Accompagna l’amico ad annaffiare il campo di marijuana: è contributo causale? Può essere considerato concorrente nel reato? La Cassazione in tema di concorso di persone nel reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, rileva che non sempre un passaggio in auto può essere ritenuto un contributo causale idoneo a configurare un concorso di persone nel reato.

(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 giungo 2017, n. 29219)

…, omissis …

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza pronunciata in data 15.7.2015 la Corte d’Appello di Catanzaro a parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Vibo Valentia in data 15.7.2013 – con la quale A.G.A. , ritenuto colpevole dei reati di cui all’art.73, comma 1 DPR 309/1990 per aver, in concorso con V.A. , giudicato in separato procedimento, coltivato 250 piante contenenti sostanza stupefacente tipo marijuana, ed artt. 116 d.lgs. 285/1992 e all’art. 74, comma 2 d.lgs. 159/2011, per aver guidato un auto senza aver conseguito la patente violando altresì la misura di prevenzione della sorveglianza speciale,era stato condannato alla pena de sei anni e sei mesi di reclusione ed Euro 30.000 di multa – ha ridotto la pena, previa riqualificazione del reato relativo all’illecita piantagione ai sensi dell’art. 73, 5 comma DPR 309/1990, a due anni e due mesi di reclusione ed Euro 2.000 di multa.

2. Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di cui all’art.606 lett. c) c.p.p., la violazione dell’art. 420 ter e 484 c.p.p. per essere stata disattesa la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato comprovato da certificato medico che il Tribunale aveva disatteso senza alcun accertamento medico-legale, con conseguente nullità dell’ordinanza pronunciata in udienza riflessasi sull’intero procedimento.

2.2. Con il secondo motivo censura in relazione al vizio di cui all’art. 606 lett. c) c.p.p. la inutilizzabilità degli accertamenti tecnici eseguiti sulle piante di marijuana non essendo la sostanza in sequestro stata rinvenuta presso gli uffici del Tribunale con violazione dell’art. 259 c.p.p. che prevede l’affidamento in custodia delle cose sequestrate alla Cancelleria e dell’art. 416 c.p.p. che prevede l’allegazione al fascicolo del corpo del reato.

Contesta altresì che le piante rimaste fossero state poste a disposizione della difesa essendosi solo rinvenute le soglie, così rendendo l’accertamento irripetibile con violazione dell’art.87 DPR 309/1990, nonché la nullità della deposizione del teste V. avendo la parte diritto di essere assistita dal consulente durante l’esame testimoniale, la mancata allegazione dei report, e dunque dei risultati scientifici, compiuti dal consulente nominato dal PM, con conseguente nullità dell’intero procedimento.

2.3. Con il terzo motivo lamenta la carenza di motivazione per non essere stato attribuito alcun rilievo alla distanza tra il ricorrente e la piantagione, quasi impossibile da raggiungere a piedi, come dimostrato dal proprio consulente con strumenti tecnici topo-metrici, con conseguente inaffidabilità dei verbalizzanti.

Sostiene altresì che la motivazione sia in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza citando una pronuncia che aveva mandato assolto l’imputato per avere accompagnato una sola volta il titolare di una piantagione di piante di marijuana aiutandolo nell’inaffiamento sostenendo che tale condotta non integrasse un contributo agevolatore.

2.4. Con il quarto motivo deduce l’illegittimità dell’applicazione della misura di prevenzione all’imputato dopo un lungo periodo di detenzione senza un nuovo giudizio di attualità della pericolosità, secondo quanto affermato dalla sentenza n. 291 del 2013 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 15 d.lgs.159/2011 nella parte in cui non prevede che quando una misura di prevenzione resti sospesa a causa dello stato di detenzione della persona ad essa sottoposta, occorra la valutazione di ufficio della persistenza della pericolosità.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo attiene al mancato accoglimento da parte del giudice di primo grado dell’istanza di rinvio presentata dalla difesa per legittimo impedimento dell’imputato, sul quale la Corte d’Appello, in quanto giudice di merito e come tale in possesso del fascicolo contenente i verbali del procedimento di primo grado così come gli atti processuali, avrebbe dovuto comunque pronunciarsi e non limitarsi a censurare la doglianza come generica.

