Appuntato scelto dei Carabinieri induce il titolare di un ristorante, con l’implicita minaccia di controlli ed ispezioni, a consegnargli una o due volte a settimana, presentandosi al ristorante anche in divisa e a bordo di autovettura d’istituto, gratuitamente pizze e bevande.

(Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza 25 ottobre 2017, n. 49054)

…, omissis …

SENTENZA

sul ricorso proposto da: S.S. …, avverso la sentenza dell’ 11 novembre 2016 della Corte Appello di CATANIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO MOGINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA FRANCESCA LOY che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avvocato OMISSIS del foro di SIRACUSA, il quale insiste nell’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. S.S. ricorre per mezzo del proprio difensore di fiducia avverso la sentenza ih epigrafe, con la quale la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Ragusa in data ……. che ha condannato il ricorrente per il reato a lui ascritto, riqualificata ai sensi dell’art. 319 quater cod. pen. l’originaria contestazione del delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., per avere dal 2006 al marzo 2010, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando della sua qualità di Appuntato scelto in servizio presso la Stazione Carabinieri di …….., indotto il titolare del ristorante ……., con l’implicita minaccia di controlli ed ispezioni, presentandosi una o due volte a settimana presso tale esercizio commerciale, anche in divisa e a bordo di autovettura d’istituto, a fornirgli gratuitamente pizze e bevande.

2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo i seguenti motivi.

2.1. Erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 319 quater cod. pen. in ordine alla apoditticamente ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità in mancanza dei presupposti della pressione morale e del v’antaggio indebito del privato.

2.2. Erronea applicazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen. in relazione alla mancata concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per procedere a perizia finalizzata alla quantificazione del danno, rilevante anche ai fini dell’accoglimento della richiesta, formulata in appello, volta al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen..

2.3. Omessa motivazione circa la richiesta di declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione della condotta contestata dal 2006 al 2008, alla quale risulta applicabile la più favorevole Legge n. 69/2015. 2.4. Con motivi nuovi depositati in data 2/5/2017 il ricorrente ha illustrato ulteriormente la censura già formulata col primo motivo di ricorso, osservando che il delitto di induzione indebita di cui all’art. 319 quater cod. pen. è reato a concorso necessario e che nel caso di .specie manca qualsivoglia concorrente, posto che la presunta vittima non ha mai ottenuto alcun vantaggio e non è mai stata sottoposta a pressione morale.

3. Ad esito dell’udienza dell’8/6/2017, alla quale era presente il difensore del ricorrente che insisteva per l’accoglimento del ricorso, questa Corte disponeva d’ufficio rinvio all’udienza odierna, prospettando l’ipotesi di una possibile riqualificazione del reato contestato ex art. 317 ,5cc. cod. pen.

3.1. Il difensore di fiducia del ricorrente depositava dunque in data 14/6/2017 memoria scritta ex artt. 121 e 611, comma 1, cod. proc. pen., con la quale, premesso che la questione della qualificazione giuridica dei fatti in contestazione è stata risolta dal giudice di primo grado, che li ha sussunti nella fattispecie di cui all’art. 419 bis cod. pen., e che tale qualificazione giuridica è stata confermata dalla Corte territoriale, segnala che una eventuale reformatio in peius del nomen iuris del reato per il quale all’esito dei gradi di merito è intervenuta condanna priverebbe il ricorrente della possibilità di difendersi in punto di fatto, poiché il contraddittorio dibattimentale non ha riguardato il sostrato sul quale si fonda la qualificazione giuridica ipotizzata in questa sede di legittimità.

3.2. Non è infatti possibile in questa sede procedere alla prospettata riqualificazione, stanti i limiti derivanti dalle pronunce della Corte EDU sul punto in relazione all’art. 6 della CEDU, né disporre un annullamento con rinvio della sentenza impugnata ai fini di contestazione del reato di cui all’art. 317 cod. pen., essendo lo stesso più grave di quello per il quale si è proceduto e comportando l’eventuale condanna per i medesimi fatti diversamente qualificati una reformatio in peius delle decisioni di merito, preclusa in mancanza di impugnazione da parte del pubblico ministero.

