(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 febbraio – 23 marzo 2015, n. 12520)
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 10.12.2014 il Tribunale di Cagliari – a seguito di appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. proposto dal Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale – in riforma della ordinanza cautelare emessa dal G.I.P. del locale Tribunale applicativa degli arresti domiciliari nei confronti di M. M. che aveva valutato i fatti di cui ai capi A), C), D), F), H), L) ed N) sub art. 319 quater cod. pen. – ha disposto nei confronti di quest’ultimo la custodia in carcere, aderendo alla qualificazione giuridica proposta dall’accusa di sussistenza di plurimi episodi di concussione da parte del predetto insegnante di matematica dell’istituto scolastico magistrale statale “Eleonora d’Arborea” di Cagliari ai danni di sue allieve, costrette a prestazioni di natura sessuale contestate nei capi B), E), G), I), M) sub art. 609 bis e quater cod. pen., avvenuti, alcuni, nel corso dell’anno scolastico 2005/2006 ed altri anche fino all’anno scolastico 2008/2009.
2. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore del M. deducendo inosservanza delle norme processuali e di altre norme giuridiche e mancanza ed illogicità manifesta e/o carenza di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pena mancando quella necessaria esposizione delle specifiche esigenze cautelare e, in particolare, il pericolo di recidivanza, il pericolo di fuga e quello di inquinamento probatorio, ritenuti sussistenti in base a mere congetture e , comunque, apoditticamente, risultando provato in atti che dagli episodi contestati e risalenti al 2006 il ricorrente non aveva più avuto approccio diverso con gli alunni se non quello dell’insegnamento e non avendo rilievo il diverbio intercorso tra il fidanzato della studentessa C. ed il prof. M. circa l’esito della «pizzata» di una fine d’anno. Mancherebbe, quindi, il necessario apprezzamento della esclusiva adeguatezza della misura carceraria imposta.
2.1. Inoltre, la ordinanza nulla direbbe in ordine alle questioni sollevate in sede di discussione dalla difesa: sulla mancata escussione degli altri componenti delle classi frequentate dalle ragazze indicate nelle imputazioni, la escussione dei soli colleghi che avevano motivi di acredine nei confronti del ricorrente, le contraddizioni in cui sarebbero incorsi le parti offese ed i professori ( la vicenda dei «sei politico», la nota relazione con G. M. maggiorenne e non più frequentante la scuola, ragazza che ebbe a fornire le foto in sua esclusiva disponibilità, l’avviso dato dalla M. al M. circa la sua escussione in Procura, la effettuazione da parte del M. di un viaggio con la classe senza che alcunché di anomalo fosse evidenziato).
2.2. Incongrua sarebbe la contestazione della insensibilità del ricorrente ai procedimenti disciplinari, posto il diritto dello stesso ricorrente di ricorrere al Giudice del lavoro, non potendosi detta insensibilità in uno alle proteste dei genitori giustificare la asserita incapacità di autodisciplina.
2.3. Anche la scelta del domicilio in via Lanusei è stata, determinata dall’obiettivo di allontanarsi dal luogo di residenza del M. per meglio rispettare la ordinanza cautelare.
2.4. Infine, anche la valutazione del reato di cui all’art. 319 quater cod. pen. in disarmonia con le valutazioni dei GIP non sarebbe conforme all’orientamento delle S.U. ed alla scelta di attribuire un voto politico.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Va innanzitutto esaminato il quarto motivo relativo alla qualificazione giuridica dei fatti di concussione. Esso è infondato.
2. Ritiene la Corte che è ineccepibile il giudizio espresso dal Tribunale adito che del tutto correttamente ha applicato il più autorevole e recente arresto del massimo organo di nomofilachia secondo il quale il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.(Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera e altri, Rv. 258470).
In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta.
In particolare, ha spiegato la Corte, « non mancano casi in cui, per assicurare la corretta qualificazione giuridica del fatto come concussione piuttosto che come induzione indebita, non si può prescindere dal confronto e dal bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale: quello oggetto del male prospettato e quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall’altrui pressione.
Può accadere, infatti, che il privato, nonostante abbia conseguito, prestando acquiescenza all’indebita richiesta del pubblico agente, un trattamento preferenziale, si sia venuto sostanzialmente a trovare in uno stato psicologico di vera e propria costrizione, assimilabile alla coazione morale di cui all’art. 54, comma terzo, cod. pen., con conseguente decisiva incidenza negativa sulla sua libertà di autodeterminazione.
