Con la minaccia di danneggiare i gommoni della sua attività commerciale, chiede di essere assunto. E’ Estorsione o Violenza Privata? (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 11 febbraio 2020, n. 5437).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PAZIENZA Vittorio – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) Danilo Pietro, nato a S. Giovanni Rotondo il xx/xx/xxxx;

avverso l’ordinanza emessa in data 30/09/2019 dal Tribunale di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Vittorio Pazienza;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Olga Mignolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore del ricorrente, avv. Salvatore Vescera, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/11/2018, il G.i.p. del Tribunale di Foggia applicava a (OMISSIS) Danilo Pietro la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al delitto di estorsione in danno di (OMISSIS) Lauro per avere imposto a quest’ultimo, con la minaccia di danneggiare i gommoni della sua attività commerciale, l’assunzione di (OMISSIS) Pasquale presso la predetta attività.

Tale ordinanza veniva peraltro revocata dal G.i.p. all’esito dell’interrogatorio di garanzia del (OMISSIS): la versione di quest’ultimo (stando alla quale egli aveva solo insistito con il (OMISSIS) perché assumesse il (OMISSIS), lamentando questi di aver perso tale opportunità lavorativa per essere rimasto a lavorare presso l’agriturismo della famiglia del ricorrente) veniva infatti ritenuta compatibile con la conversazione intercettata, e comunque il ridimensionamento dei fatti, anche quanto alle esigenze cautelari, induceva il G.i.p. alla revoca della misura.

2. Il Tribunale di Bari, in accoglimento dell’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. dal Procuratore della Repubblica di Foggia, ha annullato la predetta ordinanza, disponendo nuovamente l’applicazione della misura custodiale in carcere del (OMISSIS).

Il Tribunale ha osservato che il tenore delle varie conversazioni intercettate (sia quella tra il ricorrente e il (OMISSIS), sia quelle tra quest’ultimo e la compagna (OMISSIS) Floriana, sia anche quella tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS)) era in realtà del tutto incompatibile con la versione difensiva, emergendo non solo il carattere gravemente intimidatorio della richiesta di assumere il (OMISSIS) formulata dal (OMISSIS), ma anche l’immediata adesione del (OMISSIS) a tale richiesta.

Anche sul piano cronologico, il Tribunale ha evidenziato che la versione difensiva risultava smentita dal fatto che la conversazione telefonica comprendente la minacciosa richiesta risaliva al 26/04/2018, ed era quindi anteriore al periodo in cui il (OMISSIS) – stando alla versione del (OMISSIS) – si sarebbe trattenuto a lavorare nell’agriturismo di quest’ultimo, perdendo l’opportunità occupazionale presso l’attività del (OMISSIS).

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto sussistere un grave pericolo di reiterazione, alla luce della gravità del fatto e della personalità del (OMISSIS) (OMISSIS), gravato da plurimi precedenti e pendenze anche per evasione.

3. Avverso tale ordinanza, propone ricorso per cassazione il (OMISSIS) (OMISSIS), deducendo:

3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria.

Si deduce che la condotta del (OMISSIS) (OMISSIS) poteva al più essere ricondotta nell’alveo dell’art. 610 cod. pen., difettando totalmente l’elemento del danno per la persona offesa, che si era autonomamente accordata con il (OMISSIS) sull’orario ed il compenso: dovendosi anzi rilevare, alla luce delle dichiarazioni del (OMISSIS), che questi aveva tratto beneficio da quella assunzione.

Si evidenzia, al riguardo, che l’ipotesi accusatoria sarebbe risultata fondata se si fosse trattato di un’assunzione non necessaria (o di un soggetto estraneo o comunque non voluto). Il ricorrente segnala altresì il proprio interesse alla derubricazione (solo ora connotato da attualità a seguito dell’accoglimento dell’appello proposto dal P.M.), in quanto la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 610 cod. proc. pen. avrebbe comportato l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen., delle conversazioni valorizzate dal Tribunale, oggetto di attività captativa disposta nell’ambito di un procedimento aperto dopo il rinvenimento di un cadavere.

3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza di esigenze cautelari connotate dalla necessaria attualità.

Si censura il carattere apodittico della motivazione, priva di richiami ad elementi concreti anche quanto alla necessaria individuazione di una prossima occasione per tornare a delinquere, tenuto conto altresì del tempo trascorso dai fatti contestati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato, anche in tempi recentissimi, che «integra il reato di estorsione, e non già quello di violenza privata, la condotta consistita nel costringere, mediante violenza o minaccia, un imprenditore ad effettuare un’assunzione non necessaria, sussistendo sia il requisito dell’ingiusto profitto, conseguito dalla persona assunta e connesso ad un’azione intimidatoria, sia quello del danno per la vittima, costretta a versare la relativa retribuzione» (Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De Paola, Rv. 266079 la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la decisione d’appello che aveva omesso di motivare in relazione alla “non necessità” dell’assunzione e, di conseguenza, in ordine al suo aver arrecato danno patrimoniale alla persona offesa).

