Cassazione: “Non punibile selfie porno di minore se non c’è costrizione” (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 28 agosto 2018, n. 39039).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15/03/2017 della Corte d’appello di Roma, sez. dist. per i Minorenni;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 marzo 2017, la Corte d’appello di Roma, sez. dist. per i Minorenni, ha confermato la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma con la quale (OMISSIS) era stato condannato, alla pena di anni tre di reclusione e Euro 18.000,00 di multa, in relazione al reato di cui all’articolo 600-ter c.p., comma 1, n. 2, come diversamente qualificata l’originaria imputazione, perché con minaccia di percosse, si procurava, facendosele inviare sul telefono cellulare intestato alla propria madre, svariate fotografie che ritraevano la sua ex fidanzata minorenne, di anni quattordici all’epoca dei fatti, che la ritraevano nuda nella regione pubica. In (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, tre motivi di ricorso:

– Vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’articolo 600-ter c.p..

La Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente il reato in presenza di materiale autoprodotto dalla minore, laddove la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che e’ necessario, per la configurazione del reato di pornografia minorile, che il soggetto che produce il materiale sia diverso dal minore oggetto della raffigurazione.

Nessuna prova vi sarebbe in punto potenziale diffusività desunto da dichiarazioni de relato non essendo stato sentito il teste diretto.

– Violazione di legge di cui all’articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione della prova, non potendo la prova essere desunta da meri indizi se non gravi precisi e concordanti.

– Mancanza di motivazione in relazione al riconoscimento dell’ipotesi di cui all’articolo 600-ter c.p., comma 4.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo e secondo motivo di ricorso, che presentano profili di censura strettamente connessi e possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.

Ferma la ricostruzione dei fatti nella loro dimensione storica, come accertati dalle sentenze dei giudici del merito, secondo cui la minore aveva inviato all’imputato n. 24 fotografie dalla medesima prodotte che ritraevano le sue parti intime o la ritraevano mentre compiva atti di autoerotismo, su iniziativa e richiesta di quest’ultimo, ricostruzione non sindacabile in questa sede in presenza di congrua motivazione, correttamente, la Corte d’appello, ha ritenuto sussistente il reato di produzione di materiale pornografico mediante utilizzo di minori ex articolo 600-ter c.p., comma 1.

La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ secondo cui l’espressione del termine “utilizzo” deve essere intesa, in aderenza alla pronuncia della Cassazione n. 41776 del 2013, come vera a propria “degradazione del minore oggetto di manipolazione non assumendo valore esimente il relativo consenso” (Sez. 3, n. 17178 del 11/03/2010 Flak, Rv. 246982; Sez. 3, n. 27252 del 05/06/2007, Aquili, Rv. 237204), e che era configurabile la condotta di utilizzazione nel caso in scrutinio tenuto conto delle risultanze probatorie e segnatamente del testimoniale dal quale era emersa la sussistenza, tra l’imputato e la persona offesa minorenne, di una relazione caratterizzata da una prevaricazione violenta dell’imputato verso la ragazza minore accompagnata da una soggezione psicologica di quest’ultima verso i comportamenti violenti dell’imputato (pag. 3), motivazione che non presta il fianco a censure di illogicità e contraddittorietà.

In tale contesto, non sono applicabili, al caso in esame, i principi affermati dalla pronuncia della Sez. 3 n. 11675 del 2016, che ha escluso la fattispecie in oggetto in presenza di “selfie” prodotti dal minore autonomamente e volontariamente scattati, e cio’ in quanto sulla scorta dell’accertamento fattuale compiuto, la realizzazione delle immagini pornografiche da parte della minore era stata indotta dall’imputato anche con la violenza, situazione che dunque, integra la condotta induttiva punita ex articolo 600-ter c.p..

5. Quanto al profilo del pericolo di diffusione, che non risulterebbe dimostrato, secondo la prospettazione difensiva, e’ sufficiente il rilievo, contenuto nella sentenza, alla circostanza che era stata accertata la diffusione delle fotografie quantomeno quella inviate al profilo Facebook dell’amico (OMISSIS) (pag. 5). In ogni caso, la sentenza impugnata, dopo aver richiamato i principi gia’ affermati dalle S.U. n. 13 del 2000, secondo cui la disposizione di cui all’articolo 600-ter c.p., comma 1 presiede alla tutela di quelle situazioni nelle quali siano individuabili indici di concreto pericolo che l’attivita’ posta in essere fosse idonea a soddisfare il mercato dei pedofili, e richiamata la pronuncia di questa Sezione n. 16340/2015, secondo cui l’inserimento di immagini nel citato social network e’ già elemento per la potenziale diffusività del materiale pornografico, ha correttamente argomentato il pericolo di diffusione.

Infine, quanto alla censura di violazione di legge in relazione alla prova della diffusione perché desunta da dichiarazioni de relato (madre della minore persona offesa) senza esame del teste diretto, essa e’ manifestamente infondata in quanto inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato, ex articolo 195 c.p.p., commi 1 e 3, discende unicamente nel caso in cui, richiesta l’assunzione del testimone di riferimento, questi non venga esaminato, ma non nel diverso caso in cui tale assunzione non sia stata richiesta, come nel caso in esame.

Costituisce ius receptum di Questa Corte di legittimità il principio di diritto, più volte espresso, secondo cui sono utilizzabili, senza alcuna violazione dell’articolo 195 c.p.p., comma 1, le dichiarazioni “de relato” qualora nel giudizio di primo grado la difesa non si sia avvalsa del diritto di esaminare la fonte della testimonianza indiretta; l’inosservanza della disposizione e la conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato consegue unicamente nell’ipotesi in cui la parte abbia richiesto l’esame della persona a conoscenza diretta dei fatti e il giudice non abbia proceduto al suo esame (Sez. 5, n. 50346 del 22/10/2014, Palau Giovannetti, Rv. 261316; Sez. 4, n. 35913 del 17/01/2012, Ruggieri, Rv. 254071; Sez. 6, n. 28029 del 03/06/2009, Vinci, Rv. 244415).

6. E’ inammissibile il terzo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in relazione all’articolo 600-ter c.p., comma 4 perché devoluto per la prima volta nel giudizio di legittimità (articolo 606 c.p.p., comma 3).

7. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Trattandosi di imputato minorenne non sono dovute le spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

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Immagine da: Massime del Passato