Confermata la sanzione disciplinare al Maresciallo Capo che nel proprio ufficio teneva un calendario storico riferito all’epoca del fascismo (Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 3 dicembre 2020, n. 7658).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Raffaele Greco, Presidente

Dott. Oberdan Forlenza, Consigliere

Dott. Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Dott. Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Dott. Alessandro Verrico, Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1167 del 2020, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Alfredo Caviglione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

– il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri e il Comando Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’inflizione della sanzione di corpo della consegna.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle intimate Amministrazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 12 novembre 2020, il Cons. Luca Lamberti e udito per la parte appellante l’avvocato Alfredo Caviglione, che partecipa alla discussione orale ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020 e dell’art. 4 del d.l. n. 28 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con provvedimento in data 22 luglio 2016 la competente articolazione territoriale dell’Arma dei Carabinieri respingeva il ricorso gerarchico svolto dall’odierno appellante, maresciallo capo dell’Arma, avverso il provvedimento del 20 giugno 2016 con cui gli era stata inflitta la sanzione disciplinare della consegna per giorni due.

1.1. La sanzione era motivata con l’assunta violazione degli articoli 717 e 732 d.P.R. n. 90 del 2010, commessa per aver detenuto nel proprio ufficio presso la Compagnia di -OMISSIS-, dove era stato condotto un soggetto attinto da misura cautelare custodiale (e che aveva poi reso pubblica la circostanza), un cimelio riferibile al periodo fascista (“un calendario storico riferito all’epoca del fascismo”).

2. L’interessato aveva gravato il provvedimento avanti il T.a.r. per il Piemonte, sostenendo che:

a) il calendario in questione non sarebbe riferito al fascismo, ma sarebbe semplicemente “un calendario storico dell’Arma dei carabinieri dell’anno 1939”;

b) l’Amministrazione avrebbe omesso ogni istruttoria;

c) le disposizioni asseritamente violate sarebbero inconferenti rispetto al caso di specie;

d) la motivazione sarebbe carente;

e) vi sarebbe una disparità di trattamento rispetto a casi in tesi simili;

f) il provvedimento sanzionatorio sarebbe tardivo, giacché il calendario sarebbe presente da tempo nell’ufficio del ricorrente.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. ha respinto il ricorso, osservando che:

a) “non vi è alcuna ragione di ritenere che l’amministrazione abbia travisato i fatti, non essendovi elementi per dubitare della veridicità di quanto attestato nelle relazioni redatte dai militari della Compagnia a seguito dell’accertamento dei fatti”; peraltro, “ciò che è oggetto di censura è stato il fatto di aver dato autonomo risalto al calendario fascista, appendendolo, non già come avviene comunemente su un portacalendari insieme ad altri indistintamente, bensì in maniera isolata, ben visibile e mantenendolo ivi anche durante le operazioni di polizia giudiziaria eseguite nei confronti di un soggetto noto di area antagonista”; oltretutto, il calendario in questione “mostra in copertina un’immagine ben visibile di Mussolini a mezzo busto (la cui effigie occupa circa metà della facciata) che si sopraeleva rispetto a una folla di carabinieri indistinta e raffigurati con dimensioni notevolmente inferiori rispetto a quella di Mussolini”;

b) “nel rapporto disciplinare a firma del Comandante della Compagnia Carabinieri di-OMISSIS- si dà espressamente atto che in data 15 marzo 2016, dopo i fatti, il Comandante della Compagnia, unitamente ad altro militare e al Comandante del N.O.R., si recavano nella stanza del -OMISSIS- e visionava il calendario oggetto di addebito”, ciò che dimostrerebbe per tabulas che l’Amministrazione avrebbe effettuato la necessaria istruttoria, tanto più che “di quanto sopra vi è conferma anche nella relazione di servizio del -OMISSIS- allegata all’istruttoria disciplinare”;

c) “i doveri a cui si fa riferimento nelle norme indicate sono doveri generali dei militari, che non possono prevedere una elencazione tassativa, specifica ed esaustiva delle condotte riprovevoli”; in termini generali, peraltro, le norme della disciplina militare “devono essere lette alla luce … in primo luogo della carta costituzionale, fondata sui valori dell’antifascismo e di ripudio dell’ideologia autoritaria fascista”, di talché non avrebbe valenza ostativa all’irrogazione della sanzione de qua il fatto che “la condotta del -OMISSIS-non sia stata ritenuta penalmente rilevante”;

d) il provvedimento recherebbe un’idonea motivazione;

e) non si apprezzerebbe la lamentata disparità di trattamento, posto che la presenza, in uno dei locali della Caserma, di “un quadro con i 5 stemmi araldici adottati dall’arma dei carabinieri dalla sua istituzione ad oggi, in cui vi è anche quello del 1935, costituito da uno scudo sovrapposto a due fasci littori” avrebbe un mero “valore storico e non politico”, in disparte il fatto che non sarebbe noto se il locale ove tale quadro sarebbe esposto sia accessibile al pubblico;

f) “la circostanza dedotta è irrilevante poiché il comportamento oggetto di addebito non consiste nel mero possesso del calendario, bensì nell’ostensione dello stesso durante le operazioni di polizia giudiziaria”.

