sentenza
sul ricorso proposto da:
V.C. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3338/2012 CORTE APPELLO di BARI, del 28/03/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;
Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Eduardo Vittorio Scardaccione, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Per la parte civile è presente l’Avvocato Piccioni, il quale conclude chiedendo il rigetto del ricorso o dichiararsi l’inammissibilità dello stesso;
Deposita nota spese;
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Geraci in sost. Avv. Malavenda, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso e chiede, in subordine, l’applicazione dell’art. 131 bis c.p..
Svolgimento del processo
1. V.C. è imputato del reato di cui all’art. 595 c.p., per avere offeso la reputazione di C.G., segretario della ANM, comunicando con più persone tramite la rete informatica “internet” e pubblicando sul proprio sito (OMISSIS) un articolo nel quale si attribuivano falsamente al C. fatti determinati, atti a screditarne l’immagine pubblica. In particolare, si affermava: – che il C., quale segretario dell’associazione nazionale magistrati, non aveva preso posizione sulla vicenda relativa al Dott. D.M.L., in quanto indotto a tacere dalla circostanza che il D.M. aveva indagato sulla “casa di cura C.”, gestita da un parente abbastanza stretto del magistrato; – che il C. aveva fatto il suo voto di silenzio in dipendenza di incarichi in ruoli di vertice, conferiti a sè ed al proprio fratello dal ministro della giustizia.
2. Il giudice monocratico del tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, ad esito di giudizio immediato, dichiarava l’imputato responsabile del reato ascritto e lo condannava alla pena di mesi 2 di reclusione, oltre ad una provvisionale di Euro 3000.
3. Proposto appello, la corte territoriale di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato nella misura di Euro 600 di multa ed ha determinato il risarcimento in Euro 600 a titolo di danno patrimoniale ed in Euro 15.000 a titolo di danno morale.
4. Contro la sentenza di appello propone ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l’imputato, esponendo i seguenti motivi di doglianza:
a. con un primo motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 9 del codice di procedura penale in relazione alla ritenuta competenza territoriale del tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, in luogo di quella dell’autorità giudiziaria di Torino, nonchè manifesta contraddittorietà e/o illogicità della motivazione sul punto. Sotto tale profilo si osserva che, non essendo noto il luogo di consumazione del reato, avrebbe dovuto darsi ingresso al primo criterio suppletivo previsto dall’articolo nove del codice di procedura, che individua la competenza presso il giudice dell’ultimo luogo in cui si è verificata una parte della condotta criminosa.
Tale luogo dovrebbe individuarsi in quello in cui si trovano i server sui quali è stato caricato l’articolo diffamatorio e cioè (OMISSIS), come da dichiarazioni rese dal teste Co..
b. Con un secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 521 del codice di procedura penale, nonchè difetto, contraddittorietà e/o illogicità della motivazione con cui l’eccezione è stata rigettata dal giudice a quo.
c. Violazione degli artt. 595 e 51 e/o 59 c.p., in relazione all’art. 21 Cost., nonchè 192 del codice di procedura penale. Mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della sentenza impugnata con riferimento ai fatti oggetto dell’articolo pubblicato sul sito Internet.
d. Totale difetto di motivazione afferente la riforma in pejus del capo della sentenza che aveva liquidato, a titolo di provvisionale, la somma di Euro 3000, mentre la sentenza di appello ha liquidato, invece, il danno morale e patrimoniale in misura esorbitante rispetto alla provvisionale inizialmente liquidata.
Con memoria depositata il 4 maggio 2015, il difensore della parte civile ha interloquito sulla questione delle incompetenza, ritenendola inammissibile perchè già decisa dal tribunale con ordinanza del 20 maggio 2010 e non riproponibile a seguito dell’esame testimoniale dibattimentale.
Con riferimento alla violazione dell’articolo 521 del codice di procedura penale, richiama la giurisprudenza di questa corte, secondo cui il richiamo esemplificativo a parti dell’articolo non esclude che la diffamatorietà dello stesso debba essere valutata con riferimento al suo contenuto complessivo.