Considerato in diritto

1. La (ri-)qualificazione giuridica dei fatti contestati operata dal giudice di primo grado, sostanzialmente condivisa dalla Corte territoriale e oggetto della censura di cui al primo motivo del ricorso, è, in effetti, giuridicamente errata. Non già, come sostenuto dal ricorrente, perché manchi nel caso di specie la pressione morale esercitata dal pubblico ufficiale nei confronti del privato necessaria per l’integrazione della fattispecie astratta di cui all’art. 319 quater cod. pen..

A tale riguardo, infatti, le sentenze di merito ricostruiscono puntualmente e in modo del tutto congruo i fatti addebitati al ricorrente, nel senso che quest’ultimo, come chiaramente riferito dal ristoratore-persona offesa, nelle innumerevoli occasioni in cui si faceva consegnare pizze e altre vettovaglie da asporto senza pagarne il corrispettivo avvertiva il suo interlocutore che avrebbe potuto in ogni momento, nella sua qualità di carabiniere in servizio presso la Stazione Carabinieri di……, inviare controlli e verifiche nel locale.

Sulla base di tale nettissima ricostruzione dei fatti, operata concordemente da entrambi i giudici di merito, appare pertanto evidente che l’originaria contestazione del delitto di concussione di cui all’art. 317N cod. pen. abbia . trovato piena conferma in punto di responsabilità del ricorrente.

Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla I. n. 190 del 2012, è caratterizzato infatti, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima I. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (ex multis, Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta e altro, Rv. 267277; Sez. 6, n. 47014 del 15/07/2014, Virgadamo, Rv. 261008; Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera, Rv. 258470).

Nel caso in esame, la ripetuta, esplicita minaccia da parte del ricorrente, nella sua qualità di appuntato scelto in servizio presso la locale Stazione dei Carabinieri, di controlli e verifiche altrimenti non programmati ha all’evidenza ad oggetto un danno “contra ius”, con conseguente grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subirlo o di evitarlo con la reiterata dazione di una utilità indebita, sicché le condotte contestate rientrano a pieno titolo, così come del resto originariamente enunciato nell’imputazione per la quale lo S. è stato tratto a giudizio, nel paradigma legale della concussione quale descritto al citato art. 317 cod. pen. (Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta e altro, cit., ha, in applicazione del principio sopra richiamato, qualificato come concussione la condotta, del tutto analoga a quella in esame, di un militare della Guardia di Finanza, il quale aveva sistematicamente omesso di pagare consumazioni per sé e per familiari ed amici in alcuni esercizi commerciali, rimarcando la propria qualifica professionale ed alludendo a possibili controlli).

Non solo, dunque, il primo motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondato, ma al Collegio è imposto l’obbligo di riqualificare, in conformità al testo normativo ed ai principi di diritto sopra richiamati, il fatto ascritto al ricorrente, già oggetto ad esito del giudizio di primo grado di diversa qualificazione rispetto alla contestazione originaria.

Occorre a tale riguardo osservare, con riferimento agli argomenti sviluppati dalla difesa nella memoria depositata il 14/6/2017, come da tempo nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente » letterale fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr., ex multis, Sez. U., n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco).

Proprio in applicazione di tale autorevole affermazione si è ritenuto che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza.

Si sottolinea, al riguardo, come l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto” contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata, infatti, con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 2, 16/09/2008, n. 38889, D.; Sez. 5, 13/12/2007, n. 3161, P., Rv. 238345).

Non ignora peraltro questo collegio che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la regola di sistema espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), secondo cui, ai sensi dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo sul “processo equo”, la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice “ex officio”, è conforme al principio statuito dall’art. 111 Cost., comma 2, che investe non soltanto la formazione della prova, ma anche ogni questione che attiene la valutazione giuridica del fatto commesso, con la conseguenza che si impone al giudice nazionale una interpretazione dell’art. 521 c.p.p., comma 1 adeguata al “decisum” del giudice europeo e ai principi costituzionali sopra richiamati (Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, D., Rv 241754).

In particolare, la qualificazione giuridica del fatto da parte della Corte di Cassazione, diversa da quella attribuita nel giudizio di merito, presuppone sempre l’informazione all’imputato e al suo difensore di tale eventualità.

Ciò in quanto le norme della Convenzione Europea, così come interpretate dalla Corte Europea, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all’art. 117 Cost., comma 1, che il giudice italiano deve applicare, a condizione che siano conformi alla Costituzione e siano compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti, per cui non vi è la necessità di un intervento additivo della Corte costituzionale per stabilire che l’imputato e il difensore devono e possono essere messi in grado di interloquire sulla eventualità di una diversa definizione giuridica del fatto là dove essa importi conseguenze in qualunque modo deteriori per l’imputato così da configurare un suo concreto interesse a contestarne la fondatezza.