4. L’interessato ha interposto appello, riproponendo criticamente le censure avanzate in primo grado, ad eccezione di quella sub d).

4.1. L’Amministrazione si è costituita in resistenza.

4.2. Il ricorso è stato discusso alla camera di consiglio del giorno 12 novembre 2020 ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020 e deliberato in pari data in video-conferenza, ai sensi della medesima disposizione.

5. Il ricorso in appello è infondato.

6. Il Collegio, seguendo l’ordine delle censure svolte in prime cure dal ricorrente, osserva quanto segue.

a) Il calendario è effettivamente collegabile con l’ideologia fascista non solo perché raffigura a tutta pagina il duce del fascismo, ma anche perché è l’unico calendario presente nell’ufficio: è evidente, dunque, che l’esclusiva presenza di esso nella stanza del ricorrente, lungi dal voler riferirsi in maniera neutra alla storia dell’Arma, veicola un implicito messaggio politico.

Non consta, dunque, alcun travisamento dei fatti da parte dell’Amministrazione, tanto più che il calendario è stato mostrato ai Superiori dallo stesso interessato.

Né vi è, poi, alcuna contraddittorietà nell’operato dei Superiori stessi, che, in tesi, conoscevano da tempo la presenza di tale calendario nella stanza del ricorrente: a ben vedere, infatti, l’infrazione disciplinare contestata non risiede nel possesso in sé di tale oggetto, ma nella relativa detenzione in un ufficio dell’Amministrazione ove erano stati condotti estranei, oltretutto appartenenti all’area cosiddetta “antagonista” ed attinti da provvedimento coercitivo dell’Autorità Giudiziaria.

In sostanza, l’Amministrazione ha inteso stigmatizzare una condotta potenzialmente lesiva del prestigio dell’Arma presso il pubblico, in quanto atta a offuscarne l’apoliticità e l’assoluta ed esclusiva fedeltà alle Istituzioni repubblicane o, quanto meno, a consentire una strumentalizzazione in tal senso.

Non constano, infine, ragioni di inimicizia od ostilità dei Superiori gerarchici nei confronti dell’interessato.

b) Come evidenziato dal T.a.r., attesa la semplicità del fatto, l’istruttoria era altrettanto semplice e non poteva che limitarsi alla materiale visione dell’oggetto, mentre la relativa qualificazione come mero cimelio storico o, al contrario, come richiamo del periodo fascista atteneva non alla fase istruttoria, ma alla fase propriamente valutativa del procedimento disciplinare.

c) Le disposizioni di cui agli articoli 717 e 732 d.P.R. n. 90 del 2010 recano doveri generali del militare (rispettivamente “senso di responsabilità” e “contegno”), che devono informarne in ogni momento la condotta: lungi dall’essere inconferenti, sono dunque parametri generali da cui discende un vincolo di condotta, certo violato dall’esposizione, in un ufficio dell’Amministrazione aperto al pubblico (anche solo in una circostanza), di un oggetto che richiama direttamente, specificamente ed esclusivamente il passato fascista.

Non ha rilievo, pertanto, che la condotta dell’interessato sia stata ritenuta, dalle competenti Autorità, priva di disvalore penale.

e) Non si apprezza alcuna disparità di trattamento, giacché il quadro in tesi presente in una stanza della Caserma, a quanto consta, mostra tutti gli storici stemmi araldici dell’Arma dei Carabinieri, non solo quello adottato durante il ventennio fascista; per di più, non è neppure provato che estranei all’Amministrazione abbiano od avessero libero accesso alla stanza (elemento decisivo della contestazione disciplinare, v. suprasub a).

f) Infine, non vi è alcuna tardiva contestazione, posto che l’infrazione disciplinare consegue proprio alla presenza di tale calendario al momento dell’accesso di estranei nell’ufficio, circostanza verificatasi per la prima volta, a quanto consta, nel caso di specie.

7. Per le esposte considerazioni, pertanto, l’appello è infondato e, specularmente, non vi è ragione di disporre l’incombente istruttorio chiesto dal ricorrente, afferente a questioni (l’assunta risalenza della presenza del calendario nell’ufficio del ricorrente) estranee al thema decidendum.

8. La natura della controversia e l’assenza di una concreta attività defensionale dell’Amministrazione, limitatasi a costituirsi in giudizio, suggeriscono la compensazione delle spese del grado

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2020 – svoltasi da remoto in video-conferenza ex art. 25 d.l. n. 137 del 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020.

Consiglio di Stato – Sentenza -.