimento – di reiterare il tentativo di notifica presso un domicilio divenuto definitivamente “inidoneo” per una causa (trasferimento) che rende impossibile la notifica in quel luogo: nessuna norma di legge lo impone ed anzi, il meccanismo previsto dal combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art. 161 cod. proc. pen. impone al giudice di non effettuare tentativi di notifica “inutili” per l’accertata inidoneità “definitiva” del domicilio eletto dall’imputato, avuto riguardo agli oneri imposti dalla legge al medesimo – ove avvisato della pendenza di un procedimento a suo carico – e segnatamente l’obbligo di comunicare ogni variazione intervenuta successivamente alla dichiarazione o elezione di domicilio, resa all’avvio della vicenda processuale (cfr. Sez. 4 n. 3931 del 2021; Sez. 6, n. 24864 del 19/04/2017, Ciolan, Rv. 27003101).

Nei citati precedenti si è rilevato che può aversi nullità della notifica eseguita al difensore ai sensi dell’art. 161, comma quarto, cod. proc. pen., soltanto se la stessa non sia preceduta dalla verifica della insufficienza o inidoneità della dichiarazione di elezione di domicilio dell’imputato (cfr., Sez. 6, n. 50016 del 10/12/2015, B., Rv.26569301), verifica che nel caso risulta regolarmente compiuta. In particolare, dalla sentenza di primo grado si evince che (OMISSIS) (OMISSIS) aveva dichiarato domicilio, ex art. 161, comma 1, in data 20 maggio 2018, in Brescia Via (OMISSIS) n. 17.

Con la successiva nota del Nucleo di Polizia Giudiziaria del Corpo di Polizia Locale di Brescia n. 2881 del 25 luglio 2018, era stata accertata l’inidoneità definitiva del domicilio dichiarato, con conseguente notifica ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod.proc.pen., al difensore d’ufficio (OMISSIS) (OMISSIS) del foro di Napoli.

3. Pertanto, evidenziato che il precedente invocato dal ricorrente (Sez. 6, n. 46788 del 2023) non è pertinente, in quanto relativo al diverso caso in cui si abbia “aliunde” notizia precisa del luogo in cui il destinatario abbia trasferito la sua residenza o dimora, mentre nel caso di specie non risulta che il nuovo domicilio fosse noto, si deve riaffermare il principio per cui, nel caso in cui la notifica all’imputato nel domicilio da questi dichiarato o eletto abbia avuto esito negativo per una ragione “definitiva” (ad es. per trasferimento dell’imputato o inesistenza del suo nominativo nel luogo indicato) che renda impossibile l’esecuzione della notifica, tale situazione deve considerarsi acquisita e valida per ogni fase e grado del procedimento, per evidenti ragioni riconducibili alla unitarietà del procedimento penale nonché ad esigenze di economia e di speditezza processuale; con la conseguenza che, qualora l’imputato non ottemperi all’obbligo – imposto dall’ art. 161, comma 1, cod. proc. pen. – di comunicare il mutamento del domicilio, le successive notificazioni nel corso dell’intero procedimento potranno essere eseguite al difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.

4. Anche il secondo motivo non è fondato.

La sentenza impugnata, che va letta unitamente a quella di primo grado, in presenza di accertamento conforme, ha affermato la sufficienza, ai fini della certezza della natura qualitativa e quantitativa della sostanza sequestrata, dell’accertamento tramite narcotest effettuato dai Carabinieri e della destinazione all’uso non esclusivamente personale, in quanto dimostratosi idoneo a specificare la quantità e la qualità del tipo di sostanza, considerando complessivamente, oltre al dato quantitativo,ìífía pluralità delle sostanze e il loro occultamento nell’elastico degli slip e nella tasca dei pantaloni.

A fronte di tale accertamento, la difesa si è limitata a contestare la valutazione del materiale probatorio, invero di particolare evidenza quanto alla destinazione della sostanza allo spaccio, introducendo doglianze che non si confrontano con le ragioni della decisione, esposte attraverso un percorso argomentativo del tutto congruo, logico e non contraddittorio.

Nella specie, va osservato che l’utilizzo del narcotest aveva già determinato la riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 73 c. 5, d.P.R. 309/90, come opportunamente precisato dalla Corte d’appello e, risolutivamente, anche che – per stabilire l’effettiva natura di una sostanza – non è necessaria una perizia tossicologica, essendo sufficienti altri mezzi di prova, quali le dichiarazioni testimoniali o confessorie e le risultanze degli accertamenti di polizia o di altri indizi gravi, specifici e concordanti (cfr. sez. 3 n. 18611 del 18/1/2019, Aigbe Osaru, Rv. 275704, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione con la quale la natura drogante della sostanza era stata desunta dalla confessione dell’indagato e dal dato ponderale, in assenza di elementi probatori di segno contrario offerti dalla difesa; n. 15137 del 15/2/72019, Rohani Nertil, Rv. 275968, in cui si è affermato che il giudice può attingere tale conoscenza anche da altre fonti di prova acquisite agli atti, fermo restando il rigoroso rispetto dell’obbligo di motivazione; n. 22498 del 17/3/2015, Ristucchi e altro, Rv. 263784).

4. Il terzo motivo è inammissibile.

Costituisce infatti orientamento consolidato quello secondo il quale, nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6 – 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230 – 01).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, alla pagina 4 della sentenza, ha spiegato che la richiesta di rinnovazione del dibattimento (peraltro finalizzata solo a consentire l’esame dell’imputato) non era necessaria alla luce dell’accertamento quantitativo e qualitativo delle sostanze stupefacenti rinvenute, che consentiva di ritenere integrata la condotta di reato contestata, né il ricorrente ha evidenziato il punto e le ragioni per cui la motivazione sia vistosamente irrazionale. Dunque, non vi è margine per un giudizio di legittimità sul punto.

5. Anche l’ultimo motivo va rigettato.

Si è ormai affermato il principio, a cui si intende dare continuità, secondo il quale in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità come previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia), è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che non dev’essere formulata necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame (Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Rv. 286017 – 01; N. 4934 del 2024 Rv. 285751 – 01, N. 46782 del 2023 Rv. 285564 – 01, N. 3992 del 2024 Rv. 285902 – 01, N. 1995 del 2024 Rv. 285729 – 01, N. 33027 del 2023 Rv. 285090 – 01).

Nel caso di specie, è pacifico che l’imputato non abbia avanzato alcuna richiesta di applicazione di sanzioni sostitutive, neppure all’udienza di discussione, diretta alla Corte d’appello, dunque, non può addebitarsi alcuna censura alla mancata adozione dell’avviso di potervi accedere.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 27 marzo 2025

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.