Assolto il Maresciallo dei Carabinieri che sparò a Mauro Guerra «Fu legittima difesa»

Assolto perché il fatto non costituisce reato. È questa la sentenza del giudice del Tribunale di Rovigo, Raffaele Belvederi, nei confronti di Marco Pegoraro, il maresciallo dei carabinieri che il 29 luglio 2015 sparò e uccise il 32enne Mauro Guerra.

Pegoraro era accusato di eccesso colposo di legittima difesa. Il maresciallo, allora comandante della stazione dei carabinieri di Carmignano, colpì al fianco il giovane, che fuggiva da un trattamento sanitario obbligatorio (Tso) non autorizzato. Dopo ore di estenuanti trattative, Guerra si mise a scappare – scalzo e in mutande – prima di venire bloccato e ammanettato su un campo dal vicebrigadiere Stefano Sarto. Il 32enne si scagliò sopra Sarto sferrandogli quattro colpi al capo: Pegoraro sparò perché temeva per la vita del collega.

DIECI MESI DI PROCESSO

Il processo a carico di Pegoraro era cominciato lo scorso 21 febbraio. La sentenza è arrivata ieri alle 19.30, dopo nove ore di udienza in cui sono stati ascoltati il consulente psichiatrico della procura, Luciano Finotti, la requisitoria del pubblico ministero Carmelo Ruberto e le discussioni degli avvocati di parte civile (cioè la famiglia della vittima) Alberto Berardi e Fabio Pinelli e di Stefano Fratucello, difensore di Pegoraro.

«ERA PERICOLOSO»

Secondo il consulente Finotti, «Mauro era affetto da un disturbo psicotico cronico almeno dal 2008» e quel 29 luglio «era incapace di intendere e di volere». A detta del consulente, in quella giornata «non c’era alternativa al Tso» e soprattutto «Mauro era da considerarsi pericoloso, sia in relazione ai fatti di quel giorno sia in relazione ai precedenti».

IL PM: «ASSOLUZIONE»

Non ha lasciato spazio a dubbi il pm Ruberto, che ha chiesto l’assoluzione del maresciallo Marco Pegoraro. Il magistrato ha dapprima difeso la derubricazione del reato imputato al maresciallo, che inizialmente era stato accusato di omicidio volontario.

Ruberto ha quindi affermato che «i carabinieri non hanno agito nell’illegittimità amministrativa» e anzi avevano dato correttamente avvio – per casi “speciali” come quello – all’iter per l’attivazione del Tso.

Il pm ha confermato la pericolosità di Mauro e ha sottolineato una serie di comportamenti che hanno legittimato la convocazione del giovane in caserma. Ha quindi lamentato l’inaffidabilità della perizia balistica fatta dal consulente della procura, che ipotizzava una distanza tra Pegoraro e Guerra, al momento dello sparo, di 1,5 metri.

Ha ritenuto infine l’azione di Pegoraro «necessaria e inevitabile, perché ad esempio se uno di quei pugni fosse stato ben assestato alla tempia di Sarto, ne avrebbe cagionato la morte». Anzi, a detta di Ruberto l’eventuale morte di Sarto sarebbe costata a Pegoraro l’accusa di concorso in omicidio, perché l’uso legittimo delle armi è un dovere per un pubblico ufficiale in quella situazione.

«UNA MORTE GRATUITA»

L’avvocato di parte civile Berardi ha fatto emergere lo sdegno per la «difesa appassionata dell’imputato fatta dalla pubblica accusa: è proprio vero che qui si sta processando Mauro Guerra e non il maresciallo Marco Pegoraro». Berardi ha sottolineato come alla base di tutto ci sia la violazione di due norme costituzionali, l’articolo 13 sull’inviolabilità della libertà personale e il 32 sulla tutela della salute. «Mauro non è mai stato pericoloso. Non confondiamo certe cose – come l’editto di Satana delirante ma che non ha fatto male a nessuno e le cinque pacche sulle spalle a un compaesano nella mattina del 29 luglio – con la pericolosità sociale».

Secondo la parte civile, Mauro avrebbe sempre e solo cercato la fuga – in quel 29 luglio – e mai l’aggressività, se non quando si è visto le manette ai polsi e quindi l’impossibilità di scappare ad una limitazione ingiusta della sua libertà. «E comunque anche nel primo contatto con Sarto, Mauro aveva cercato di divincolarsi, non aveva aggredito. Un uomo nudo in mezzo a un campo era davvero una straordinaria situazione di pericolo?», ha sottolineato Berardi. «È morta una persona in modo gratuito», ha aggiunto Pinelli. «Se Mauro fosse stato lasciato libero di correre, oggi sarebbe vivo».

Il legale ha quindi condannato il silenzio di Pegoraro («era doveroso, per un uomo delle istituzioni che ha tolto la vita a un altro uomo, spiegare cosa era accaduto») e pure la sproporzione tra «un uomo in mutande e un uomo armato che ha sparato all’addome a due metri di distanza».

«SPARARE ERA UN DOVERE»

«Pegoraro ha sparato facendo un uso legittimo delle armi e per necessità: stava vedendo il suo collega soccombere sotto i colpi di un uomo che lo sovrastava», ha affermato Fratucello. «Lo ha fatto dopo aver sparato tre colpi in aria e aver urlato “Fermati!”. Lo ha fatto mirando a un braccio, una parte del corpo non vitale. Lo ha fatto ad almeno 8 metri di distanza e in un secondo di tempo, in base alla percezione che aveva».

Il legale della difesa ha quindi ricordato la “biografia” di Guerra, sottolineando tutti gli elementi – dalle condanne per reati alla persone, al licenziamento di qualche giorno antecedente al 29 luglio fino alle minacce di quelle ore a una ragazza e a un compaesano – che potevano far pensare al 32enne come a un elemento pericoloso.

Ha quindi condannato le testimonianze di familiari e amici ritenute lontane dalla verità: il giudice Belvederi, nel dispositivo finale, ha peraltro chiesto la trasmissione alla Procura delle deposizioni di 3 amici di Mauro, che ora rischiano l’accusa di falsa testimonianza.

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