REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Rel. Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13461-2019 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, Via Dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
BELFIGLIO ANTONELLA, elettivamente domiciliata in ROMA, Via Di Pietralata n. 320, presso lo studio dell’avvocato Gigliola MAZZA RICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco ORECCHIONI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 84/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa Alfonsina DE FELICE.
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di L’Aquila, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale di Pescara, ha accolto la domanda di Antonella Belfiglio, docente scolastica immessa in ruolo all’anno scolastico 2014/2015 in seguito a una successione di contratti a tempo determinato, rivolta alla condanna del Ministero dell’istruzione, Università e Ricerca al pagamento delle differenze retributive nei limiti della prescrizione quinquennale del diritto;
ha, di contro, negato in capo alla stessa il diritto al risarcimento del danno per l’asserita abusiva reiterazione dei contratti a termine, richiamando in motivazione la giurisprudenza di questa Corte circa la natura satisfattoria dell’avvenuta stabilizzazione del rapporto d’impiego (Cass. n. 22552 del 2016);
la cassazione della sentenza è domandata dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sulla base di un unico motivo;
Antonella Belfiglio ha opposto difese ed ha depositato altresì memoria ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ. la quale, tuttavia, in quanto inviata a mezzo posta e pervenuta presso la cancelleria di questa Corte oltre il termine stabilito dall’articolo citato, deve ritenersi inammissibile ed il suo contenuto non può essere preso in considerazione, non essendo applicabile per analogia l’art. 134, comma 5, disp. att. c.p.c., disposizione che riguarda esclusivamente il ricorso ed il controricorso (Cass. n. 31041 del 2019; Cass. n.8216 del 2020);
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., il Ministero ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione della Clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, degli artt. 485 e 489, e 569 d.lgs. 16/4/1994, n.297”;
la Corte territoriale avrebbe erroneamente accolto la domanda di riconoscimento integrale del servizio prestato anteriormente all’immissione in ruolo ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, senza considerare il diverso criterio di computo sancito in tema di ricostruzione della carriera dal d.lgs. n. 297 del 1994 (art. 485);
la norma da ultimo richiamata applica un meccanismo procedurale il quale contempla aggiustamenti compensativi rivolti a rendere comparabili servizi potenzialmente disomogenei tra loro;
la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto sia con le disposizioni normative, sia con la giurisprudenza consolidata della Corte europea di Giustizia, la quale, nella sentenza resa nel giudizio C-446/2017 (Chiara Motter contro Provincia autonoma di Trento del 20 settembre 2018), relativa alla compatibilità degli artt. 485 e 489 del testo unico sulla scuola con la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE 1999, ha stabilito che la predetta clausola 4 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale la quale, ai fini dell’inquadramento di un pubblico dipendente in una categoria retributiva al momento dell’assunzione in ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza di due terzi;
il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata;
come risulta dagli atti di causa il tema di diritto sollevato concerne non già – come affermato erroneamente dall’odierno ricorrente – la verifica della corretta applicazione dei criteri per l’immissione in ruolo fissati dall’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 (integrato dall’art. 489 dello stesso decreto, nonché dall’art. 11, comma 14, della I. n. 124 del 1999) bensì il diritto alle differenze retributive alla stregua del principio fissato nella clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE;
come indica l’odierna controricorrente, opponendo l’erroneità della ricostruzione della vicenda processuale da parte del Ministero, la domanda originaria, puntualmente trascritta, attesta che il giudizio era stato invocato al fine di ottenere il riconoscimento della progressione economica quale docente precaria;
la questione di diritto è stata risolta favorevolmente da questa Corte a partire dalla sentenza n. 22558 del 2016 e confermata da molte altre successive, le quali hanno affermato il pieno diritto del personale precario della scuola a vedersi riconoscere la medesima progressione stipendiale connessa all’anzianità di servizio riconosciuta al personale di ruolo sulla base del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva 1999/70/CE;
d’altro canto, la stessa Corte territoriale, sia pure seguendo, discutibilmente, un percorso argomentativo più aderente al tema della ricostruzione della carriera che a quello oggetto della controversia, ha applicato correttamente il principio di diritto sopra richiamato, affermando nel dispositivo l’illegittimità del mancato riconoscimento dell’effettiva anzianità di servizio in capo a Antonella Belfiglio e condannando il Ministero al pagamento in favore della stessa delle differenze retributive nei limiti della prescrizione quinquennale, oltre interessi;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile con la compensazione delle spese, considerato il recente assestamento della giurisprudenza sulla materia;
in considerazione della qualità del ricorrente, si dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, o ve dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i I ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale del 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020.