Con riferimento alle statuizioni di carattere civile, rileva che si tratta di questioni di merito adeguatamente motivate dal giudice di appello e pertanto non censurabili in Cassazione.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato; innanzitutto va rilevato che non vi è contestazione in merito alla tempestività del rilievo, svolto all’udienza predibattimentale del 7 maggio 2010.
2. In secondo luogo va ribadito, e anche su questo non pare esserci discussione, che “La valutazione della competenza territoriale deve essere svolta con riferimento al momento della proposizione della relativa eccezione e cioè al più tardi nella fase di cui all’art. 491 c.p.p., comma 1, vale a dire subito dopo l’accertamento, per la prima volta, della costituzione delle parti.
Detta norma non pone solo una preclusione all’eccezione di incompetenza in fase ulteriore – con l’implicazione che non è possibile proporla in corso di giudizio per acquisizioni sopravvenute, persino se queste significhino una diversità del fatto contestato – ma anche sotto il profilo dell’irrilevanza dell’analisi di fondatezza dell’eccezione, intanto respinta, alla luce delle sopravvenienze, perchè la competenza territoriale si fonda sul rispetto della regola del giudice naturale al momento della costituzione delle parti in giudizio, potendo il legislatore limitare il rilievo d’incompetenza a questa fase a vantaggio dell’interesse all’ordine ed alla speditezza del processo” (Sez. 5, Sentenza n. 7826 del 18/06/1997, Rv. 208317).
3. Fatte queste due premesse, occorre valutare se sia determinabile la competenza in base al primo criterio suppletivo, ex art. 9 c.p.p., comma 1, e, in caso di soluzione positiva, dove debba ritenersi realizzata l’ultima fase della condotta in caso di diffusione della notizia tramite internet.
4. La prima questione non può che ricevere risposta positiva; dice chiaramente il codice che, in caso di impossibilità di determinare il luogo in cui il reato è stato consumato, è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione.
5. Che per i reati di diffamazione commessi a mezzo internet sia normalmente impossibile stabilire il luogo del commesso reato è intuibile da chiunque; in quanto reato di evento, la diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono la espressione ingiuriosa, ma non è sempre possibile l’individuazione del soggetto che per secondo (così integrando il requisito della comunicazione con più persone) legge l’articolo diffamatorio (giacchè non è sufficiente la connessione al sito internet che ospita il blog, dovendosi verificare un fatto puramente soggettivo e cioè l’effettiva percezione della comunicazione offensiva).
6. Ne consegue che, procedendo a cascata, viene in esame il primo dei momenti di collegamento suppletivi, sopra richiamato. Se è individuabile il luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione (l’ultima individuabile), è colà che si determina la competenza territoriale per il giudizio.
7. Nel caso di specie, non è seriamente contestabile (e non risulta contestato) che l’ultima parte dell’azione materiale che ha concorso all’integrazione della fattispecie di reato – perfezionatasi, come si è detto, con la effettiva lettura da parte dei terzi dell’articolo asseritamente diffamatorio – sia stato il caricamento sul server che ospita il blog di V.C..
8. A tal proposito, per l’individuazione del luogo in cui tale azione deve ritenersi verificata, dato che la rete internet è in un certo senso ubiqua, una recente pronuncia delle sezioni unite di questa Corte ha tracciato un importante punto di riferimento, affermando che quando un soggetto accede ad un sistema informatico, il luogo del fatto deve individuarsi non nella allocazione fisica del server host, bensì laddove il soggetto, dotato di un hardware in grado di collegarsi con la rete, effettui l’accesso in remoto (Sez. U, n. 17325 del 26/03/2015, Rocco, Rv. 263020).
