Controversia da sottoscrizione di un contratto di investimento finanziario ad alto rischio: corretto non considerare consumatore il sottoscrittore.

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 28 aprile – 5 ottobre 2015, n. 19783)

I fatti

V.G. e Z.G. , premesso di essere stati contattati dalla società NHS (oggi IMI investimenti s.p.a.) ai fine di procedere ad investimenti in un fondo olandese, convennero la predetta società e la s.p.a. Intesa S. Paolo dinanzi al Tribunale di Torino, chiedendo la declaratoria di nullità del negozio di investimento e la condanna delle convenute alla restituzione delle somme versate per violazione delle norme dettate in subiecta materia e per la violazione dell’obbligo di corretta informazione. Il giudice di primo grado declinò la propria giurisdizione in favore di quella olandese, con sentenza confermata dalla Corte di appello, che rilevò, nella specie, l’esistenza di un accordo originario (c.d. PIA) secondo il quale ogni controversia insorta tra le parti sarebbe stata devoluta alla giurisdizione esclusiva dei Paesi Bassi, e che tutti i successivi atti di adesione sottoscritti singolarmente richiamavano espressamente tale previsione quoad iurisdictionis.

La sentenza della corte territoriale è stata impugnata dal V. e dallo Z. con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi di gravame. Resiste Intesa S. Paolo con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Le ragioni della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia, ex art. 360 n. 1 c.p.c., assenza di convenzione inter partes derogativa della giurisdizione italiana.

Il motivo – con il quale si lamenta che il contratto di investimento non indicava, come contraenti, le due società convenute, bensì altri e diversi soggetti stranieri, anche se facenti parte del Gruppo Intesa S.Paolo – appare scarsamente comprensibile, e, in disparte i non marginali profili di inammissibilità che esso presenta sotto il profilo dell’autosufficienza, è comunque privo di pregio.

La questione della legittimazione passiva delle odierne resistenti, difatti, è stata ritenuta correttamente assorbita dalla Corte d’appello (f. 15 della sentenza impugnata, ove condivisibilmente si afferma che, agli effetti della delibazione sulla giurisdizione, era necessario e sufficiente collocare astrattamente i fatti di causa nella categoria dei rapporto contrattuali ovvero extracontrattuali).

Né i ricorrenti possono dolersi in questa sede di aver essi stessi evocato in giudizio una controparte che non sia titolare del rapporto controverso dal lato passivo, poiché l’oggetto del giudizio dinanzi a queste sezioni unite attiene esclusivamente al profilo della giurisdizione, mentre la diversa censura relativa alla propria, presunta estraneità all’accordo originario (peraltro nemmeno esplicitata nel motivo in esame) si infrange sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il richiamo ad una adesione soltanto indiretta dei ricorrenti alle clausole del PIA mediante l’adesione formulata dalla VZ Finance (soggetto giuridico sicuramente diverso dalle persone fisiche V. e Z. – benché riconducibile ai medesimi – trattandosi di società di capitali) fosse del tutto inconferente (onde la impredicabilità di qualsivoglia forma di “adesione indiretta”), poiché la circostanza rilevante e decisiva era rappresentata dai successivi atti di adesione direttamente sottoscritti dagli odierni ricorrenti in proprio, nei quali le previsioni dell’accordo originariamente intervenuto tra l’intermediario finanziario e la società VZ Finance erano state espressamente richiamati, ivi compresa l’accettazione della giurisdizione esclusiva dei Tribunali dei Paesi Bassi (così al folio 13 della sentenza oggi impugnata).

Con il secondo motivo, si denuncia, ex art. 360 n. 1 c.p.c., ed in via subordinata, omessa pronuncia su una causa di nullità del contratto.

La censura – con la quale si lamenta la totale obliterazione, da parte della Corte territoriale, della eccepita causa di nullità del contratto, attesa la qualità di consumatori dei ricorrenti e la conseguente nullità della clausola di proroga della competenza – è inammissibile.

Con essa, difatti, si denuncia, del tutto genericamente, un preteso vizio di omessa pronuncia in ordine alla pretesa qualità di consumatori del V. e dello Z. sotto il profilo della competenza territoriale, senza alcuna espressa censura relativa alla questione di giurisdizione (tale non potendosi ritenere il richiamo, del tutto generico e apodittico, sintetizzato in due righe riproduttive in parte qua del contenuto della comparsa conclusionale di appello, contenuto al folio 9 del ricorso), vizio nella specie impredicabile sotto il duplice, concorrente profilo consistente nel l’essersi la Corte territoriale espressamente pronunciata sulla questione, ritenendola assorbita (f. 16 della sentenza impugnata), e nell’aver in punto fatto escluso, nella specie, la violazione delle disposizioni concernenti la sollecitazione del pubblico investimento – con ciò implicitamente negando la qualità di consumatore dei ricorrenti -, trattandosi di operazioni ad alto rischio, espressamente circoscritte ad un numero limitato di investitori, con connotazioni particolari in relazione alla capacità economica individuale e non già di offerte di carattere finanziario rivolte ad un pubblico indeterminato.

Con il terzo motivo, si sostiene, ex art. 360 n. 1 c.p.c., in via di ulteriore subordine, che la domanda dei ricorrenti era ed è fondata non solo in base a responsabilità contrattuale, ma anche extracontrattuale, avendo la domanda giudiziale ad oggetto anche una fattispecie di responsabilità precontrattuale (i.e. extracontrattuale).

Il motivo – con il quale si lamenta la erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il contenuto della clausola di proroga della giurisdizione fosse tale da ricomprendere anche la responsabilità extracontrattuale – non ha giuridico fondamento.

Con apprezzamento di fatto scevro da vizi logico-giuridici, la Corte torinese ha ritenuto, sul piano interpretativo, che l’ampiezza della clausola di proroga della giurisdizione fosse tale da estendersi a qualsivoglia fattispecie di responsabilità, tanto contrattuale quanto precontrattuale, e cioè tanto nell’ipotesi in cui l’accordo negoziale avesse costituito, in futuro, il fondamento dell’azione giudiziaria, quanto in quella in cui l’accordo stesso fosse risultato la occasione fattuale per l’esercizio di un’azione giudiziaria di natura aquiliana.

Fondata su di una corretta e condivisibile indagine ermeneutica argomentatamente condotta, in parte qua, sul contenuto di un accordo negoziale, la motivazione della sentenza risulta del tutto immune dai vizi lamentati.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 20.200, di cui 200 per spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della contro ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il controricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.