REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONI Monica – Presidente
Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI
nel procedimento a carico di:
DI CORATO NUNZIA nato a ANDRIA( ITALIA) il 29/09/1976;
STALLONE GIUSEPPE nato a ANDRIA il 10/02/1939;
PASTORE NUNZIA nato a ANDRIA il 26/06/1948;
STALLONE MICHELE nato a ANDRIA il 17/10/1971;
nel procedimento a carico di questi ultimi
DI CORATO NUNZIA nato a ANDRIA il 29/09/1976
AGENZIA NAZIONALE PER I BENI CONFISCATI ALLA MAFIA;
avverso il decreto del 02/05/2019 della CORTE APPELLO di BARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Raffaello MAGI;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, Dott. Luca BIRRITTERI, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del P.G. di Bari e il rigetto del ricorso proposto dalla difesa delle parti private.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Trani, Sezione per le Misure di Prevenzione, con decreto emesso in data 20 febbraio 2018 ha disposto, nei confronti di Stallone Giuseppe classe 1939 e dei terzi Pastore Nunzia, classe 1948, e Stallone Michele, classe 1971, la misura di prevenzione patrimoniale della confisca, in via disgiunta, in riferimento a numerose unità immobiliari compiutamente indicate nel dispositivo della decisione (alle pagine 181/183).
1.1 La ricognizione incidentale della pericolosità e del suo ambito temporale — quali presupposti della confisca dei beni risultati sproporzionati rispetto al reddito del nucleo familiare – si è diretta verso la persona di Stallone Giuseppe ed è stata ritenuta sussistente nei sensi che seguono.
1.2 II Tribunale tratta il tema (da pag. 11 a pag. 24) indicando:
a) le condanne definitive riportate nel corso del tempo (dal 1964 al 1986) da Stallone Giuseppe;
b) i cd. precedenti di polizia, consistenti in denunzie, diffide, arresti e sottoposizioni a misure di prevenzione personale (tra cui la sottoposizione alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza del 26 giugno 1970 e quella del 9 novembre 1985).
Quanto alle condanne definitive, va evidenziato che Stallone Giuseppe risulta condannato per la condotta di sequestro di persona a scopo di estorsione commessa il 30 maggio del 1984 (sequestro in danno di Fenotti Pietro).
In precedenza, tra quelle di maggior rilievo, risultano ricomprese una condanna per rapina per fatto commesso il 3 novembre 1961, una condanna per lesioni commesse il 7 novembre del 1972, una condanna per contrabbando per fatti del 1976.
Il Tribunale, richiamando i contenuti di precedenti decreti emessi nel corso del tempo nei confronti di Stallone Giuseppe evidenzia altresì il coinvolgimento dello Stallone in procedimenti penali relativi ad altri cinque sequestri di persona, conclusi con sentenze di proscioglimento. In dette vicende lo Stallone, pur prosciolto, sarebbe risultato in «strettissimo collegamento» con gli imputati condannati.
Si compie altresì riferimento alle attività di contrabbando svolte alla fine degli anni ’70, alle ingenti disponibilità finanziarie del proposto, che risultavano — già durante gli anni ’80 — investite, sia in beni immobili, che in attività di ristorazione, mediante la creazione e gestione del complesso turistico Castel del Monte Garden s.r.I..
Circa tale aspetto viene ricordato che con decisione del 19 ottobre 1992 il Tribunale di Bari aveva respinto una proposta applicativa di misure di prevenzione, evidenziando che da un lato non vi erano elementi concreti in punto di «attualità» della pericolosità, dall’altro che la condizione di sproporzione tra redditi e investimenti era da ritenersi in massima parte correlata alla «massiccia evasione fiscale» derivante proprio dalle attività svolte dalla Caste! del Monte Garden s.r.l. e non da altri reati. Al contempo, si afferma, era «rimasta in ombra» in tale giudizio del 1992 la modalità di realizzazione della provvista finanziaria che determinò l’investimento iniziale per la costruzione della struttura ricreativa.
1.3 Ciò posto, il Tribunale di Trani evidenzia che la decisione emessa nell’anno 1992, che comportò la restituzione allo Stallone di tutti i beni originariamente in sequestro (ivi compresa una ingente provvista finanziaria liquida), non è di ostacolo alla applicazione della confisca e ciò, sia in rapporto alla avvenuta acquisizione di nuovi elementi di fatto (ulteriori acquisizioni societarie e investimenti, posteriori al 1992), che ai mutamenti in diritto derivanti dalla introduzione dell’istituto della confisca disgiunta all’interno del Codice Antimafia (d.lgs. n.159 del 2011).
Si afferma, in tale parte della decisione, la sussistenza di una condizione di pericolosità «storica» dello Stallone che copre un arco temporale molto esteso, accertato dal 1961 al 1984 (in riferimento ai fatti evidenziati in precedenza) e ciò, sia in rapporto ai fatti oggetto di condanna in sede penale, che in riferimento al coinvolgimento dello Stallone negli «altri» episodi di sequestro (in particolare si citano due episodi avvenuti nel 1979 e nel 1982) definiti con il proscioglimento. Viene elevato, in tale parte della decisione a «sintomo» di pericolosità il fatto storico della esistenza di contatti e frequentazioni dello Stallone con i soggetti che per tali episodi sono stati condannati. Si compie riferimento, altresì, all’attivismo dello Stallone nel settore delle compravendite immobiliari.
L’inquadramento operato dal Tribunale, sulla base di tali elementi, nelle categorie tipizzate di pericolosità viene operato, sia in riferimento alla fattispecie di cui alla lettera a) dell’art.1 del d.lgs. n.159 del 2011 (soggetto abitualmente dedito a traffici delittuosi), che a quella della lettera b) della medesima disposizione ( per l’abituale destinazione al sostegno del tenore di vita dei proventi di attività delittuose).
Si tratta, come si è detto, di pericolosità non più attuale, che il Tribunale, alle pagine 23 e 24 del decreto di primo grado estende — temporalmente – anche ad un periodo posteriore al 1984, arrivando a coprire l’intero corso degli anni ’90.
Ciò in riferimento alle condotte di evasione fiscale che, pur non accertate processualmente, vengono desunte dal fatto che lo Stallone ha beneficiato del condono fiscale di cui alla legge n.413 del 1991, con versamenti operati tra il 1992 ed il 1993 che hanno consentito di «sanare» gli illeciti tributari commessi tra il 1983 ed il 1990.