9. I criteri enunciati dal supremo Collegio ben possono essere mutuati per il caso di upload di un articolo a contenuto diffamatorio, che pertanto deve ritenersi effettuato non nel luogo dove si trova l’elaboratore elettronico che conserva e rende disponibili i dati per l’accesso degli utenti, bensì nel luogo in cui il caricamento del dato “informatico” viene effettivamente eseguito.
10. Tornando al caso di specie, al momento in cui fu presentata l’eccezione di incompetenza territoriale l’unica informazione disponibile con riferimento al luogo di caricamento in rete erano le dichiarazioni predibattimentali di Co.Ra., il quale aveva affermato di essere il materiale autore dell’inserimento sul blog di V.C. dell’articolo incriminato.
Sul punto, le considerazioni svolte dal giudice di primo grado sono da ritenersi del tutto inconferenti, in quanto relative ad un accertamento delle reali responsabilità per il reato contestato che non attiene certo alla fase predibattimentale di individuazione del giudice competente, quanto piuttosto alla fase del successivo giudizio. Peraltro, senza voler anticipare, sul punto, alcuna decisione di merito, pare evidente che il ruolo del Co. fu di semplice operatore tecnico, longa manus del V., al quale ultimo restano attribuibili le eventuali responsabilità per l’accertando (dal giudice competente) contenuto diffamatorio.
In ogni caso, sarà il giudice del dibattimento, previamente individuato secondo le regole di competenza, o il P.M. nell’ambito delle sue funzioni accusatone, a valutare le eventuali (cor)responsabilità di terzi.
11. Ciò detto, occorre ancora valutare se al momento di proposizione dell’eccezione erano disponibili elementi che consentissero di desumere, quantomeno a livello di gravità indiziaria, il luogo di effettivo caricamento dell’articolo redatto dal V..
Orbene, dal verbale di dichiarazioni rilasciate dal Co. emergono almeno tre circostanze idonee all’individuazione del luogo di uploading. In primo luogo, il soggetto risulta dall’intestazione del verbale residente in (OMISSIS); in secondo luogo, non risulta agli atti un comune luogo di lavoro del V. e del blogger (la circostanza è verosimile, trattandosi di giornalista freelance).
In terzo luogo, il Co. ha dichiarato di aver usato per il caricamento dei dati una connessione Alice, di Telecom italia, che è notoriamente una connessione via modem, perciò utilizzabile solo da abitazione e da presa “fissa”.
Escludendo, allo stato (di allora) quelle che possono definirsi semplicemente delle mere congetture (ad esempio il fatto che il Co. potesse collegarsi dall’abitazione della madre, circostanza non deducibile da alcuno degli atti disponibili in sede predibattimentale) e dovendosi escludere connessioni in mobilità o in Wi-fi, per quanto emergente dalle dichiarazioni del Co., non rimane che una sola ragionevole conclusione e cioè che il caricamento dei dati è avvenuto dall’abitazione del teste.
Conclusione non modificabile a seguito delle eventuali diverse dichiarazioni dibattimentali, considerato che, come si è detto in apertura, le questioni sulla competenza vanno decise allo stato degli atti e sono insensibili alle successive emergenze processuali (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 41991 del 15/05/2003, Rv. 226402).
12. La Corte enuncia, di conseguenza, il seguente principio di diritto: “Nei reati di diffamazione commessi a mezzo della rete internet, ove sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato e sia invece possibile individuare il luogo in remoto in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato, tale criterio di collegamento, in quanto prioritario rispetto a quello di cui all’art. 9 c.p.p., comma 2, deve prevalere su quest’ultimo, cosicchè la competenza risulta individuabile con riferimento al luogo fisico ove viene effettuato l’accesso alla rete per il caricamento dei dati sul server”.
13. Il ricorso, dunque, merita accoglimento nel senso precisato, con il conseguente annullamento sia della sentenza d’appello impugnata che di quella di primo grado, restando assorbito l’esame degli altri motivi d’impugnazione.
14. Gli atti vanno altresì trasmessi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Ferrara per il corso ulteriore.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2015