Nella medesima prospettiva, v. da ultimo Sez. 2, n. 27556 del 17/05/2019, Amico, Rv. 276118, secondo cui «si configura il delitto di violenza privata, e non quello di estorsione, nel caso in cui la minaccia posta in essere dall’agente abbia ad oggetto la richiesta di riassunzione presso un cantiere di lavoro dal quale era stato precedentemente licenziato atteso che tale minaccia, pur essendo diretta al conseguimento di un ingiusto profitto, non arreca alcun danno ingiusto alla vittima, che dovrebbe retribuire l’attività lavorativa che si intende effettivamente prestare, ma si limita a comprimerne l’autonomia contrattuale con l’imposizione di una posizione lavorativa regolare» (In motivazione, la Corte ha precisato che la c.d. “domanda di lavoro”, anche se posta in essere con modalità intimidatorie, volta allo svolgimento di regolare attività lavorativa si distingue dalla “guardianie” imposte dal crimine organizzato per attuare un concreto controllo del territorio).

3. In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, deve osservarsi che il percorso argomentativo tracciato dal Tribunale per accogliere l’appello del P.M. prende in esclusiva considerazione, quanto alla gravità indiziarla, il profilo della condotta posta in essere dal (OMISSIS) (OMISSIS).

In particolare, il Collegio barese ha diffusamente illustrato le risultanze ritenute indicative delle connotazioni gravemente intimidatorie con cui l’odierno ricorrente si era rivolto telefonicamente al (OMISSIS), sollecitandolo ad assumere il (OMISSIS) presso la propria attività di noleggio gommoni: connotazioni tali da far escludere la fondatezza delle valutazioni espresse nell’ordinanza con cui il G.i.p., all’esito dell’interrogatorio di garanzia, aveva revocato la misura cautelare ritenendo che le risultanze dichiarative e captative consentissero di spiegare la vicenda nei termini riferiti dal (OMISSIS) (OMISSIS) (secondo cui egli aveva insistito con il (OMISSIS) perché il (OMISSIS) aveva perso il lavoro “per colpa sua”, essendosi trattenuto a lavorare presso l’agriturismo della famiglia del ricorrente anche nella prima settimana di maggio), e comunque di ridimensionare il complessivo rilevo dell’episodio.

A tal fine, il Tribunale ha valorizzato (cfr. pag. 3-4) non solo il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, ma anche gli esiti delle intercettazioni, con riferimento sia alla conversazione tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) (OMISSIS) contenente la minacciosa richiesta per cui è causa, sia ad alcune ulteriori conversazioni tenute dal (OMISSIS) con la propria moglie e con lo stesso (OMISSIS).

Sotto altro profilo, la plausibilità della versione resa dal (OMISSIS) (OMISSIS) in sede di interrogatorio è stata esclusa, dal Tribunale di Bari, anche sul piano della compatibilità logica e cronologica tra le circostanze riferite (permanenza del (OMISSIS) al lavoro nell’agriturismo della famiglia del (OMISSIS) (OMISSIS) fino alla prima settimana di maggio) e la data in cui era intercorsa la conversazione intimidatoria (26/04/2018).

4. All’esito di tale iter motivazionale dedicato al carattere gravemente minaccioso delle richieste del (OMISSIS) (OMISSIS) (che peraltro la difesa non ha inteso contestare con l’odierno ricorso), il Tribunale è direttamente passato ad esaminare il profilo delle esigenze cautelari, senza peraltro confrontarsi in alcun modo con la questione alla quale si è qui fatto inizialmente riferimento.

In altri termini, nell’ordinanza impugnata è rimasto del tutto inesplorato il profilo della effettiva necessità o meno, per il (OMISSIS), di avvalersi delle energie lavorative del (OMISSIS) (OMISSIS) nell’esercizio della propria attività: profilo che invece assume un rilievo dirimente, alla luce dei principi giurisprudenziali ricordati in precedenza, per la configurabilità di un danno patrimoniale idoneo a ricondurre la vicenda nell’alveo dell’art. 629 cod. pen.

Al riguardo, il ricorrente ha richiamato e comprensibilmente valorizzato (fino a sostenere che l’attività imprenditoriale di noleggio dei gommoni aveva tratto giovamento dal subentro del (OMISSIS)) le dichiarazioni del (OMISSIS), nella parte in cui questi aveva riferito in ordine alla propria necessità di assumere un aiutante, alla scarsa affidabilità della persona assunta prima e al posto del (OMISSIS) (trattasi di (OMISSIS) Michele), nonché ai termini dell’accordo successivamente e del tutto autonomamente da lui raggiunto con il (OMISSIS) senza alcun intervento del (OMISSIS) (OMISSIS) (cfr. pag. 3-4 del ricorso).

Trattasi, all’evidenza, di dichiarazioni che assumono un primario rilievo nella prospettiva che qui specificamente interessa: peraltro, l’attendibilità delle stesse dovrà peraltro essere oggetto di adeguato apprezzamento, anche al fine di escludere che il contributo dichiarativo della persona offesa sia stato condizionato dal timore di conseguenze ritorsive; allo stesso modo, dovrà essere oggetto di specifica valutazione anche il colloquio, al quale il Tribunale di Bari dedica solo un generico cenno, tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata).

5. Le considerazioni fin qui svolte rendono ultroneo l’esame delle ulteriori doglianze prospettate nel ricorso, ed impongono l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bari, cui dovranno essere integralmente trasmessi gli atti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Bari (Sezione per il Riesame delle misure coercitive).

Così deciso il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il giorno 11 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.