Si sostiene, in tale parte della decisione che lo Stallone, a seguito della restituzione – avvenuta nel 1992 – di circa 2 milioni di euro avrebbe, in sostanza, proceduto in epoca posteriore al reimpiego di tale somma, di illecita provenienza in quanto profitto di evasione fiscale, e ciò sino alla fine degli anni ’90.
Successivamente il Tribunale analizza gli aspetti strettamente patrimoniali relativi alla «serie storica» degli investimenti ed alla ricostruzione dei redditi conseguiti dal nucleo familiare, con i risultati evidenziati in premessa.
2. Con decreto emesso in data 2 maggio 2019 la Corte di Appello di Bari ha riformato la prima decisione, nei sensi che seguono.
2.1 E’ stata operata la restituzione di taluni beni oggetto di confisca in primo grado (indicati alle pagine 12 e 13), essenzialmente in ragione della «riduzione» dell’ambito temporale di pericolosità «storica» del proposto, come meglio si dirà nel prosieguo.
2.2 La Corte di secondo grado, nel valutare i motivi di appello con cui era stata invocata la preclusione processuale per il giudicato favorevole del 19 ottobre 1992, afferma in sintesi che:
a) la decisione emessa nel 1992 attesta la mancata derivazione del bene di maggior rilievo (il complesso dedicato alla ristorazione) dal reato di sequestro di persona in ragione della assenza di prova su tale punto, ma ritiene verosimile – senza compiere un accertamento pieno – la derivazione del patrimonio dello Stallone da condotte di evasione fiscale, trasmettendo gli atti alla locale Procura della Repubblica;
b) ciò rende possibile la attuale confisca disgiunta, in ragione della sopravvenienza sia di dati normativi che fattuali, idonei a superare l’effetto preclusivo della decisione di cui sopra.
Il novum fattuale viene indicato nell’apprezzamento delle condotte di evasione, che erano state – peraltro – ammesse nella procedura del 1992 (anche documentate con consulenza di parte tesa a indicarne la possibile consistenza) e sanate dallo Stallone, usufruendo del condono, con i versamenti posteriori alla revoca del sequestro del 1992, versamenti che non comportano la riqualificazione dei profitti in termini di liceità.
Il risparmio di spesa ha rappresentato, si afferma, la provvista per gli investimenti, anche successivi a tale epoca, né può dirsi necessaria – a fini di applicazione della misura di prevenzione – la previa definizione di un procedimento penale a carico.
2.3 Rivisitando il giudizio di pericolosità «storica» la Corte di Appello afferma, pertanto, che:
a) la pericolosità dello Stallone va ritenuta sussistente quantomeno dal 1983 sino alla fine degli anni ’90 e si ricollega da un lato alla condanna per la partecipazione al sequestro Fenotti, dall’altro alle condotte di evasione fiscale e successivo reimpiego del risparmio di spesa;
b) per il periodo antecedente al 1983 si ritiene carente il supporto probatorio che era stato evidenziato dal Tribunale, con delimitazione temporale, come si è detto, ristretta;
c) si ritengono dunque confiscabili gli immobili acquistati nel 1989 (dal coniuge Pastore), nel 1995 e nel 1998, posto che i medesimi – premessa la sproporzione già accertata in primo grado – rientrano nel periodo di accertata pericolosità;
d) vengono, di conseguenza, restituite le unità immobiliari acquistate nel 1971 e nel 1974 per assenza di correlazione temporale con la pericolosità dello Stallone.
3. Avverso detto decreto hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale territoriale e le parti private.
3.1 D ricorso del Procuratore Generale è relativo alla restituzione parziale dei beni oggetto di confisca in primo grado.
Il P.G. ricorrente deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice e apparenza di motivazione.
Il ricorrente evidenzia che la Corte di secondo grado si è limitata ad affermare, quanto al periodo storico antecedente al 1983, la «mancanza di specifici elementi di prova» lì dove il Tribunale aveva puntualmente evidenziato i pregiudizi penali (tra cui la condanna per contrabbando) e le intervenute applicazioni della sorveglianza speciale.
La successiva condanna per la partecipazione al sequestro di persona (inquadrabile nelle ipotesi di pericolosità qualificata) e la massiccia evasione fiscale attribuita allo Stallone dimostravano, pertanto, la continuità delle condotte illecite tenute nel corso del tempo dal medesimo, con immotivata riduzione del periodo di pericolosità oggetto di ricostruzione in primo grado.
3.2 Nell’interesse di Stallone Giuseppe e dei terzi Stallone Michele e Pastore Nunzia è stato proposto dai difensori e procuratori speciali – in riferimento alla posizione dei terzi – avv. Alfredo Gaito e avv. Vittorio Geronda Vertaldi unico atto di ricorso.
3.2.1 Al primo motivo si deduce la inosservanza della legge processuale con riferimento all’annesso riconoscimento della preclusione processuale derivante dal decreto emesso in data 19 ottobre 1992 dal Tribunale di Bari.
Si compie riferimento ai contenuti della decisione emessa in data 19 ottobre 1992 nel cui ambito si era affermato:
a) che la prova della «derivazione» dei beni dalle attività illecite poste in essere dallo Stallone in riferimento ai fatti di pericolosità qualificata (ossia la partecipazione al sequestro di persona) «manca del tutto»;
b) che lo Stallone, pur da ritenersi pericoloso in considerazione delle condotte pregresse, non può ritenersi attualmente pericoloso (dal 1989 in poi), mancando elementi in tal senso.
Circa tali aspetti si precisa che il Tribunale e la Corte di Appello, hanno tuttavia ritenuto assente la preclusione derivante dai contenuti della decisione prima citata, facendo riferimento a intervenuti mutamenti, tanto del quadro legislativo che degli elementi conoscitivi disponibili.
Si è, in particolare, evidenziato in sede di merito il rilievo delle condotte di evasione fiscale su cui la decisione del 1992 non avrebbe realizzato un accertamento pieno, limitandosi a trasmettere gli atti alla Procura competente. Ad avviso dei ricorrenti tali affermazioni sono erronee.