Il riferimento è a quelle situazioni in cui l’extraneus, attraverso la prestazione indebita, intende soprattutto preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato (si pensi al bene vita, posto in pericolo da una grave patologia); oppure, di fronte ad un messaggio comunque per lui pregiudizievole e al di là del danno ingiusto o giusto preannunciato, sacrifica, con la prestazione indebita, un bene strettamente personale di particolare valore (libertà sessuale), e ciò in spregio a qualsiasi criterio di proporzionalità, il che finisce con l’escludere lo stesso concetto di vantaggio indebito.».
2.2. Invero, all’esito di una ampia, analitica ed articolata disamina delle emergenze indiziarie sottostanti ai diversi episodi, il Tribunale ha qualificato i fatti nell’ambito della ipotesi concussiva ritenendo che la volontà delle allieve fu pesantemente coartata oltre che dall’abuso di potere, dall’implicita o esplicita prospettazione che, non aderendo alle pretese di favori sessuali, avrebbero avuto ripercussioni nella vita scolastica e privata, così – senza possibilità di scelta – sacrificando la propria libertà sessuale.
Nella specie sono stati correttamente considerati – al fine di individuare l’abuso costrittivo – non solo la minaccia implicita o esplicita di ritorsioni in campo scolastico, ma anche il sostanziale stato di assoggettamento provocato – anche attraverso minacce evocative di conoscenze tra poliziotti e avvocati che avrebbero garantito l’impunità del professore – nelle giovanissime vittime private, in un momento delicatissimo del loro percorso educativo, di qualsiasi libertà di autodeterminazione rispetto al chiesto sacrificio della loro libertà sessuale.
3. Va riconosciuta la inammissibilità delle generiche censure in fatto sul compendio probatorio, in quanto limitate a rivalutare atomisticamente alcuni aspetti dei quali non si dimostra la decisività rispetto al doppio conforme giudizio di attendibilità, coerenza, dettagliatezza, convergenza e verosimiglianza delle dichiarazioni delle persone offese riscontrate da quelle delle persone informate sui fatti, dai documenti scolastici, tabulati, accertamenti sullo sportello didattico e dall’esito delle perquisizioni domiciliari che hanno condotto al rinvenimento, tra l’altro, di una valigetta contenente falli di gomma, cunei anali ed un dosatore in legno per miele, descritto dalle ragazze.
4. Anche i motivi afferenti al profilo delle esigenze cautelare ed al giudizio di adeguatezza della misura adottata sono inammissibili perché generici ed in fatto.
5. Invero, con motivazione del tutto scevra da vizi logici e giuridici, il Tribunale – pur considerando il cospicuo decorso del tempo dai fatti – ha fatto leva sulla gravità dei fatti e sull’attualità del pericolo concreto di reiterazione della condotta con altre violazioni analoghe nonché sul pericolo di inquinamento probatorio.
In particolare, ha considerato la natura seriale della sistematica condotta di accerchiamento delle vittime, scelte oculatamente tra quelle non in grado di ribellarsi: l’indagato approfittava della loro condizione di inferiorità psichica per soddisfare la sua concupiscenza ossessivamente presente nel discorrere scolastico quotidiano.
Del pari, ha considerato la incidenza di tale condotta sugli stessi colleghi e presidi, cosicchè attraverso la intimidazione il ricorrente è riuscito a rimanere impunito nonostante i suoi comportamenti fossero noti nell’ambito dell’istituto, nel quale le stesse condotte erano temerariamente tenute secondo quello che risulta essere un impulso irrefrenabile.
L’attualità del pericolo è correttamente desunta dalla circostanza secondo la quale il ricorrente ha contattato una delle vittime nel 2014, secondo la già rilevata irrefrenata compulsività; inoltre, la non incidenza del decorso temporale è del pari correttamente giustificata dai recentissimi contatti da parte del ricorrente delle sue ex allieve che dovevano essere sentite dalla polizia giudiziaria, inducendo una di esse (J. M.) a dire il falso.
6. Quanto alla inadeguatezza della misura domiciliare, la ordinanza ha fatto correttamente leva sulla insensibilità del ricorrente ai vari procedimenti disciplinari ed alle proteste dei genitori, considerandole espressione della incapacità di autodisciplina; in uno alla inadeguatezza dello stesso domicilio per gli strumenti informatici a disposizione, alla tutela delle esigenze ravvisate nella specie volte alla efficace recisione di ogni possibilità di contatto con le parti offese e con l’ambiente che l’indagato ha dimostrato di saper condizionare pesantemente.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
8. Devono disporsi gli adempimenti di cancelleria ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.