Frode Fiscale. Sanzioni pecuniarie di autorità estera non giudiziaria eseguibili se ricorribili (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 25 settembre 2020, n. 26745).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Rel. Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia

nei confronti di:

Garzia Nicola, nato a Dolo il 11/04/1988;

avverso la sentenza del 20/02/2019 della Corte di appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gaetano De Amicis;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 febbraio 2019 la Corte d’appello di Venezia ha rigettato la richiesta, avanzata dalla Procura generale in data 27 aprile 2018, di riconoscimento, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37, della decisione emessa il 10 marzo 2016 dal Ministero delle Finanze della Repubblica di Croazia nei confronti del cittadino italiano Nicola Garzia, passata in giudicato il 7 aprile 2016, relativamente ad una sanzione pecuniaria irrogatagli a seguito di una condanna pronunziata per un illecito tributario in materia di imposte indirette e per le spese dei procedimenti giudiziari o amministrativi connessi alla decisione, come attestato nel certificato emesso dall’Autorità richiedente ai sensi dell’art. 4 della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio UE relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie.

2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il P.G. presso la Corte d’appello di Venezia, deducendo con unico motivo plurime violazioni di legge in relazione agli artt. 9, 10, comma 2, 11, comma 2 e 12, comma 2, in relazione al comma 1, lett. b), d.lgs. cit., emergendo dalla lettura del predetto certificato, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la natura di frode fiscale della violazione per la quale il Garzia ha riportato condanna.

Si evidenzia, al riguardo, che i fatti ivi descritti sono previsti come reato anche dalla legislazione nazionale e che, in caso di ritenuta incompletezza del certificato ovvero di altre carenze, la Corte d’appello avrebbe dovuto richiedere ogni utile informazione o comunque formulare, alla luce delle richiamate disposizioni normative, un’apposita richiesta di trasmissione di un nuovo certificato allo Stato di emissione, specie in considerazione della volontà manifestata dall’interessato di provvedere al pagamento della relativa sanzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.

2. Muovendo dal duplice presupposto che il certificato allegato alla richiesta di riconoscimento ed esecuzione proveniente dalla Repubblica di Croazia riguardasse non un reato, ma illeciti amministrativi, e che dalla descrizione dei fatti non emergesse una chiara corrispondenza con fattispecie di reato previste dalla legislazione dello Stato, la sentenza impugnata ha rigettato la suddetta richiesta, concernente una decisione emessa dal Ministero delle Finanze croato in relazione ad una sanzione pecuniaria irrogata per spese inerenti a procedimenti giudiziari o amministrativi ad essa connessi.

3. Deve preliminarmente rilevarsi che, in conformità alle previsioni della decisione quadro n. 2005/214/GAI del Consiglio sul reciproco riconoscimento tra gli Stati membri UE delle sanzioni pecuniarie, il provvedimento al quale si dà esecuzione deve essere emesso da un’autorità giudiziaria in relazione ad un reato o in sede di opposizione all’irrogazione di una sanzione amministrativa, ovvero anche da un’autorità diversa dall’autorità giudiziaria, in relazione ad un fatto costituente reato o ad un illecito amministrativo, purché all’interessato sia stata data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria (art. 2, lett. a), d.lgs. cit.).

La sanzione, pertanto, viene individuata nella pena pecuniaria (ossia nella somma di denaro a titolo di pena irrogata a seguito di condanna) o nella somma liquidata dal giudice come risarcimento delle vittime, se le stesse non si sono costituite parte civile nel processo penale, ovvero nella somma dovuta a seguito di condanna alle spese nei giudizi penali e amministrativi, o, infine, nella somma di denaro da versare in favore di fondi pubblici o di organizzazioni di assistenza alle vittime (art. 2, lett. b), d.lgs. cit.).

Sulla base della ricognizione di tale quadro normativo questa Corte ha ritenuto che le previsioni del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 37, adottato in attuazione della richiamata decisione quadro n. 2005/214/GAI, sono applicabili anche nel caso in cui le stesse conseguano alla condanna per illecito inflitta in una decisione emessa da un’autorità dello Stato diversa da quella giudiziaria, a seguito del compimento di atti che, secondo la legislazione di tale Stato, siano punibili a titolo di illecito amministrativo, purché all’interessato sia stata data la possibilità di essere giudicato da un’autorità giudiziaria competente, in particolare nella materia penale (Sez. 6, n. 55778 del 05/12/2018, Gangenni, Rv. 274729; v., inoltre, Sez. 6, n. 22334 del 10/05/2018, Oliviero, Rv. 272924).