La legge numero 55 del 1990 – all’epoca vigente – estendeva le disposizioni di cui alla legge n. 575 del 1965 (concernente la pericolosità qualificata per indizi di appartenenza alle associazioni mafiosi) ai soggetti condannati per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione e dunque alla condizione soggettiva dello Stallone (condannato per il sequestro Fenotti), aspetto che il Tribunale, con evidente errore in diritto, non considera esistente (affermando la vigenza delle disposizioni solo in epoca posteriore alla definizione della procedura di prevenzione).
Da ciò la difesa desume che la stessa valorizzazione delle condotte di evasione fiscale, come fatto nuovo idoneo a determinare la confisca disgiunta, si basa su una erronea ricognizione dei contenuti della decisione emessa nel 1992.
Si evidenzia, in particolare, che le condotte di evasione erano emerse – con allegazioni difensive – già nel corso del procedimento concluso con la decisione prima citata e, pertanto, trattandosi di elementi conosciuti – ed apprezzati in tale procedura – non potevano essere considerati un novum in senso fattuale.
Ancora, sul piano del novum legislativo, si evidenzia che l’istituto della confisca disgiunta, pur riconosciuto con le disposizioni introdotte del 2008 e nei 2009 non era estraneo alle applicazioni giurisprudenziali in tema di pericolosità qualificata (viene citato l’arresto Sez. U., del 3.07.1996, Simonelli e talune decisioni posteriori di questa Corte) e, pertanto, ben poteva – nella procedura definita nel 1992 – pervenirsi a confisca dei beni anche in ipotesi di cessazione della pericolosità.
Né appaiono sussistenti, secondo i ricorrenti, elementi fattuali di reale novità circa le pretese condotte di evasione, posto che le decisioni di merito pervenute alla odierna confisca hanno operato costante riferimento, in fatto, proprio ai contenuti delle allegazioni difensive relative alla procedura definita nell’anno 1992 e non ad accertamenti posteriori.
Gli accadimenti posteriori vengono evocati – in sede di merito – in riferimento a condotte, al più, di reimpiego di quei medesimi proventi, oggetto di restituzione a seguito della decisione, favorevole allo Stallone, del 1992.
Ma su tale punto i ricorrenti evidenziano non soltanto che la restituzione delle somme di denaro non poteva essere – di certo – riferibile alla condanna per il sequestro di persona (posto che, come risulta dalla sentenza di merito, per la liberazione del Fenotti non venne pagato alcun riscatto), ma anche che non risulta alcuna decisione su fatti di reato posteriori, tanto che nel 2008 Stallone ha ottenuto la riabilitazione.
Gli impieghi posteriori all’anno 1992 derivano, pertanto, dalla liquidità oggetto di restituzione a seguito della decisione favorevole emessa all’epoca e – in quanto somma di denaro non oggetto di confisca – ben potevano essere impiegati, in parte, per gli acquisti successivamente realizzati.
L’assenza di reali elementi nuovi, sia in fatto, che in diritto, doveva condurre all’accoglimento della eccezione difensiva in tema di preclusione derivante dal giudicato, pur tenendosi conto della particolare natura del giudicato di prevenzione.
3.2.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge in tema di ricognizione della pericolosità.
I ricorrenti evidenziano che quanto alla condanna per contrabbando la stessa è di modesta entità e non potrebbe giustificare la effettiva percezione di un reddito illecito consistente.
Quanto alle condotte di evasione fiscale si evidenzia che in sede di merito non è stato minimamente affrontato il tema della distinzione – in tale ambito – tra delitti e contravvenzioni, tema centrale ai fini di un possibile inquadramento soggettivo nelle categorie tipizzate di pericolosità.
Si citano, sull’argomento, recenti arresti di questa Corte tra cui Sez. VI, 21.9.2017, D’Alessandro. Ed ancora, si evidenzia che, se da un lato l’avvenuta adesione al condono fiscale (con sanatoria degli illeciti intervenuti tra il 1983 e il 1990) può rappresentare un elemento di prova circa la loro sussistenza, dall’altro la stessa giurisprudenza di legittimità impone – in simili casi – di detrarre gli importi versati a titolo di condono dal contenitore della ipotizzata provvista illecita, in virtù dell’avvenuta estinzione della obbligazione tributaria.
Una volta operato il recupero della imposta evasa, la quota-parte di reddito derivante da attività lecita non potrebbe, in simili casi essere ritenuta profitto di attività illecita, con tutto ciò che ne deriva sia in punto di qualificazione della pericolosità soggettiva che in punto di sproporzione tra reddito e investimenti.
In virtù di quanto detto sopra, la Corte di Appello non avrebbe posto in essere un inquadramento della pericolosità «tipica» dello Stallone conforme ai contenuti della linea interpretativa seguita da questa Corte di legittimità in epoca posteriore alla pronunzia con cui la Cedu (sentenza De Tommaso contro Italia del febbraio 2017) ha condannato l’Italia per il deficit di prevedibilità e chiarezza delle disposizioni di legge in tema di descrizione dei connotati della pericolosità generica.
3.2.3 Al terzo motivo si deduce, quanto alla posizione dei terzi interessati, erronea applicazione di legge.
Quanto alla posizione di Stallone Michele si deduce l’omessa valutazione delle doglianze relativa alla avvenuta percezione di redditi dalla Caste’ Del Monte Garden, redditi del tutto indipendenti dalle condotte di pretesa evasione, non poste in essere dal terzo. Quanto alla posizione di Pastore Nunzia, la Corte di Appello avrebbe omesso di calcolare i redditi da locazione derivanti dagli immobili oggetto di restituzione.
3.2.4 La difesa dei ricorrenti, inoltre, ha depositato sia note di contrasto ai contenuti del ricorso proposto dal P.G. territoriale, che note relative al contenuto della requisitoria del P.G. presso questa Corte di Cassazione.
In tali atti si evidenzia che nessun rilievo può essere attribuito – sul tema della perimetrazione temporale della pericolosità – alla attrazione legislativa del reato di sequestro di persona (ai sensi dell’art.4, co.1 lett. b, del d.lgs. n.159 del 2011) all’area della pericolosità qualificata, posto che non solo tale collocazione è posteriore alla definizione del procedimento del 1992, ma perché le stesse Sezioni Unite di questa Corte nella nota decisione Spinelli del 2014 indicano come possibile una deroga alla rigida correlazione temporale tra pericolosità e incrementi patrimoniali nel solo ‘settore’ della criminalità organizzata di stampo mafioso e non per le singole fattispecie di reato come il sequestro di persona.
