REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICCOLI Grazia – Presidente –
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere –
Dott. ROMANO Michele – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Vita Felice, nato a Messina il 02/12/1982;
avverso la ordinanza del 11/06/2020 del Tribunale di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Michele Romano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Francesca Romana Pirrelli, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Messina, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di Felice Vita avverso l’ordinanza del 14 febbraio 2020 con la quale la Corte di appello di Messina ha rigettato l’istanza di sostituzione, ai sensi dell’art. 89 d.P.R. n. 309 del 1990, della misura della custodia cautelare in carcere applicata al predetto per i delitti di porto di arma comune da sparo e di violazione di domicilio aggravata.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso Felice Vita, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di un unico motivo con il quale deduce la violazione del citato art. 89 ed il difetto di motivazione.
Il Vita aveva chiesto la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari presso una comunità, intendendo egli sottoporsi ad un programma di recupero per tossicodipendenti, ma la Corte di appello, anziché esaminare in modo specifico l’idoneità del programma proposto ai fini del recupero dell’imputato, aveva asserito, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice della cautela e quindi in violazione del giudicato cautelare, che ricorrevano eccezionali esigenze cautelari che impedivano l’invocata sostituzione.
Era peraltro illogico che le esigenze cautelari si aggravassero, anziché scemare, con il trascorrere del tempo.
Le esigenze cautelari potevano, al massimo, essere ritenute particolari e imporre il ricovero in una struttura residenziale.
Quanto alla scadenza del termine apposto alla dichiarazione, da parte della comunità di recupero, di disponibilità ad accogliere il Vita, addotta dal Tribunale del riesame per giustificare il rigetto, essa non era ancora maturata al momento della presentazione della richiesta e dell’appello; il Tribunale del riesame avrebbe potuto emettere un provvedimento di accoglimento dell’istanza subordinato all’accertamento della permanente disponibilità della comunità di recupero ad accogliere l’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Prima la Corte di appello e poi il Tribunale del riesame, in sede di appello, hanno ritenuto, sulla base della gravità dei fatti per i quali si procede e di quelli per i quali è già stato condannato con sentenza passata in giudicato, che ricorrono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, che ostano all’accoglimento della richiesta del Vita.
Peraltro, il Tribunale del riesame ha evidenziato che la eccezionalità delle esigenze cautelari è stata già affermata in altri provvedimenti con i quali sono state rigettate analoghe istanze.
Inoltre, ha evidenziato che in ogni caso il programma di recupero allegato all’istanza prevede l’espletamento di numerose attività mediche, ludiche e spirituali da svolgersi all’esterno nel corso dell’intera giornata, cosicché esso non appare compatibile con le esigenze cautelari concrete, atteso che il Vita risulta inserito in contesti di criminalità organizzata.
Il ricorrente non si confronta con tali argomentazioni, cosicché il suo ricorso risulta generico e come tale inammissibile.
2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc.
Così deciso i Roma, il 23 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020.