In ogni caso vertendosi in tema di error in procedendo che consente alla Corte di Cassazione, che diventa in tal caso giudice anche del fatto, di accedere, per risolvere la relativa questione, all’esame diretto degli atti processuali (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013 – dep. 21/02/2013, Chahid, Rv. 25530401), occorre rilevare che da nessuna nullità può ritenersi affetta l’ordinanza relativa al diniego del rinvio richiesto posto che il certificato prodotto a fondamento dell’istanza non documenta alcun impedimento assoluto a comparire non costituendo lo stato di ansia del paziente, non collegato a nessuna patologia e, con singolare diagnosi priva di qualsivoglia prescrizione terapeutica, giudicato guaribile in 7 gg., un ostacolo alla sua comparizione negli uffici del Tribunale.

2. Il secondo motivo afferisce a pretese violazioni procedurali compiute nel corso dell’accertamento tecnico demandato da P.M. ad un proprio ausiliario per la valutazione del principio attivo contenuta nella piantagione oggetto di sequestro.

Tuttavia le censure svolte si risolvono in questioni già svolte nei motivi di appello e motivatamente respinte dalla sentenza impugnata, senza che le doglianze svolte con il presente ricorso si pongano, in mancanza di alcun confronto argomentativo effettivo, in correlazione con le ragioni poste a fondamento della decisione.

In tal senso motivo deve ritenersi inammissibile per difetto di specificità, la quale ricorre non solo per la sua genericità ed indeterminatezza delle doglianze, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, la quale non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, cade nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. 4, 18.9.1997 – 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. 5, 27.1.2005 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. 5, 12.12.1996, n. 3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389). In ogni caso le risposte date dalla sentenza impugnata alle singole contestazioni svolte risultano puntuali e pienamente condivisibili.

Muovendo dal principio generale secondo il quale non ogni violazione di norma si traduce in una nullità, la quale per essere tale deve essere espressamente comminata dalla legge, deve rilevarsi che né la violazione dell’art. 259 c.p.p. per non essere stati i beni sequestrati custoditi in cancelleria bensì presso la Caserma dei Carabinieri incaricati degli accertamenti, alla quale non risulta, peraltro, dedotto che sia stato impedito l’accesso alla difesa, né dell’art. 416 c.p.p. per non essere stato il corpo di reato allegato al fascicolo, che la stessa norma consente peraltro di custodire altrove, comportano sanzioni in termini di nullità.

Per quanto attiene all’asserita violazione del diritto di difesa per non essere stata messa in grado di interloquire sulla campionatura eseguita dall’ausiliario del PM, va rilevato che il campione selezionato dopo l’eseguito accertamento tecnico era a disposizione delle parti per ogni ulteriore accertamento, attraverso il quale – e con la nomina di propri consulenti avrebbero potuto esercitare il loro diritto ad effettuare le eventuali verifiche in forma autonoma (Sez. 4, n. 28195 del 29/04/2009 – dep. 09/07/2009, Matarazzo e altro, Rv. 24468801, Sez. 4, n.34379 del 12/07/2004, Spapperi, Rv. 229279).

Senza contare che la prova, in presenza di un accertamento tecnico, si forma direttamente in dibattimento con la deposizione dell’ausiliario incaricato dell’accertamento (nella specie il M.llo V. ), a cui le parti, avendovi assistito, ben avrebbero potuto, in caso di dissenso in ordine alle risultanze emerse dall’accertamento richiedere una perizia o limitarsi ad opporre, attraverso la deposizione del proprio consulente di parte, una diversa lettura delle analisi di laboratorio effettuate sulla sostanza campionata ovvero contestare il metodo scientifico seguito nell’accertamento, non essendo comunque censurabile in sede di legittimità, in relazione al vizio lamentato, la circostanza che l’esame abbia avuto ad oggetto le foglie delle piante e non l’impianto radicale comprensivo del fusto, costituente questione di fatto sulla quale questa Corte non è chiamata ad interloquire se non in presenza di censure motivazionali, nella specie non articolate.