Si ribadisce, peraltro, che già nel 1992 vigeva la norma che estendeva le regole della prevenzione antimafia al reato in parola e tale dato, come esposto nel ricorso, va in realtà a sostenere la tesi della preclusione non superabile.
Resta il fatto, dunque, che le condotte poste in essere dallo Stallone nel periodo 1961-1983 sono del tutto inidonee, seguendo le coordinate della recente giurisprudenza, a dare luogo ad una qualificazione «tipizzata» della pericolosità di Stallone Giuseppe, così come ritenuto – in tale parte della decisione – dalla Corte di Appello di Bari.
Si compie riferimento, sul tema, ai contenuti della sentenza n. 24 del 2019, con cui la Corte costituzionale ha espunto dal quadro legislativo, per violazione dei canoni di prevedibilità e tassatività descrittiva, la fattispecie di cui all’art.1, co. 1 lett. a), del d.lgs. n.159 del 2011 ed ha imposto l’adozione, quanto ai contenuti della previsione di legge di cui alla lettera b) del medesimo articolo, di coordinate interpretative rispettose del canone della tassatività, già emerse in sede di legittimità.
Gli argomenti difensivi esposti nell’atto di ricorso sono ribaditi nella memoria di replica alle conclusioni scritte del P.G..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto dal Procuratore Generale è infondato;
1.1 Il ricorso proposto da Stallone Giuseppe e dai terzi interessati è fondato, nei limiti e per le ragioni che seguono.
2. La complessa vicenda oggetto dei giudizi di merito è stata trattata e decisa in primo grado in epoca antecedente alla emissione della decisione della Corte Costituzionale numero 24 del 24 gennaio 2019 (depositata il 27 febbraio del 2019), mentre il decreto della Corte di Appello – che pure non ne fa menzione – risulta posteriore.
2.1 Lo scrutinio dei motivi di ricorso – nel cui ambito è peraltro introdotto il tema del necessario adeguamento interpretativo ai contenuti della sentenza della Consulta – va, pertanto, operato anche alla luce dei contenuti apportati dal giudice delle leggi ed in particolare detto scrutinio non può prescindere dalla constatazione dell’avvenuta esclusione dal quadro normativo della categoria tipica dei soggetti «abitualmente dediti a traffici delittuosi» (categoria evocata dal Tribunale nell’ambito della ricostruzione della pericolosità di Stallone Giuseppe), né dalla natura giuridica – di sentenza interpretativa di rigetto – da attribuirsi alla citata decisione n. 24 del 2019 sui temi oggetto di trattazione (la categoria tipica della abituale destinazione al mantenimento del tenore di vita dei proventi di attività delittuose).
2.2 Come questa Corte ha già avuto modo di osservare (per tutte v. Sez. I, n. 27696 dell’ 1.4.2019, rv. 275888), lì dove in sede di merito – così come nel caso in esame – si sia proceduto ad un inquadramento ‘promiscuo’ del soggetto proposto nelle categorie tipiche di cui alle lettere a) e b) del d.lgs. n.159 del 2011, l’effetto della decisione n. 24 del 2019 della Corte costituzionale è duplice: da un lato occorre prendere atto della avvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della ipotesi di cui alla lettera a) del citato articolo 1 (con immediata rimozione degli effetti della norma oggetto della declaratoria di incostituzionalità), dall’altro occorre realizzare una accurata ricognizione dei contenuti del provvedimento di merito sulla ipotesi residua di cui alla lettera b) (il vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose) e ciò in ragione del fatto che anche rispetto a tale disposizione la decisione del giudice delle leggi – lungi dal convalidare senza rilievi la modalità lessicale di formulazione del testo dì legge – si atteggia a sentenza interpretativa di rigetto, i cui contenuti argomentativi pongono precise condizioni di «validità costituzionale» del modus interpretativo adottato nel caso concreto (si vedano, sul tema anche Sez. I, n. 27696 del 1.4.2019, rv. 275888-02 ; Sez. II, n. 11445 del 8.3.2019, rv. 276061; Sez. VI, n. 21513 del 9.4.2019, rv. 275737).
2.3 In particolare, giova ricordare che a seguito dell’intervento della Consulta in tale parte ‘constatativa’ del giudizio di prevenzione, l’ applicazione della disposizione di cui alla lettera b) dell’art. 1 del d.lgs. n.159 del 2011 può dirsi conforme ai principi costituzionali di riferimento se ed in quanto il giudice di merito abbia rispettato, dandone conto in motivazione, quei connotati di «tassatività» dei contenuti, già individuati da questa Corte di Cassazione negli arresti posteriori alla nota decisione Corte Edu De Tommaso contro Italia e così riassunti dal giudice delle leggi nella sent. n. 24 del 2019 « [..] le “categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi «elementi di fatto», di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione (art. 13, secondo comma, Cost.) – per cui deve trattarsi di
a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto,
b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui,
c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito ».
2.4 Resta pertanto ineliminabile, nel giudizio di prevenzione, la realizzazione di una operazione preliminare di inquadramento del soggetto – di cui si discute – in una delle categorie legali di descrizione della pericolosità, secondo canoni interpretativi tesi a valorizzare la dimensione tassativa delle previsioni di legge, in particolare per quanto concerne l’area della pericolosità generica (caratterizzata da contenuti legislativi che fanno ricorso a locuzioni più elastiche rispetto a quelle della pericolosità qualificata, modellate su specifiche fattispecie di delitto).
In particolare, va evidenziato che è stata proprio la promozione ed il consolidamento di simile opzione ermeneutica a determinare – in sede di decisione sull’incidente di legittimità costituzionale – la presa d’atto, da parte della Consulta, di una conformità del «diritto vivente» – in riferimento alla fattispecie di cui alla lettera b) del citato art. 1 – ai canoni imposti dalla definitiva «attrazione» del sistema della prevenzione in un ambito presidiato dai principi costituzionali espressi dall’articolo 13 Cost. in tema di tutela della libertà personale – nonché dagli artt.42, 117 Cost. e 1 Prot. add. Cedu in tema di tutela della proprietà -, pur nella riaffermazione della distinzione tra «materia penale» in senso stretto ed intervento «preventivo» e limitativo di diritti costituzionalmente garantiti.