Entro tale prospettiva si è affermato, inoltre, che l’interpretazione conforme del d.lgs. n. 37 del 2016 impone di ritenerlo applicabile anche in caso di sanzione pecuniaria conseguente “a condanna per illecito imposta in una decisione” (art. 1 lett. b] punto i] della decisione quadro 2005/214/GAI del 24 febbraio 2005), decisione che può essere emessa da un’autorità dello Stato “diversa da un’autorità giudiziaria a seguito di atti che sono punibili a norma della legislazione di detto Stato a titolo di infrazioni a regolamenti, purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di essere giudicata da un’autorità giudiziaria competente, in particolare, in materia penale” (art. 1 lett. a] punto iii] della decisione quadro), come parimenti stabilito dall’art. 1 lett. a) n. 3 del d. Igs n. 37 del 2016, là dove si contempla tra le decisioni che abbiano applicato una sanzione pecuniaria anche quella adottata da “una autorità diversa dall’autorità giudiziaria, che si è pronunciata in merito a una violazione amministrativa, purché alla persona interessata sia stata data la possibilità di fare ricorso all’autorità giudiziaria” e quindi anche ad una sanzione pecuniaria imposta da un’autorità amministrativa avverso la quale sia consentito ricorrere ad un’autorità giudiziaria, non necessariamente penale.

4. Ora, diversamente da quanto affermato nel provvedimento impugnato, dal certificato trasmesso dallo Stato di emissione ai sensi dell’art. 4 della citata decisione quadro 2005/214/GAI emerge che la richiesta di riconoscimento ha ad oggetto una decisione di condanna passata in giudicato il 7 aprile 2016, pronunziata da un’autorità amministrativa, ma impugnabile dall’interessato dinanzi ad un’autorità giurisdizionale competente in materia penale, in relazione a comportamenti penalmente rilevanti in materia fiscale, commessi nell’esercizio dell’attività di amministrazione di una società di cui il Garzia era responsabile e ritenuti idonei, nella prospettiva dello Stato di emissione, ad integrare, in particolare, gli estremi di un reato sanzionato ai sensi degli artt. 57, 58 e 131, par. 1, punto 5, e par. 2 della legge sull’IVA.

Ove si trattasse in effetti di reati in materia fiscale – come tali non ricompresi nell’ampio catalogo delle fattispecie di cui all’art. 10 d.lgs. cit., per le quali si fa luogo al riconoscimento della decisione indipendentemente dalla verifica della doppia incriminazione – l’autorità richiesta dell’esecuzione del provvedimento de quo dovrebbe necessariamente procedere a tale verifica ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 9, comma 1, lett. b) e 12, comma 1, lett. d), d.lgs. cit.

Apodittica, inoltre, deve ritenersi l’affermazione secondo cui dalla descrizione dei fatti non emergerebbe una chiara corrispondenza con fattispecie di reato contemplate nel nostro ordinamento, poiché, anche ai fini del controllo relativo alla sussistenza del requisito della doppia incriminazione, previsto dalle disposizioni normative or ora richiamate, l’autorità di esecuzione, in caso di incompletezza o di insufficienza del contenuto del certificato ai fini della decisione sul riconoscimento (art. 12, comma 2, d.igs. cit.), ben potrebbe formulare, tramite il Ministero della giustizia, una richiesta allo Stato di emissione di un nuovo certificato, fissando a tale scopo un congruo termine, all’interno di un meccanismo di cooperazione volto a favorire, tramite una soluzione concordata dagli Stati membri e in un’ottica di reciproca fiducia e collaborazione fra le rispettive autorità, non solo la piena attuazione dei principi di libera circolazione dei provvedimenti sul territorio europeo, ma anche il miglioramento delle modalità di esecuzione delle sanzioni pecuniarie che ne costituiscono l’oggetto.

5. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte d’appello in dispositivo indicata, affinché, alla stregua delle regole di giudizio affermate, provveda ad eliminare i vizi su indicati, uniformandosi al quadro dei principi in questa Sede stabiliti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 11, comma 5, del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37.

Così deciso il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.