Pertanto alcuna violazione del diritto di difesa è riscontrabile tenuto conto che la consulenza disposta dal P.M. su un campione di sostanza stupefacente preordinata ad accertarne l’efficacia drogante non costituisce accertamento tecnico irripetibile, in quanto detto campione conserva nel tempo le intrinseche caratteristiche e può, pertanto, ove necessario, essere sottoposto a nuovo esame; ne deriva che detta attività rientra nell’ambito degli accertamenti disposti ex art. 359 cod. proc. pen. che non richiedono gli avvisi al difensore. (Sez. 4, n. 34176 del 19/07/2012 – dep. 06/09/2012, Minniti, Rv. 25352901).

Per quanto concerne poi la mancata assistenza da parte del consulente della difesa alla deposizione del teste V. , incaricato dell’accertamento, assunta in dibattimento, va rilevata la genericità della doglianza posto che difetta del requisito della decisività non essendo stato dedotto a quale diverso risultato avrebbe potuto approdare la presenza del consulente di parte alla deposizione alla quale la difesa ha comunque assistito, tenuto peraltro conto che non è data ai consulenti tecnici la facoltà di controesame dei periti, giacché l’art. 501, comma primo, cod. proc. pen., in tema di esame dei periti e dei consulenti tecnici, rinvia alle disposizioni sull’esame dei testimoni in quanto applicabili e queste ultime non prevedono alcuna forma di controesame dei testi tra di loro (Sez. 2, Sentenza n. 6381 del 27/01/2005, dep. 18/02/2005, Ferrara, Rv. 231106), senza che in ogni caso il precedente giurisprudenziale citato in ricorso, relativo alla diversa ipotesi del diritto dell’imputato di farsi assistere dal consulente tecnico nominato nel corso dell’esame testimoniale in dibattimento, peraltro costitutiva di una nullità a regime intermedio da ritenersi sanata se non immediatamente dedotta, abbia alcuna attinenza con la contestazione svolta (Sez. 3, n. 35702 del 09/06/2009 – dep. 16/09/2009, Raso e altri, Rv. 24442301).

3. Il terzo motivo deve ritenersi invece fondato. Risulta infatti affetta da illogicità manifesta l’affermazione, contenuta nella pronuncia impugnata, secondo la quale la condotta significativa della compartecipazione dell’imputato al reato di coltivazione illecita ai sensi dell’art. 73, comma 1 DPR 309/1990 sarebbe consistita nel passaggio da costui offerto con la propria auto al V. , ovverosia a colui che la stessa Corte riconosce essere il soggetto che si occupava direttamente della piantagione provvedendo all’innaffiatura e alla concimazione della vegetazione, nei pressi del terreno, il giorno in cui è stato sorpreso dai Carabinieri che, essendosi appostati lungo la strada per verificare chi fosse il responsabile della piantagione – una volta vista la Panda guidata dall’imputato e dalla quale era sceso il Va. per dirigersi, con un sacco di concime prelevato dal bagagliaio dell’auto, verso il terreno – avevano tratto in arresto entrambi i coimputati.

Su tale risultanza, constatata, così come precisa la sentenza, in un’unica occasione, ovverosia la mattina dell’arresto, i giudici di merito fondano il supporto logistico da quest’ultimo fornito al Va. quale prova del concorso, sia pure ausiliario, alla coltivazione illecita della piantagione di marijuana.

Orbene, secondo il costante orientamento di questa Corte, il contributo agevolatore, quale forma alternativa al contributo causale, inteso come condizione dell’evento lesivo, si sostanzia in una condotta che, pur non essendo di per sé causa diretta del fatto punibile, è comunque idonea ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato aumentandone le possibilità di successo mediante il rafforzamento del proposito criminoso ovvero l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti.