2.5 Occorre, pertanto, riportare per sintesi i contenuti della decisione in parola e lo stretto «collegamento funzionale» che la Corte costituzionale ha ritenuto sussistente, in tale contesto, tra il compito integrativo affidato alla interpretazione giurisprudenziale e il mantenimento di un livello accettabile di «qualità della legge» : « [4 occorre ancora rammentare che, già in epoca immediatamente precedente alla sentenza de Tommaso, la giurisprudenza di legittimità aveva compiuto un commendevole sforzo di conferire, in via ermeneutica, maggiore precisione alle due fattispecie di “pericolosità generica” qui all’esame.
Tale sforzo interpretativo è stato ripreso e potenziato successivamente alla pronuncia della Corte CEDU, al dichiarato fine di porre rimedio al deficit di precisione in quella sede rilevato.
Questa lettura convenzionalmente orientata, talora indicata come “tassativizzante”, muove dal presupposto metodologico secondo cui la fase prognostica relativa alla probabilità che il soggetto delinqua in futuro è necessariamente preceduta da una fase diagnostico-constatativa, nella quale vengono accertati (con giudizio retrospettivo) gli elementi costitutivi delle cosiddette “fattispecie di pericolosità generica”, attraverso un apprezzamento di «fatti», costituenti a loro volta «indicatori» della possibilità di iscrivere il soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste dalla legge (Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 1 febbraio 2018- 31 maggio 2018, n. 24707; sezione seconda, sentenza 4 giugno 2015-22 giugno 2015, n. 26235; sezione prima, sentenza 24 marzo 2015-17 luglio 2015, n. 31209; sezione prima, sentenza 11 febbraio 2014-5 giugno 2014, n. 23641).
Con riferimento, in particolare, alle “fattispecie di pericolosità generica” disciplinate dall’art. 1, numeri 1) e 2), della legge n. 1423 del 1956 e – oggi – dall’art. 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 159 del 2011 (disposizione, quest’ultima, alla quale per comodità si farà prevalentemente riferimento nel prosieguo), i loro elementi costitutivi sono stati dalla Corte di cassazione precisati nei termini seguenti.
L’aggettivo «delittuoso», che compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, viene letto nel senso che l’attività del proposto debba caratterizzarsi in termini di “delitto” e non di un qualsiasi illecito (Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 19 aprile 2018-3 ottobre 2018, n. 43826; sezione seconda, sentenza 23 marzo 2012-3 maggio 2012, n. 16348), sì da escludere, ad esempio, che «il mero status di evasore fiscale» sia sufficiente a fondare la misura, ben potendo l’evasione tributaria consistere anche in meri illeciti amministrativi (Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 6 dicembre 2016-9 febbraio 2017, n. 6067; sezione sesta, sentenza 21 settembre 2017-21 novembre 2017, n. 53003). L’avverbio «abitualmente», che pure compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, viene letto nel senso di richiedere una «realizzazione di attività delittuose […] non episodica, ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto» (Cass., n. 31209 del 2015), in modo che si possa «attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate» (Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 15 giugno 2017-9 gennaio 2018, n. 349), talora richiedendosi che esse connotino «in modo significativo lo stile di vita del soggetto, che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque significativi» (Corte di cassazione, sezione seconda, sentenza 19 gennaio 2018-15 marzo 2018, n. 11846) [..] .
Viene, dunque, in rilievo la descritta connotazione dei termini «delittuosi» ed il significato attribuito alla nozione di abitualità, come veri e propri presidi della legittimità costituzionale della stessa «base legale» dell’art.1, co.1 lett. b), del d.lgs. n.159 del 2011 in tema di prevenzione: « [..] allorché si versi – come nelle questioni ora all’esame – al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione.
Essenziale – nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale – è, infatti, che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa [..] ..
La locuzione «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» è oggi suscettibile, infatti, di essere interpretata come espressiva della necessità di predeterminazione non tanto di singoli “titoli” di reato, quanto di specifiche “categorie” di reato.
Tale interpretazione della fattispecie permette di ritenere soddisfatta l’esigenza – sulla quale ha da ultimo giustamente insistito la Corte europea, ma sulla quale aveva già richiamato l’attenzione la sentenza n. 177 del 1980 di questa Corte – di individuazione dei «tipi di comportamento» («types of behaviour») assunti a presupposto della misura [..] ».
2.6 Dai contenuti della decisione n. 24 del 2019 Corte cost. deriva – pertanto – una particolare esigenza di uniformità dell’indirizzo giurisprudenziale maturato nella presente sede di legittimità e richiamato dalla Consulta, sui punti caratterizzanti l’operazione ermeneutica sin qui rievocati, posto che l’adozione di letture diverse delle disposizioni ancora vigenti, tese a riportare in vita modelli di classificazione basati su concetti non rispondenti alla tassatività descrittiva, finirebbe con il porsi in contrasto con il delicato assetto di conformità ai principi costituzionali e convenzionali proposto e realizzato in tale decisione.
Va quindi ribadita l’affermazione (v. Sez. I, n. 349 del 15.6.2017, dep. 2018, Bosco, rv. 271996 e successive conformi) per cui, nella costruzione della fattispecie legale di pericolosità di cui all’arti, co.1 lett. b), del d.lgs. n.159 del 2011 il termine ‘delittuoso’ non è connotazione di disvalore generico della condotta pregressa, ma attributo che la qualifica, dunque il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate (dato il riferimento alla abitualità) che – vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale, vuoi attraverso una autonoma ricostruzione incidentale che non risulti contraddetta da esiti assolutori – siano ‘rispondenti al tipo’ di una previsione di legge penalmente rilevante e consistente in un delitto.
3. Operata tale premessa, necessaria ad esaminare entrambi gli atti di ricorso, va qui rilevata la infondatezza del ricorso proposto dal Procuratore Generale territoriale.
3.1 n ricorrente muove le sue critiche in riferimento ad una espressione – indubbiamente sintetica – utilizzata dalla Corte di Appello nel corpo della decisione, quanto alla assenza di specifici elementi di prova idonei a sostenere la «condizione di pericolosità dello Stallone» a far data dal 1961, così come argomentata in primo grado. Tuttavia la decisione va considerata nel suo complesso e, soprattutto, alla luce dei principi ricordati al paragrafo 2 della presente sentenza.
