Estorce denaro alle persone che parcheggiavano l’autovettura nella zona nella quale lo stesso svolge l’attività di “parcheggiatore abusivo” (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 29 gennaio 2019, n. 4422).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

Dott. COSCIONI G. – Consigliere –

Dott. DI PISA F. – Consigliere –

Dott. RECCHIONE S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.G., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 07/06/2018 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SANDRA RECCHIONE;

sentite le conclusioni del PG Dr. SALZANO FRANCESCO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Salerno, sezione per il riesame delle misure coercitive, confermava l’applicazione all’indagato della misura cautelare degli arresti domiciliari ritenendo che lo stesso fosse gravato da gravi indizi di colpevolezza in relazione a plurimi episodi di estorsione e riconoscendo, altresì, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede.

Si contestava al M. di avere estorto denaro alle persone che parcheggiavano l’autovettura nella zona nella quale lo stesso svolgeva l’attività di “parcheggiatore abusivo”.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che deduceva:

2.1. Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al riconoscimento della gravità del quadro indiziario: il Tribunale non avrebbe valutato il contenuto delle memorie difensive con le quali si documentavano le precarie condizioni di vita dell’indagato che viveva grazie al sostegno caritatevole di provati benefattori; deduceva altresì di avere chiesto di regolarizzare la attività di guardiamacchine che svolgeva nella convinzione di fornire un servizio utile alla collettività e che non aveva mai preteso somme di denaro che gli venivano spontaneamente consegnate dai fruitori del servizio; si rimarcava, inoltre, la modestia e la natura rudimentale dell’attività presuntivamente estorsiva che veniva contestata.

Da ultimo si deduceva che le condotte contestate avrebbero dovuto al più essere ritenute degli illeciti amministrativi essendo inquadrabili come esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore, sanzionata dall’art. 7 C.d.S., comma 15 bis.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento delle esigenze cautelari: la motivazione sulla attualità e concretezza del pericolo cautelare sarebbe carente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. In via preliminare il collegio rileva che il ricorso si risolve nella richiesta di una lettura alternativa delle emergenze procedimentali non ammissibile in sede di legittimità.

Il collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima:

a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia “manifestamente illogica”, perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).

Segnatamente non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

Nel caso di specie il collegio di merito, con motivazione esente da vizi logici rilevava come gli elementi di prova raccolti fossero univocamente indicativi della responsabilità del M. deponevano in tal senso le dichiarazioni delle persone offese che avevano riferito di esplicite richieste di denaro alle quali avevano adempiuto in ragione dell’atteggiamento dell’indagato e del timore di patire danneggiamenti alla autovettura in caso di mancato pagamento; tale univoco quadro indiziario non risulta scalfito dai contenuti della memoria, che si assume non valutata (e riproposti in questa sede), finalizzati a inquadrare l’attività svolta dal M. in una sorta di attività socialmente utile sovvenzionata da caritevoli sostenitori.

Circa l’inquadramento della condotta contestata nel reato di estorsione il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui commette il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che, con violenza o minaccia, pretenda il pagamento di un compenso per l’attività di parcheggiatore abusivo (Sez. 2, n. 15137 del 09/03/2010 – dep. 20/04/2010, Bernabei, Rv. 247034).

Nel caso di specie ricorrono tutti gli estremi per l’inquadramento della condotta nella fattispecie contestata; ricorre, in particolare, la “minaccia” che può assumere anche la configurazione di “minaccia implicita” e tradursi in una illecita pressione psicologica sulle vittime che, come rilevato dal collegio di merito, erano costretta alla dazione di denaro in ragione del timore suscitato dall’atteggiamento del richiedente e dalla previsioni di possibili danneggiamenti.

A margine si rileva che la condivisa giurisprudenza secondo cui l’esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore integra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 7 C.d.S., comma 15-bis, e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dall’art. 650 c.p., stante l’operatività del principio di specialità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9 (Sez. 1, n. 47886 del 06/12/2011 – dep. 22/12/2011, Srioua, Rv. 251184) non è pertinente al caso in esame che risulta invece caratterizzato dalla emersione di una reiterata attività minatoria riconducibile al reato di estorsione.

1.2. Anche il motivo che censura la valutazione in ordine all’esistenza delle misure cautelari è manifestamente infondato.

In materia il collegio ribadisce che In tema di esigenze cautelari, l’art. 274 c.p.p., lett. c), nel testo introdotto dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto (fondato, cioè, su elementi non ipotetici, ma reali), ma anche attuale, nel senso che l’analisi della personalità e delle concrete condizioni di vita dell’indagato deve indurre a ritenere probabile una ricaduta nel delitto “prossima” – anche se non specificamente individuata, nè tanto meno imminente – all’epoca in cui la misura viene applicata.

Si è peraltro chiarito che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016 – dep. 10/11/2016, Esposito, Rv. 268508).

2. Nel caso di specie, a fondamento della misura imposta, il Tribunale della cautela poneva il riconoscimento del pericolo di reiterazione di reati analoghi che, in coerenza con le linee ermeneutiche sopra indicate veniva apprezzato attraverso la valutazione della condizioni di vita del M., della sua biografia criminale e delle modalità del fatto per cui si procede: elementi che consentiva al Tribunale di effettuare un giudizio prognostico infausto circa future recidive (pag. 9 della sentenza impugnata). Anche in questo caso la motivazione non si presta ad alcuna censura in questa sede.

3. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019