Molteplici possono essere le forme di agevolazione prestate che possono risolversi o in un contributo materiale che abbia avuto un’incidenza nel determinare il fatto illecito facilitandone la realizzazione” (in tal senso, Sez. 6, n. 61 del 26/11/2002, Delle Grottaglie, Rv. 222976) o nell’adesione all’altrui attività criminosa nella consapevolezza di apportare un contributo causale, garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nel correo di poter contare su una propria attiva collaborazione (cfr. Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010 – dep. 04/02/2010, Porcheddu e altro, Rv. 24664901; Sez. 6, n. 9986 del 20/5/1998, Costantino e altro, Rv. 211587) o anche solo in mere “forme di presenza” sempre che le stesse facilitino la condotta illecita, “anche solo assicurando all’altro concorrente uno stimolo all’azione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa” (cfr. Sez. 6, n. 9930 del 3/6/1994, Campostrini, Rv. 199162), ipotesi queste che lasciano intendere che condizione imprescindibile alla configurazione del concorso agevolatore è che sussista un contributo causale, seppure in termini minimi, “di facilitazione della condotta delittuosa”.

Anche in questi casi, così come nella connivenza passiva, il fatto criminoso si sarebbe comunque realizzato, ma quello che connota la posizione del concorrente è il contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa aumentando, se riguardata ex ante, le possibilità di riuscita dell’illecito e che segna pertanto la linea di demarcazione dalla connivenza non punibile che invece postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale (Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010 – dep. 04/02/2010, Porcheddu e altro, Rv. 24664901).

Alla stregua di tali consolidati principi appare ragionevolmente dubbio che un passaggio in auto, prestato in un’unica occasione, nei pressi del terreno, condotta di per sé ben poco significativa rispetto al prospettato concorso di persone nel reato, possa rivestire efficacia di contributo causale alla realizzazione dell’illecita coltivazione di piante di marijuana ove non sia stata neppure fornita dimostrazione dell’elemento soggettivo, ovverosia della consapevolezza in capo al prevenuto che nel luogo in cui il Va. era diretto vi fosse la piantagione incriminata.

Nessun rilievo è stato infatti dato dalla sentenza impugnata alla circostanza che il terreno in questione non fosse accessibile direttamente dalla strada percorsa in auto, bensì, come risulta da una testimonianza riportata dalla sentenza di primo grado, soltanto a piedi, attraverso un impervio percorso sterrato interrotto da un ruscello con un argine di ben quattro metri di altezza; né si è ritenuto di accertare, malgrado le incongruenze tra le deposizioni raccolte, sulle quali si incentra il presente motivo di ricorso, quale fosse l’effettiva distanza tra il terreno e la strada, avendo la Corte territoriale reputato irrilevante che si trattasse di pochi passi o di un centinaio di metri, laddove invece la dimostrazione della lontananza avrebbe consentito di escludere la consapevolezza da parte dell’imputato dell’attività illecita posta in essere dal Va. .

Del resto neppure le ulteriori condotte dell’A. indicate dalla Corte calabrese integrano gli asseriti riscontri al giudizio di consapevolezza ove si consideri che il tentativo di fuga al sopraggiungere dei verbalizzanti ben potrebbe trovare spiegazione, altrettanto plausibile, nell’essere stato costui sorpreso senza aver conseguito la patente alla guida dell’auto, che egli afferma che utilizzava solo nei campi per andare a recuperare il bestiame che accudiva, mentre era sottoposto a misura di prevenzione e dunque dal timore della sanzione penale conseguente alla violazione delle prescrizioni di buona condotta impostagli, che i contatti telefonici intervenuti la sera prima dell’arresto tra costui ed il Va. configurano, in difetto di acquisizione del contenuto delle conversazioni, un dato del tutto neutro e che anche la circostanza che egli fosse tornato quella stessa mattina sul luogo dove aveva lasciato circa un quarto d’ora prima il coimputato per riportarlo indietro, oltre a non essere dirimente, così come non lo è l’accompagnamento, avrebbe potuto essere giustificato dalla ricerca del bestiame tenuto conto che l’azienda agricola del fratello, presso la quale egli svolgeva attività di mandriano, si trovava nella stessa località, a circa un chilometro di distanza dal luogo dell’arresto.

Dal momento che dell’esclusione di tutte le sopra indicate letture dei fatti la Corte di merito non da spiegazione alcuna con conseguente carenza di motivazione che si aggiunge all’illogicità del percorso argomentativo già evidenziato, la sentenza impugnata deve essere annullata, restando assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

Deve pertanto essere disposto il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.