3.2 E’ evidente, infatti, che le considerazioni espresse – anche in altri punti della decisione – dalla Corte di Appello di Bari, correttamente individuano un vizio di metodo della prima decisione, lì dove si fondava la ‘costante’ pericolosità (per oltre un trentennio) dello Stallone non tanto sugli esiti dei giudizi penali (peraltro eterogenei) che lo hanno riguardato nel periodo 1961 – 1984, quanto su «contatti e frequentazioni» intervenute con soggetti autori di altri sequestri di persona (per episodi che hanno visto prosciolto lo Stallone) o su mere presunzioni relative alla movimentazione non giustificata di somme di danaro.
Per quanto sintetica, dunque, l’espressione utilizzata dalla Corte di Appello finisce con l’evidenziare che i connotati «tipici» del giudizio preliminare di inquadramento della pericolosità (cd. parte constatativa del giudizio di prevenzione) sono – in tale periodo storico – del tutto assenti, non potendo essere valorizzati, in tale ambito, mere frequentazioni o sospetti la cui valenza indicativa sia stata ‘smentita’ (come nel caso della assoluzione) o non sia stata autonomamente elaborata dal giudice della procedura di prevenzione (si veda, sul tema, Sez. I, n. 43826 del 19.4.2018, rv. 273976, ove si è affermato che in sede di verifica della pericolosità sociale del soggetto proposto per l’applicazione della confisca di prevenzione ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il giudice della prevenzione deve individuare il momento iniziale della suddetta pericolosità, al fine di sostenerne la correlazione con l’acquisto dei beni, sulla base non della constatazione di condotte genericamente indicative della propensione al delitto, ma dell’apprezzamento di condotte delittuose corrispondenti al tipo criminologico della norma che intende applicare, individuando il momento in cui le stesse abbiano raggiunto consistenza e abitualità tali da consentire, già all’epoca, l’applicazione della misura di prevenzione).
Ciò perché in tali ipotesi non è soltanto la limitata consistenza dimostrativa del dato probatorio ad essere inidonea; finirebbe – in ipotesi di affermazione della condizione di pericolosità – con il venire meno quella esigenza di adeguata «constatazione di più delitti produttivi di reddito» che rappresenta la stessa «base legale» della misura di prevenzione per pericolosità generica di cui all’art. 1 co. 1 lett. b del d.lgs. n.159 del 2011, come si è detto in precedenza.
Né la continuità della pericolosità potrebbe basarsi su risalenti applicazioni di misure di prevenzione personali le cui basi cognitive – peraltro non ostentate nelle decisioni di merito – non risultino conformi alla – attualmente avvertita – necessità di operare una ricognizione di condotte «delittuose» produttive di reddito illecito.
Non può, pertanto, accedersi alla tesi sostenuta dal P.G. impugnante, ferme restando le necessarie precisazioni in diritto, sin qui operate. Ne deriva il rigetto del ricorso introdotto dalla parte pubblica.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di Stallone Giuseppe e dei terzi è fondato al secondo motivo.
4.1 II primo motivo, incentrato sul rilievo della preclusione correlata alla definizione del procedimento di prevenzione celebrato nel 1992 è infondato, per le ragioni che seguono.
La decisione emessa in primo grado, nel prendere in esame i contenuti del provvedimento con cui era stata respinta la richiesta di misura personale e patrimoniale nei confronti dello Stallone e nel rapportarli alla disciplina allora vigente, contiene effettivamente un errore, lì dove sostiene che l’estensione della disciplina della confisca antimafia alle categorie della pericolosità semplice – in rapporto al titolo di reato di cui all’art. 630 cod.pen. – sia avvenuta in epoca posteriore alla definizione della procedura de qua.
La legge n. 55 del 19 marzo 1990, nel suo testo iniziale, all’articolo 14 prevedeva l’estensione della disciplina ‘antimafia’ di cui alla legge n. 575 del 1965 ai soggetti condannati per il delitto di cui all’art. 630 cod.pen., nei modi che seguono: «Salvo che si tratti di procedimenti di prevenzione già pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, da tale data le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, concernenti le indagini e l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nonché quelle contenute negli articoli da 10 a 10-sexies della medesima legge, si applicano con riferimento ai soggetti indiziati di appartenere alle associazioni indicate nell’art. 1 della predetta legge o a quelle previste dall’art. 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, ovvero ai soggetti indicati nel numero 2) del primo comma dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, quando l’attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia quella prevista dall’art. 630 del codice penale ».
In altre parole, la possibilità di procedere alla confisca – istituto regolamentato dalla legge n. 575 del 1965 per come novellata dalla legge n. 646 del 1982 – era all’epoca «condizionata» all’esito positivo di un duplice accertamento in fatto:
a) l’esistenza, tra i reati astrattamente produttivi di una provvista economica attribuiti al soggetto, del sequestro di persona;
b) l’esistenza di elementi idonei a rappresentare che i proventi illeciti fossero riferibili in modo specifico a tale reato.
Si trattava, dunque, di una tipologia particolare di confisca che, seppur con la logica del sistema della prevenzione, si atteggiava quasi a confisca ‘pertinenziale’ essendo richiesta una verifica del nesso di derivazione del profitto illecito da una ben determinata fattispecie (il reato di cui all’art. 630 cod.pen.).
4.1.1 Tutto ciò consente di identificare il portato della decisione emessa nel 1992 nei confronti dello Stallone sotto un duplice profilo:
a) il Tribunale afferma che la pericolosità dello Stallone, pur in precedenza esistita, non è da ritenersi attuale;
b) il Tribunale attesta, in ogni caso, l’assenza di elementi circa un verosimile nesso di derivazione tra il patrimonio dello Stallone e la condotta di concorso nel sequestro Fenotti, fattispecie che avrebbe – ma sempre in presenza di attuale pericolosità sociale -, consentito la confisca.
Al contempo, il Tribunale, sempre nella decisione del 1992, introduce – sulla base di allegazioni difensive – una diversa ipotesi esplicativa della sproporzione tra redditi e investimenti, rappresentata da condotte di evasione fiscale connesse alla gestione del complesso ricreativo e del ristorante, ipotesi la cui delibazione compiuta non poteva – in nessun caso – determinare la confisca, pur se la pericolosità fosse stata attuale, per i limiti di legge vigenti all’epoca.
