L’ordine al carabiniere ammalato di non allontanarsi dalla caserma è legittimo e attinente al servizio stante l’art. 342 del Regolamento Generale dell’Arma dei CC, che è, con la sua disciplina particolare, relativo a caso diverso dalle situazioni proprie della libera uscita, onde la non ottemperanza configura il reato di disobbedienza.
Non manca l’interesse del condannato, se la pena detentiva sia condizionalmente sospesa, alla conversione della stessa in pena pecuniaria dato il prevedibile vantaggio per lui ad espiare la pena pecuniaria nel caso di eventuale revoca della sospensione.
Ai fini dell’impugnazione della sentenza di secondo grado, quanto a decorrenza e durata dei termini la sentenza del giudizio abbreviato è, per ragioni di coerenza sistematica, assimilata a quella del dibattimento (1a).
Si legge quanto appreso nel testo della sentenza:
««Con sentenza del 26.11.1998, la Corte Militare di Appello confermava la decisione emessa il 20.3.1998 dal GUP del Tribunale Militare di Roma a seguito di giudizio abbreviato, con cui il R. F. era stato condannato alla pena di un mese di reclusione militare per il reato di disobbedienza aggravata (artt. 173, 47 n. 2 e 4 c.p.m.p.) perché in data 1.10.1997, quale effettivo alla Stazione dei Carabinieri di C., rifiutava di obbedire all’ordine intimatogli dal maresciallo C. V. di non allontanarsi dalla caserma ove prestava servizio.
Il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: a) errata interpretazione dell’art. 342 del Regolamento generale dell’Arma dei Carabinieri in relazione all’art. 331 dello stesso Regolamento ed agli artt. 3 e 12 della l. 382/78, e violazione dell’art. 8 delle preleggi in riferimento all’art. 606 lett. b) c.p.p.; b) violazione dell’art. 546 lett. e) c.p.p. e dell’art. 8 delle disposizioni sulla legge in generale nonché difetto di motivazione e mancata risposta a specifica censura contenuta nei motivi di appello; c) violazione dell’art. 173 c.p.m.p. e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’esclusione dell’elemento soggettivo del reato; d) violazione dell’art. 53 della l. 689/81 e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
Pregiudizialmente deve essere esaminata l’eccezione con cui il Procuratore Generale Militare, nella sua requisitoria, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso perché proposto tardivamente, essendo stata pronunciata la sentenza impugnata a seguito della trattazione in camera di consiglio dell’appello contro la decisione emessa nel giudizio abbreviato.
L’eccezione è infondata. Invero, dopo iniziali oscillazioni, la giurisprudenza di questa Corte si è consolidata nel senso che, ai fini delle impugnazioni, la sentenza del giudizio abbreviato è assimilata a quella dibattimentale, sicché i termini di impugnazione coincidono con quelli stabiliti per le sentenze pronunciate all’esito del dibattimento per quanto riguarda la decorrenza e la durata previste dall’art. 585 c.p.p. (Cass., Sez. Un., 15 dicembre 1992, Cicero ed altri).
Deve trarsene la conseguenza che, benché l’ultimo comma dell’art. 443 c.p.p. disponga che il giudizio di appello si svolge con le forme previste dall’art. 599, evidenti ragioni di coerenza logica e sistematica impongono di ritenere che il termine per impugnare la decisione di secondo grado non corrisponda a quello fissato dalla lett. a) del primo comma dell’art. 585 per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio, ma al termine stabilito per le sentenze dibattimentali.
Con i primi due motivi di ricorso, la sentenza impugnata è stata censurata per i vizi logici e giuridici della motivazione che hanno condotto i giudici di merito a riconoscere la legittimità della disposizione contenuta nell’art. 342 del Regolamento generale dell’Arma dei Carabinieri, che, invece, avrebbe dovuto essere disapplicato perché contrastante con l’art. 331 dello stesso Regolamento e con gli artt. 3 e 12 della l. 382/78.
Le censure mancano di pregio.
In relazione ai precisi termini fattuali del caso in esame, accertati dai giudici di merito, è dimostrato che l’imputato aveva documentato di essere affetto da infermità, che rendeva necessari cinque giorni di riposo, e che – come confermato anche nel ricorso – egli manifestò l’intenzione di recarsi nel paese di origine, attuando poi tale proposito nonostante l’ordine del superiore di non allontanarsi dalla caserma ove prestava servizio.
