Differenza tra la tentata truffa e la tentata estorsione (Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 febbraio 2017, n. 6278).

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, è rappresentato dalla concreta efficacia coercitiva e non meramente manipolativa della condotta minacciosa rispetto alla volontà della vittima, da valutarsi con una verifica ex ante, che prescinde dalla effettiva realizzabilità del male prospettato.

…, omissis …

ritenuto in fatto e considerato in diritto

– ritenuto che i Difensori di B.S. , C.A. , CH.St. e CO.Ag. hanno proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen. dal Giudice dell’Udienza preliminare di VELLETRI;

– ritenuto che gli imputati sono accusati a vario titolo del reato di turbata libertà degli incanti ex artt. 353, primo e secondo comma cod. pen., e del reato di corruzione propria attiva antecedente ex artt. 321 cod. pen. in relazione all’art. 319 e 319-bis cod. pen.;

– ritenuto che il Gip ha quantificato le pene principali come da accordo delle parti, ha applicato ad C.A. la pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione, senza indicazione espressa della durata temporale della stessa, e ha infine disposto la confisca per equivalente ex art. 322-ter, secondo comma cod. pen. nella entità specificamente individuata per ogni imputato e corrispondente a quello del profitto ottenuto da ognuno di essi;

– ritenuto che il Difensore di B.S. ha dedotto che il Gip di Velletri avesse disposto la confisca per equivalente della somma di oltre 8.000,00 Euro ritenuta profitto del reato anche se in realtà nessun profitto si era realizzato dato che la predetta somma di denaro era stata solo promessa ma non consegnata e che il contratto di appalto per il quale vi era stata l’aggiudicazione oggetto della corruzione non era mai stato stipulato;

– ritenuto che il Difensore di C.A. ha dedotto che tre motivi di ricorso e ha lamentato che il Gip di VELLETRI avesse omesso di valutare la possibilità della pronuncia di una sentenza ex art. 129 cod. proc. pen., non avesse quantificato la durata temporale della pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione e non avesse infine distinto il profitto confiscabile dall’intero valore del rapporto instaurato con la Pubblica amministrazione;

– ritenuto che il Difensore di CH.St. ha dedotto due motivi di ricorso in termini sostanzialmente identici a quelli dedotti nel primo e terzo motivo di ricorso dell’imputato C.A. ;

– ritenuto che il Difensore di CO.Ag. ha dedotto un unico motivo di ricorso e ha lamentato che il Gip avesse confiscato non il profitto ma il prezzo del reato e non avesse valutato che nel caso in esame non era profilabile alcun profitto perché la gara non era sfociata nella conclusione di alcun contratto con la Pubblica amministrazione;

– ritenuto che il Procuratore generale ha condiviso le osservazioni difensive relative ai motivi riferiti alla disposta confisca per equivalente e ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

– considerato, quanto al primo motivo di ricorso di C.A. e di CH.St. , che il Gip ha adeguatamente motivato, pur nei limiti di rilevanza tipici della sentenza di applicazione pena ex art. 444 cod. proc. pen., sulle ragioni della insussistenza di ragioni che potessero portare ad una pronuncia ex art. 129, comma 2 cod. proc. pen., tanto più che le prospettazioni svolte con il ricorso si presentano in termini di mera ipoteticità e che il C. ha sostanzialmente ammesso quanto contestatogli;

– considerato, quanto al secondo motivo di ricorso di C.A. , che non è in realtà denunciata alcuna violazione di legge nella quantificazione della durata della pena accessoria, dato che il Gip si è limitato alla dichiarazione di incapacità degli imputati di contrattare con la pubblica amministrazione senza indicarne la durata;

– considerato, quanto all’unico motivo di ricorso di B.S. e di CO.Ag. , che effettivamente gli imputati non hanno conseguito alcun profitto, dato che, per il B. , il contratto di appalto per il quale vi era stata la aggiudicazione oggetto della corruzione non era mai stato stipulato (come espressamente risulta dallo stesso capo di imputazione di cui al n. 9) e, per il CO. , la gara di appalto non è stata seguita da nessuna assegnazione di lavori (pag. 4 della sentenza impugnata), il tutto a fronte della necessità che la confisca abbia ad oggetto un profitto effettivamente conseguito (Cass. Sez. 6 del 13/2/2014 n. 9929, Giancone, Rv 259593 che fa seguito negli stessi termini a Cass. Sez. 6 del 10/1/2013, n. 4297, Orsi, Rv 254484);

– considerato, quanto al terzo motivo di ricorso del C. e del CH. che, anche applicando in ipotesi al caso in esame il principio di diritto richiamato dai ricorrenti ed enunciato da Cass. Sez. Unite 26/6/ 2015 n. 31617, Lucci, Rv 264436 circa il fatto che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito, resta insuperata l’osservazione che l’entità del profitto confiscabile non può mai essere inferiore alle somme date o promesse, come dispone l’art. 322-ter, secondo comma cod. pen., somme che hanno effettivamente costituito oggetto della confisca disposta dal Gup di VELLETRI;

– considerato conclusivamente che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di B.S. e CO.Ag. sul punto specifico della confisca disposta mentre i ricorsi di C.A. e CH.St. , proposti per motivi manifestamente infondati, vanno dichiarati inammissibili, con le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.S. e CO.Ag. limitatamente alla disposta confisca;

dichiara inammissibili i ricorsi di C.A. e CH.St. che condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di 1.500,00 Euro a favore della cassa delle ammende.