4.1.2 Ora, le considerazioni che precedono – pur con la doverosa rettifica – consentono di ritenere infondato il primo motivo di ricorso. Ed invero, l’unico punto su cui non risulta intervenuto alcun dato nuovo (fenomenico o normativo che sia) risulta essere l’affermazione per cui tra il delitto di sequestro di persona oggetto di giudizio definitivo e il patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stallone non vi è alcun nesso di derivazione e su tale aspetto può mantenersi ferma la preclusione di merito derivante dal generalissimo principio del ne bis in idem, sia pure calato nel sistema della prevenzione (v. Sez. U. n.18 del 1996, Simone/li, sulla natura di giudicato rebus sic stantibus).
Ma tale assunto è stato rispettato dai giudici del merito, che hanno basato la statuizione di confisca sulle reiterate condotte di evasione fiscale, da un lato, e sul novum normativo rappresentato dalla possibilità, anche per le ipotesi di pericolosità semplice, di realizzare una confisca disgiunta per pericolosità pregressa (in virtù dei contenuti delle disposizioni entrate in vigore tra il 2008 e il 2009, poi confluite nel testo dell’art. 24 del d.Lgs. n.159 del 2011).
Circa tale aspetto – che risulta, a ben vedere, decisivo – le doglianze difensive non risultano accoglibili. In particolare, la ricostruzione delle condotte di evasione – fermo restando quanto si dirà in sede di esame del secondo motivo di ricorso – se da un lato resta essenzialmente ancorata (salvo che per la adesione al condono fiscale) a quanto emerso durante la trattazione del procedimento del 1992, dall’altro non ha formato oggetto di delibazione, all’epoca, da parte del Tribunale, proprio in virtù della esistenza del limite normativo alla confisca disgiunta.
4.1.3 Non può accedersi, in particolare, alla tesi – prospettata dai ricorrenti – che ipotizza come possibile già all’epoca la confisca disgiunta per pericolosità semplice (da reato comune produttivo di reddito), atteso che i casi – essenzialmente dovuti alla elaborazione giurisprudenziale – in cui ciò ebbe a verificarsi riguardavano il particolare settore della criminalità organizzata di stampo mafioso e, in ogni caso, non esisteva una disposizione di legge con esplicita portata facoltizzante a tale forma di confisca.
Risulta pertanto possibile – come già si è affermato in alcuni arresti di questa Corte alle cui argomentazioni, condivise dal Collegio, si opera rinvio (v. Sez. I, n. 13375 del 20.9.2017, dep. 2018, Brussolo, rv. 272701), in assenza di effettivo novum fattuale – procedere, sulla sola base della disciplina legale sopravvenuta, alla confisca disgiunta e ciò in virtù della natura giuridica di misura di sicurezza, sia pure atipica, della confisca di prevenzione, riaffermata dai contenuti della nota decisione emessa nel 2014 dalle Sezioni unite di questa Corte, caso Spínelli.
E’ evidente infatti, che nell’ambito di un ‘nuovo’ procedimento, apertosi in un momento di vigenza delle nuove disposizioni facoltizzanti la confisca, mai potrebbe pervenirsi all’applicazione della confisca disgiunta dei beni – per condotte antecedenti alla entrata in vigore della disposizione di legge peggiorativa (dunque per condotte antecedenti al maggio del 2008) – se ed in quanto la confisca fosse da ritenersi sanzione penale in senso proprio, in virtù del principio di irretroattività della norma penale.
Tuttavia tale aspetto ha trovato adeguata soluzione nell’arresto Sez. Un. Spinelli, nel cui ambito – pur con significative precisazioni – si è riaffermata la natura giuridica di misura di sicurezza atipica di tale classe di confisca in quanto «le modifiche introdotte nell’art. 2 bis della legge n. 575 del 1965, dalle leggi n. 125 del 2008 e n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, sicché rimane tuttora valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all’art. 200 cod. pen.».
Tanto consente l’applicazione della legge vigente al momento della decisione, anche se – per taluni aspetti – peggiorativa del trattamento giuridico della persona destinataria, rispetto al momento in cui costui avrebbe, in ipotesi, tenuto la condotta ‘fonte’ della ablazione patrimoniale.
Non vi è dubbio, pertanto, circa il fatto che nel ‘nuovo’ procedimento siano riesaminabili in rapporto alla legge vigente, le acquisizioni patrimoniali avvenute non soltanto in epoca antecedente rispetto all’anno 2008 (d.l. n. 92 del 23.5.2008 che segna l’accrescimento dell’area della confiscabilità) ma anche, se del caso, in epoca antecedente rispetto all’anno 1982, momento che con la legge n. 646 del 1982 segna l’introduzione nel settore della prevenzione dello strumento della confisca.
Tale è infatti il portato della ritenuta natura giuridica della confisca, come evidenziato in giurisprudenza anche nei primi anni di vigenza della legge n.646 del 1982 (v. Sez. I, n. 3833 del 24.11.1986, Bontade, rv. 174988).
Il primo motivo di ricorso va, pertanto, respinto, data la sopravvenienza di novum normativo, quanto alle condotte di evasione fiscale, idoneo a determinare l’assenza di preclusioni correlate all’esito favorevole del giudizio conclusosi nel 1992.
4.2 Il secondo motivo del ricorso proposto da Stallone Giuseppe e terzi è fondato.
4.2.1 Come si è evidenziato al par. 2, ove si è illustrata la rilevanza di quanto deciso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, l’inquadramento soggettivo in punto di pericolosità – necessario anche a fini di confisca disgiunta, in quanto presupposto ineludibile della ablazione – non può prescindere dalla ricognizione, da parte del giudice della prevenzione, di «delitti» idonei alla produzione di reddito illecito che abbia, in modo significativo, concorso a sostenere le condizioni di vita del soggetto nei cui confronti è realizzato l’accertamento.
Nel caso in esame tale ricognizione, anche in rapporto alla sua dimensione temporale (dal 1983 sino alla fine degli anni ’90, con ciò che ne deriva in termini di correlazione temporale con gli incrementi patrimoniali), non risulta compiuta in modo adeguato in sede di merito e ciò rappresenta violazione di legge, in relazione alla necessità di esprimere argomentazioni in fatto che muovano da una esatta ricognizione della «base legale» delle misure di prevenzione (v. sul tema Sez. U, n. n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, rv. 271511).
