COVID-19 e domiciliari: termine di stasi prorogato in mancanza di istanza di trattazione da parte dell’imputato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 17 giugno 2021, n. 23913).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente –

Dott. ROSATI Martino – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Rel. Consigliere –

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Francesco, nato a (OMISSIS) il 20/11/19xx;

avverso la ordinanza del 12/11/2020 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Marco Dall’Olio, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

udito il difensore, avv. Daniela (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. Massimo (OMISSIS) che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Roma rigettava l’appello ex art. 310 cod. proc. pen., proposto nell’interesse di Francesco (OMISSIS) avverso l’ordinanza del 9 ottobre 2020 della Corte di appello di Roma che aveva respinto l’istanza di declaratoria di inefficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari per scadenza del termine di fase.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 83 d.l. n. 18 del 2020 e 304 cod. proc. pen.

La disciplina dell’art. 83, comma 4, d.l. n. 18 del 2020 non ha introdotto alcuna deroga all’art. 304 cod. proc. pen., con la conseguenza che anche la sospensione dei termini da esso prevista va disposta con ordinanza.

Ne consegue che, in assenza di un siffatto provvedimento portato a conoscenza del ricorrente, il termine di fase è venuto nel caso in esame in scadenza.

2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 83 d.l. n. 18 del 2020.

Come stabilisce l’art. 83, comma 4, cit., la sospensione dei termini opera rispetto a quei procedimenti che, in base al comma 2, sono stati oggetto di rinvio ex offcio. E il procedimento del ricorrente non è stato mai oggetto di rinvii.

In ogni caso, la Corte di appello, nel dar seguito al procedimento di appello, ha fatto applicazione della regola della “trattazione” sebbene per quel periodo era previsto il rinvio d’ufficio delle udienze penali (l’avviso di udienza è pervenuto la prima volta al difensore l’8 maggio 2020 e l’udienza è stata fissata al 19 giugno 2020 ovvero nella “fase 2”, ovvero in un periodo in cui le udienze potevano essere rinviate in base alle direttive dei Capi degli Uffici giudiziari).

Stando alle tempistiche, la Corte di appello ha quindi implicitamente applicato la normativa dell’art. 83, comma 3, lett. b), n. 2 cit. (nel senso della non operativa dei commi 1 e 2) poiché se così non fosse non avrebbe senso l’invio della fissazione dell’udienza in costanza della “fase 1” e la fissazione dell’udienza in “fase 2”.

3. La difesa ha presentato una memoria, deducendo a sostegno del secondo motivo che il procedimento penale che coinvolgeva il ricorrente era tra quelli che il legislatore ha previsto una definizione con “urgenza assoluta” (procedimenti i quali nei sei mesi successivi scadono i termini di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen.), ovvero da trattare in ogni caso.

Quindi non aveva alcuna rilevanza la richiesta di trattazione e la stessa Corte di appello ha dimostrato di agire sulla base delle eccezioni fissate dal terzo comma dell’art. 83 cit.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, posto che la sospensione del decorso dei termini processuali di cui all’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla I. 24 aprile 2020, n. 27, dal 9 marzo al 15 aprile 2020 (termine poi prorogato alla data dell’Il maggio 2020 dai successivi interventi normativi) è dettata dalla legge e non è necessario un provvedimento alla stregua del regime previsto dall’art. 304 cod. proc. pen.

Si tratta di una conclusione pacificamente emergente nella giurisprudenza di legittimità e di recente anche confermata dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna), secondo cui non vi è dubbio che quella configurata dal legislatore sin dal d.l. n. 9 del 2020 sia una vera e propria sospensione ex lege dei procedimenti e dei processi, atteso che il rinvio d’ufficio delle udienze e la sospensione di tutti i termini sono misure che sono state adottate proprio al dichiarato fine di provocare una generalizzata stasi dell’attività giudiziaria – salve le eccezioni espressamente previste – funzionale al contenimento dell’emergenza pandemica.

3. Anche il secondo motivo è all’evidenza privo di fondamento e a tratti generico.

3.1. Nel suddetto periodo emergenziale il legislatore ha inteso “congelare” salvo talune eccezioni e quindi tendenzialmente imporre la totale paralisi di ogni attività processuale, a prescindere dal fatto che la stessa comporti o meno la celebrazione di una udienza, allo scopo di ridurre al minimo le forme di contatto che possono favorire il propagarsi dell’epidemia, neutralizzando ogni effetto negativo che il massimo differimento delle attività processuali così disposto avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali, come peraltro precisato nella Relazione illustrativa al decreto legge in esame.

Una ulteriore conferma di tale assunto è venuta dalle Sezioni Unite, nell’arresto sopra richiamato, che, nell’operare un distinguo della operatività della sospensione dei termini nel giudizio di cassazione, ha precisato che il citato secondo comma dell’art. 83 per le altre fasi del processo o del procedimento non collega la sospensione “necessariamente” alla sopravvenuta impossibilità di celebrare un’udienza.

Non vi è dubbio che il procedimento del ricorrente nel periodo in esame ha subito una effettiva stasi dell’attività processuale per l’effetto delle misure adottate per arginare la pandemia, posto che ex lege sono state congelate tutte quelle attività (e i relativi termini) conseguenti alla presentazione dell’appello del ricorrente nel giudizio di merito (per ipotesi prima le incombenze previste ex art.590 cod. proc. pen. e poi quelle ex art. 601 cod. proc. pen.).

Attività che il codice collega a precise cadenze processuali (la trasmissione integrale alla corte d’appello degli atti del processo di primo grado ex art. 590 cod. proc. pen. e la conseguente emissione del decreto di citazione in appello ex art.601 cod. proc. pen. deve infatti essere effettuata “immediatamente” a seguito della presentazione del gravame, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo, cfr. Sez. 2, n. 47840 del 27/09/2017, Rv. 271201).

3.2. Generico è il riferimento alla circostanza che il procedimento del ricorrente fosse “ad emergenza assoluta”, ovvero segnatamente un procedimento per cui nel periodo di sospensione o nei sei mesi successivi scadono i termini di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen. Si tratta tra l’altro di questione non oggetto di appello e di circostanza che il Tribunale ha implicitamente escluso nella trattazione del ricorso.

3.3. Una volta stabilito che correttamente è stata ritenuta la sospensione ex lege di tali attività, in mancanza di una istanza di trattazione proveniente dal ricorrente, ne consegue che la misura cautelare non era divenuta inefficace il 28 settembre 2020, venendo il termine di fase ad essere prorogato di 64 giorni.

3.4. Quanto poi alla tesi difensiva che la Corte di appello avrebbe dovuto comunque fissare una data di udienza, potendo solo una volta avuto notizia di quella il difensore optare per la richiesta di trattazione o meno, è un assunto che non trova fondamento alcuno nel più volte richiamato dettato normativo emergenziale di cui al d.l. n. 18 del 2020 (cfr. Sez. 4, n. 24431 del 17/07/2020, Rv. 279518).

4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

5. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 03/03/2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.