Tanto era del resto accaduto nel caso esaminato da questa Corte nella menzionata sentenza n. 45807 del 12.11.2008, in cui la diversa definizione giuridica del fatto aveva ‘comportato la mancata declaratoria di estinzione per prescrizione del reato enunciato nell’imputazione, per cui la Corte stessa, attraverso un’interpretazione dell’art. 521 c.p.p., comma 1, conforme a quanto stabilito dalla Corte Europea e coerente con la previsione di cui all’art. 111 Cost., comma 2, facendo ricorso all’art. 625 bis c.p.p., revocava una sua precedente sentenza, che aveva dato una qualificazione diversa al fatto senza avere consentito alla difesa il contraddicono sulla diversa imputazione, disponendo una nuova trattazione del ricorso.

Nel solco tracciato dalla sentenza “Drassich” si sono inseriti alcuni arresti in cui si ribadisce che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 521 c.p.p. impone di ritenere che il potere .di attribuire alla condotta addebitata all’imputato una nuova e diversa qualificazione giuridica non possa essere esercitato “a sorpresa” ma solo a condizione che vi sia stata una preventiva promozione, ad opera del giudice, del contraddittorio fra le parti sulla “questio iuris” relativa; e ciò anche nel caso in cui la nuova e diversa qualificazione risulti più favorevole per il giudicabile, atteso che la difesa ben può diversamente atteggiarsi (quanto alle opzioni strategiche) e modularsi (sul piano tattico) in rapporto alla differente qualificazione giuridica della condotta, rispetto alla quale, oltre tutto, le emergenze processuali assumono, a loro volta, diversa e nuova rilevanza, dovendo la garanzia del contraddittorio in ordine alle questioni inerenti alla diversa qualificazione giuridica del fatto essere concretamente assicurata all’imputato sin dalla fase di merito in cui si verifica la modifica dell’imputazione (Sez. 1, 29/04/2011, n. 18590, C; Sez. 6, n. 20500 del 19/02/2010, F., Rv. 247371).

Orbene, i principi affermati dalla giurisprudenza che si richiama alla sentenza “Drassich” non si pongono in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte che esclude la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, da intendersi sempre come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni.

Fermo restando, dunque, l’incontestabile potere del giudice di attribuire in sentenza al fatto emergente dalle risultanze processuali una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, stante la limpida formulazione dell’art. 521 c.p.p., il rispetto della regola del contraddittorio, che deve essere assicurato all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice nell’esercizio del potere-dovere che gli è proprio, conformemente alla previsione dell’art. 111 Cost., comma 2, secondo la lettura integrata alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla CEDU, impone esclusivamente che tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa”, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali e ad una ‘sua diversa e nuova definizione giuridica, rispetto a quanto descritto, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, della quale pertanto tali sviluppi rappresentino un’evoluzione inaspettata e sottratta al contraddittorio. Condizione che non si verifica in due occasioni.

Da un lato, quando la difesa abbia avuto nella fase di merito la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado in cui viene operata la diversa qualificazione giuridica del fatto.

Dall’altro quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei naturali e “non s’orprendenti” epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui, ricostruito il fatto in maniera conforma alla contestazione, l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica, una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (Sez. 5, Sentenza n. 7984 del 2013, Jovanovic).

Orbene, tali circostanze ricorrono entrambe nel caso in esame. Infatti, non solo è indubitabile, come emerge dalla semplice lettura dell’originario capo di imputazione, che il fatto finalmente ritenuto in entrambe le sentenze di merito è nel dettaglio identico a quello contestato, ma è altresì certo che il contraddittorio sulla possibile qualificazione giuridica di quelle condotte ai sensi dell’art. 317 cod. pen. è stata oggetto fin dall’inizio del processo, ed ancora in questo grado di giudizio, del pieno contraddittorio tra la .difesa e il pubblico ministero, atteso che l’originaria imputazione faceva riferimento, in relazione ai medesimi fatti, proprio alla fattispecie astratta della concussione.

Il ricorrente ha avuto quindi la possibilità di interloquire nella fase di merito in ordine alla diversa qualificazione giuridica del fatto originariamente contestato operata in sentenza dal giudice di primo grado.