In particolare, va rilevato che nel giudizio di pericolosità soggettiva, oltre a farsi rientrare la condotta di partecipazione al sequestro – la quale, pur se indubbiamente indicativa di pregressa adesione a contesti criminali, non risulta aver prodotto reddito illecito, per quanto affermato già nel 1992 – si è compiuto reiterato riferimento a condotte di evasione fiscale, emerse già durante la trattazione della procedura precedente ed ulteriormente asseverate dall’adesione dello Stallone al condono fiscale (per le annualità 1983-1990).
In tale parte la decisione, tuttavia, non affronta il tema della ricostruzione incidentale di condotte «delittuose» ossia idonee ad integrare, secondo la normativa tributaria vigente all’epoca, un delitto (per le modalità e la rilevanza della condotta di evasione) e non una semplice contravvenzione.
4.2.2 Tale primo aspetto – evidenziato nel ricorso – è indubbiamente incidente sulla complessiva «rispondenza» della decisione al modello legale di riferimento, rappresentato dai contenuti dell’art.1, co.1 lett. b), del d.lgs. n.159 del 2011, sì da determinare la necessità di rivalutazione della decisione impugnata.
Per costante orientamento di questa Corte di legittimità le condotte di evasione fiscale – pur se autonomamente ricostruite in sede di prevenzione, non essendo necessario l’approdo al giudicato penale, sempre che non sia intervenuta assoluzione – devono essere tali da rientrare in una delle fattispecie tipiche di delitto (tra le molte, Sez. V, n. 6067 del 6.12.2016, rv. 269026; Sez. VI, n. 53003 del 21.9.2017, rv. 272267; Sez. V, n. 12374 del 2018, n.nn, sul punto; Sez. II, n. 13566 del 19.2.2019, rv. 2757171), aspetto che non è stato concretamente apprezzato sede di merito.
La conformità al modello legale tipico, in altre parole, sussiste se ed in quanto venga accertato il delitto (rectius la serie di condotte delittuose), produttivo di reddito illecito.
Nel caso della evasione fiscale va ritenuto che il soggetto dedito – in modo continuativo – a condotte delittuose elusive degli obblighi contributivi realizza, in tal modo, attraverso il risparmio della imposta, una provvista finanziaria che è indubbiamente da considerarsi quale «provento» di delitto (inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato, secondo l’insegnamento di Sez. U n. 9149 del 3.7.1996, Chabni, rv. 205707).
Nel caso in esame, tuttavia, oltre alla necessità di concreta individuazione dei ‘delitti’, vanno operate ulteriori considerazioni circa l’incidenza del condono e circa la ‘delimitazione temporale’ del periodo di pericolosità.
4.2.3 L’adesione al condono fiscale, come si è detto in precedenza, ha riguardato le annualità 1983-1990 ed ha comportato, oggettivamente, la riduzione di quel ‘risparmio di imposta’ che il soggetto evasore aveva in precedenza accumulato. Se dunque è da ritenersi, sotto il profilo della manifestazione concreta di pericolosità, che il condono fiscale non possa azzerare il rilievo della condotta delittuosa a fini di ricostruzione della pericolosità storica (così come affermato, tra le altre, da Sez. II, n. 14346 del 13.3.2018, rv. 272376), è altrettanto indiscutibile che la quota di ‘redditività illecita’ che integra la fattispecie di cui all’art.1, co.1 lett. b), del d.lgs. n.159/2011 ne risulta sensibilmente ridotta in virtù del versamento postumo della somma necessaria alla estinzione degli illeciti: l’adesione al paradigma della tassatività impone che venga detratta una quota «significativa» del reddito, destinata al perfezionamento del procedimento di condono.
Vi è dunque una prima conseguenza, relativamente alla vicenda in esame, nel cui ambito la Corte di merito si è limitata ad affermare la «irrilevanza» della adesione al condono sul giudizio di pericolosità storica, senza tuttavia esaminarne (se ed in quanto ricostruite le fattispecie in termini di delitto) le ricadute in punto di ridimensionamento della redditività delle condotte. Anche tale profilo va dunque, previo annullamento della decisione impugnata, rimesso alle valutazioni del giudice del rinvio.
4.2.4 Ulteriore profilo di inadeguatezza dei contenuti della decisione impugnata riguarda l’estensione temporale della pericolosità ad annualità successive al 1990, posto che non risultano censite – neanche in via incidentale – condotte ulteriori di evasione degli obblighi tributari posteriori a tale data.
La Corte di secondo grado compie riferimento, sul tema, ad attività di ‘reimpiego’ della provvista economica in precedenza sottratta alla imposizione fiscale.
Tuttavia va sul punto osservato che il fenomeno del reimpiego di somme provenienti da delitto commesso dal medesimo soggetto che lo realizza – almeno sino alla introduzione in sede penale del delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter cod.pen., avvenuta con legge n. 186 del 15.12.2014 e nei limiti previsti da tale disposizione – non può essere qualificato in via autonoma come ‘attività delittuosa’, rilevante a fini di classificazione tipica della pericolosità in sede di prevenzione.
4.2.5 L’estensione temporale della eventuale confisca – secondo i noti parametri di cui alla decisione Sez. U. Spinelli – potrebbe dunque avvenire, nel caso dello Stallone, non già attraverso una impropria «catalogazione» del reimpiego dei relativi proventi in termini di attività delittuosa, data l’epoca cui si riferiscono i fatti, antecedente alla incriminazione delle condotte di autoriciclaggio, ma al più mediante una affidabile quantificazione della somma evasa, detratto l’importo versato in sede di condono, e successivo ‘dimensionamento’ della medesima sul valore degli investimenti realizzati in epoca posteriore all’anno 1992, nei limiti dunque, di una affidabile ricostruzione di pertinenzialità.
5. Sui punti sin qui esaminati, con assorbimento delle doglianze di cui al terzo motivo, va dunque affermata la fondatezza del ricorso delle parti private, con annullamento della decisione impugnata e rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione (v. sul punto quanto affermato in Sez. Un. n. 111 del 2018, Gattuso, citata).
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione.
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.
Così deciso il 20 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020.