Dopo aver rubato degli aspiratori, posizionati sul tetto, chiede dei soldi per la restituzione. Condannato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 20 aprile 2020, n. 12537).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Rel. Consigliere –

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Ramazzotti Fabio nato a OMISSIS il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 27/02/2017 della Corte d’appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Alessandra Bassi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Renato Finocchi Ghersi, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del 13 dicembre 2013, con la quale il Tribunale di Ancona ha condannato Fabio Ramazzotti alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 60,00 di multa, per il reato di cui agli artt. 56 e 393, commi primo e secondo, cod. pen., così riqualificata l’originaria contestazione di tentata estorsione.

In particolare, al ricorrente è contestato di avere – dopo essersi illecitamente impossessato dei ventilatori e dei motori di aspirazione posizionati sul tetto dell’edificio del ristorante “La vecchia cantina” ed essersi rivolto al titolare di questo Mario Cruziani condizionandone la restituzione alla consegna di euro 2.500,00 -, mediante la minaccia consistita nel prospettare al predetto Cruziani l’incendio del suo ristorante in caso di mancata accettazione della sua richiesta economica, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a procurarsi l’ingiusto profitto della consegna dell’indicata somma di denaro da parte della persona offesa, evento non realizzatosi perché quest’ultima segnalava l’accaduto ai Carabinieri che interrompevano l’azione criminosa.

2. Nel ricorso a firma dell’imputato (presentato in data antecedente alla riforma degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen.), Fabio Ramazzotti chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, per essersi la Corte d’appello limitata a ripetere le argomentazioni del Giudice di primo grado, senza dare risposta ai motivi di impugnazione;

2.2. violazione di legge processuale in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. b), e 179, comma 1, cod. proc. pen., per avere il Collegio del gravame erroneamente rigettato l’eccepita nullità assoluta della sentenza impugnata per viziata instaurazione del giudizio direttissimo in assenza del presupposto della flagranza di reato, trascurando di considerare che l’imputato veniva colto, non nell’atto di appropriarsi dei ventilatori del ristorante (in effetti sottratti il giorno precedente all’arresto, stimando egli di esserne legittimato in quanto proprietario), ma nell’atto di riposizionarli a seguito dell’accordo raggiunto con il Cruziani;

2.3. vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione del minimo della pena e delle circostanze attenuanti generiche, per avere i Giudici di secondo grado omesso di considerare la derubricazione del fatto da estorsione ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la contestazione in forma solo tentata del reato e la risalenza ad oltre venti anni addietro dei precedenti penali dell’imputato; sotto diverso aspetto, la difesa evidenzia come la motivazione si risolva in un’acritica e sommaria riproposizione dell’errata ricostruzione effettuata in primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

2. Con il primo motivo, Ramazzotti censura il provvedimento impugnato in quanto ritenuto ripetitivo delle argomentazioni contenute nella decisione di primo grado e mancante di motivazione in merito alle specifiche deduzioni mosse con l’atto d’appello, senza – tuttavia – individuare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione. Il che riverbera nella genericità della doglianza.

2.1. Analoghe considerazioni valgono quanto alla seconda doglianza mossa con il secondo motivo con cui il ricorrente ha eccepito il vizio di motivazione per l’acritico rimando all’apparato argomentativo della sentenza di primo grado.

2.2. In relazione a dette censure va, invero, ribadito che il vizio di motivazione può trovare spazio nel giudizio di legittimità superando il vaglio di ammissibilità a condizione che individui un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte d’appello, identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato; le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa (Sez. 2, Sentenza n. 30918 del 07/05/2015, Falbo e altro, Rv. 264441).

3. Al pari inammissibile è il primo rilievo del secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole del rigetto dell’eccezione di nullità della sentenza per invalida instaurazione del giudizio direttissimo in assenza del presupposto della flagranza di reato.

3.1. Ed invero, il ricorrente ripropone i medesimi argomenti già dedotti in appello senza confrontarsi con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale, il che già di per sé costituisce causa d’inammissibilità del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).

3.2. D’altra parte, il Collegio di merito ha bene argomentato, con considerazioni aderenti alle emergenze dell’incartamento processuale, lineari e conformi a logica e diritto – pertanto incensurabili nella sede di legittimità -, le ragioni per le quali abbia ritenuto sussistente la flagranza di reato e non viziata la instaurazione del giudizio direttissimo.

Il Giudice a quo ha, in particolare, evidenziato come i ventilatori ed i motori di aspirazione sottratti dal Ramazzotti fossero di proprietà del Cruziani (dietro cessione da parte della moglie del prevenuto a seguito della risoluzione del contratto di locazione come “beni extra”) e come, secondo le testimonianze acquisite nel dibattimento (segnatamente le dichiarazioni dei testi Lauretti, Di Stasio e Simonetti), il riposizionamento da parte dell’imputato di tali apparecchiature – appunto interrotto dai Carabinieri – costituisse il risultato dell’accordo con la persona offesa ottenuto all’esito delle minacce di non restituirli e di incendiare il ristorante se non avesse versato la somma richiesta.

Correttamente i Giudici della cognizione hanno dunque ritenuto che l’agire cui era intento Ramazzotti al momento dell’intervento delle forze dell’ordine costituisse a tutti gli effetti parte (sia pure finale) della condotta criminosa, risultando con ciò integrata la flagranza di reato.

3.3. Giusta l’acclarato stato di fragranza del Ramazzotti all’atto dell’arresto, del tutto rituale si appalesa allora l’instaurazione del giudizio direttissimo.

4. E’ inammissibile anche il terzo motivo, con cui il ricorrente si duole della mancata applicazione del minimo edittale della pena e delle circostanze attenuanti generiche.

4.1. Oltre a tradursi in un’acritica riproposizione delle medesime doglianze già sottoposte al vaglio del Giudice del gravame – con conseguente loro aspecificità – ed a promuovere nella sostanza un non consentito scrutinio su questioni squisitamente di merito, il motivo risulta all’evidenza destituito di fondamento, là dove la Corte territoriale ha rilevato come l’invocata riduzione della pena al minimo edittale con la concessione delle circostanze attenuanti generiche non sia giustificata da alcun elemento, tenuto conto della gravità dei fatti contestati e della capacità a delinquere del prevenuto, comprovata dai molteplici precedenti penali (v. pagina 5 della sentenza impugnata).

Il diniego delle circostanze attenuanti generiche risulta pertanto solidamente ancorato a ben evidenziati elementi di segno negativo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900).

5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.