E tale possibilità gli è stata garantita anche in questo grado di giudizio, in particolare a seguito del rinvio dell’udienza di trattazione appositamente disposto dal Collegio con specifico avviso alla difesa di una possibile riqualificazione del fatto-reato ex art.317 cod. pen..

Infatti, nel giudizio di legittimità, il diritto del ricorrente a essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico deve ritenersi soddisfatto quando l’eventualità di una diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice “ex officio” sia stata rappresentata al difensore dell’imputato, in modo che la parte abbia potuto beneficiare di un congruo termine per apprestare la propria difesa, posto che l’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, può ritenersi rispettato con l’informazione al solo difensore, tenendo conto della natura tecnica del giudizio di legittimità (Sez. 2, n. 37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256653).

Il potere della Corte di attribuire una diversa qualificazione giuridica ai fatti accertati non è dunque stato esercitato con atto a sorpresa e con pregiudizio del diritto di difesa, conseguendo tale qualificazione alla comunicazione alle parti del diverso inquadramento prospettabile, con concessione di un termine a difesa, in attuazione del principio di diritto espresso dalla Corte -751k Europea Diritti dell’Uomo nella citata sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia (Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015, Caruso, Rv. 266953).

Il Collegio osserva inoltre che, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero ed in ossequio al divieto di reformatio in peius, la riqualificazione giuridica del fatto non comporta alcuna modifica del trattamento sanzionatorio applicato dai giudici di merito.

2. Il secondo motivo di ricorso è pure inammissibile, perché reiterativo di censura di merito alla quale la sentenza impugnata ha offerto puntuale e congrua risposta laddove ha escluso la sussistenza dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità in relazione all’accertata molteplicità delle consegne di alimenti e bevande senza corrispettivo per un pluriennale periodo di tempo (p. 3).

Il Collegio osserva inoltre a tale riguardo che le prove ammesse al contraddittorio hanno avuto ad oggetto anche lo specifico tema della sussistenza dei presupposti di quell’attenuante, rientrando la valutazione dell’entità del danno patrimoniale fra gli elementi rilevanti ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto prevista, per entrambe le fattispecie di concussione e di induzione indebita a dare o promettere utilità, all’art. 323 bis cod. pen..

Va infine rilevato che la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203974).

Nel caso di specie, come si è visto, l’accertata molteplicità delle consegne di alimenti e bevande senza corrispettivo per un pluriennale periodo di tempo deve ritenersi motivazione logica e congrua del giudizio della Corte territoriale circa l’inutilità degli incombenti istruttori sollecitati dalla difesa (ed evocati in ricorso in modo del tutto aspecifico anche in riferimento al diverso tema della sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., posto che la sentenza impugnata la esclude anche in considerazione del grave danno di immagine da lui provocato all’Arma dei Carabinieri e alla non occasionalità delle condotte).

3. Inammissibile, perché del tutto aspecifica, è anche la censura con la quale il ricorrente predica l’omessa motivazione circa la sua richiesta, non contenuta nell’atto di appello e che si assume verbalizzata senza alcuna ulteriore indicazione che consenta la verifica di questa Corte, di declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione limitatamente alle condotte contestate dal 2006 al 2008.

Censura oltretutto manifestamente infondata, poiché non considera che i termini massimi di prescrizione relativi al ritenuto delitto di concussione (pari a dodici anni in relazione alla pena prevista per tale fattispecie di reato anteriormente alla L. 69/2015, oltre a interruzione per tre anni ex art. 161 cod. pen. e ulteriori sospensioni nel corso del processo) non risultano trascorsi né alla data della sentenza di appello, alla quale l’inammissibilità del ricorso confina temporalmente la regolare costituzione del rapporto processuale, né a tutt’oggi, nemmeno limitatamente alle condotte contestate dal 2006 al 2008 (residuando ovviamente comunque quelle accertate fino al marzo 2010).

Sulla base delle svolte considerazioni è necessario procedere, nei sensi sopra descritti, alla riqualificazione del fatto-reato ritenuto dai giudici di merito nella fattispecie della concussione di cui all’art. 317 cod. pen., mentre il ricorso proposto nell’interesse di S.S. va dichiarato inammissibile, con condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500,00 in favore della cassa delle ammende.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 154 ter Disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Qualificato il fatto ai sensi dell’art. 317 cod. pen., dichiara inammissibile il ricorso.