Ciò posto, va rilevato che l’art. 342 Reg. dispone che «i militari ai quali l’ufficiale medico, o eventualmente il medico civile convenzionato, abbia prescritto il riposo possono uscire dalla caserma o dall’abitazione solo per recarsi, nei limiti di tempo strettamente necessari, presso ambulatori o luoghi di cura del luogo allo scopo di effettuare cure specialistiche prescritte dal sanitario curante.
Fanno però eccezione quelli dimessi da luoghi di cura, i quali, salvo diversa prescrizione del medico, possono uscire nelle ore della libera uscita o in quelle ritenute più opportune dai superiori».
Il divieto di lasciare la caserma o l’abitazione durante il periodo di malattia, se non per ragioni inerenti all’esecuzione delle terapie necessarie, non può considerarsi illegittimo né il limite imposto al carabiniere malato di trasferirsi in località diverse da quella in cui si presta servizio contrasta con fonti normative di rango superiore.
Le ampie ed elaborate argomentazioni difensive, svolte per contestare l’interpretazione accolta nella sentenza impugnata, non possono essere condivise per la semplice ragione che esse equiparano situazioni totalmente differenti, essendo evidente che le disposizioni relative alla libera uscita e alla libertà di spostamento – sia pur limitabile per esigenze di servizio – non sono estensibili ai militari malati.
A ben vedere, il divieto di lasciare la caserma o l’abitazione e di trasferirsi in luoghi diversi dal comune in cui si presta servizio trova razionale base giustificativa nella necessità dei controlli, previsti, in generale, nell’ipotesi di malattia di ogni prestatore di lavoro subordinato, e, in definitiva, nella stessa tutela della salute del militare infermo, tant’è che il medesimo art. 342 Reg. stabilisce che la limitazione non è operante quando l’uscita dalla caserma o dall’abitazione avvenga allo scopo di effettuare le cure prescritte dal medico curante.
Dalle precedenti considerazioni deve inferirsi che nel caso in esame, essendo indubbio che l’ordine del superiore è stato impartito per ragioni attinenti al servizio o alla disciplina, il rifiuto di obbedienza integra la fattispecie ipotizzata dall’art. 173 c.p.m.p.
Deve essere disatteso anche il terzo motivo di ricorso con cui è stato dedotto che la Corte Militare ha erroneamente affermato l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato. In proposito, considerato che per la realizzazione del reato di disobbedienza è sufficiente il dolo generico, deve porsi in risalto che nella sentenza impugnata è stato dato conto, con esauriente motivazione, del convincimento riguardante la cosciente volontà dell’imputato di non ottemperare ad un ordine legittimo, osservando che l’obbligo dell’imputato di non allontanarsi dal reparto fu ribadito dal maresciallo F., del Comando della Compagnia dei Carabinieri, e che le parole dell’imputato (“Io me ne vado a casa, non mi interessa nulla. Mi può anche denunciare”) possono ben essere interpretate, anziché come segno della convinzione dell’illegittimità dell’ordine, come manifestazione di indifferenza per le conseguenze penali della propria condotta.
Merita, invece, accoglimento il quarto motivo di ricorso che investe il punto della sentenza impugnata con cui è stato ritenuto che l’imputato non ha interesse alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, giacché la prima non deve essere eseguita a seguito della concessione della sospensione condizionale.
È evidente, infatti, che l’applicazione di tale beneficio non fa venire meno l’attualità e la concretezza dell’interesse ad ottenere la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria per l’indubbio vantaggio del condannato ad espiare, in caso di eventuale revoca della sospensione condizionale, la meno afflittiva pena sostitutiva pecuniaria, come, del resto, è espressamente confermato dal terzo comma dell’art. 57 della l. 24.11.1981, n. 689, da cui risulta che la sospensione condizionale è compatibile con la sostituzione di pena.
Pertanto, conformemente alle conclusioni della requisitoria del Procuratore Generale Militare, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al punto riguardante la sostituzione della pena detentiva, con rinvio alla Sezione distaccata di Napoli della Corte Militare di Appello, che dovrà stabilire se ricorrano le condizioni per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria alla luce dei criteri stabiliti dall’art. 58 della l. 689/81.
P.Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Penale, annulla la sentenza impugnata limitatamente al ritenuto difetto di interesse alla sostituzione della pena e rinvia per nuovo esame sul punto alla Sezione distaccata di Napoli della Corte Militare di Appello»».