Inammissibile l’opposizione al decreto penale se spedita a mezzo PEC (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 11 maggio 2018, n. 21056).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –

Dott. DOVERE Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. CENCI Daniele – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.A., nato il (OMISSIS);

nel procedimento a carico di quest’ultimo:

avverso l’ordinanza del 22/03/2017 del GIP TRIBUNALE di PISA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SALVATORE DOVERE;

lette le conclusioni del PG Dr. GAETA Pietro, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.

Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento indicato in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa ha dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione al decreto penale di condanna n. 538/16 emesso nei confronti di D.A. per il reato di cui all’art. 187 C.d.S., commi 1 e 8, perchè proposta a mezzo posta elettronica certificata.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Giacomo Ciardelli, rilevando la violazione della normativa di cui al D.L. n. 179 del 2016 e dell’art. 583 c.p.p., comma 2.

3. Ad avviso dell’esponente, per effetto dal combinato disposto dall’art. 583 c.p.p., comma 2 – che prevede la possibilità di proporre l’impugnazione a mezzo raccomandata – e del D.L. n. 179 del 2016, art. 48 – che equipara la trasmissione del documento informatico per via telematica alla notifica a mezzo posta – non può ritenersi illegittimo il ricorso al mezzo elettronico per l’esecuzione dell’adempimento processuale.

Si richiamano a sostegno l’art. 2, comma 6 e art. 45 del citato D.L.; si sostiene che l’utilizzabilità del fax, non specificatamente prevista da norme e tuttavia ammessa, non può che confermare eguale soluzione anche per l’uso della posta elettronica certificata.

La stessa Corte di cassazione ha implicitamente riconosciuto la validità e l’efficacia dello strumento elettronico (si cita, in particolare, Cass. n. 6320/2017).

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

1.1. In tema di utilizzo dalla parte privata del mezzo della posta elettronica certificata (PEC) per le comunicazioni endoprocedimentali la giurisprudenza di legittimità appare allo stato orientata ad un riconoscimento limitato a ben definite ipotesi, tra le quali non si colloca quella che qui occupa.

All’origine della problematica si pone la comunicazione da parte del difensore dell’imputato dell’impedimento a partecipare all’udienza.

La giurisprudenza si caratterizza per una posizione di sicuro disfavore; distinguendo quanto valevole per il processo civile da quanto può ritenersi per il processo penale, si sostiene che la previsione del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, – a mente del quale “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2.

La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria” – non consente di attribuire alla parte privata, nel processo penale, la facoltà di fare ricorso a tale mezzo informatico di trasmissione quale forma di comunicazione e/o di notificazione.

La forma della notifica via PEC, per tale interpretazione, è deputata a sostituire forme derogatorie dell’ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari (Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, dep. 13/02/2014, Vacante, Rv. 258443; conformi Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, dep. 30/04/2015, Livisianu, Rv. 263189; Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, dep. 22/06/2017, P., Rv. 270702).

In altri termini, le disposizioni appena rammentate si indirizzerebbero alla sola A.g., disciplinando il ricorso alla PEC da parte di questa.

Coerentemente a tale indicazione anche con riferimento al deposito della lista testimoniale Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016, dep. 14/02/2017, Manzi, Rv. 269197 ha ritenuto l’inammissibilità di esso ove eseguito mediante l’uso della posta elettronica certificata; ciò in quanto, in assenza di una espressa norma derogatoria – prevista invece per il giudizio civile dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, convertito con modifiche in L. n. 221 del 2012 – il deposito della lista testimoniale non può essere effettuato con modalità diverse da quelle prescritte dall’art. 468 c.p.p., comma 1 a pena di inammissibilità.

Anche per la presentazione di memorie nel giudizio di cassazione è stato affermato che essa non è ammissibile ove eseguita mediante l’uso della posta elettronica certificata, in quanto non può ritenersi estesa a tale giudizio la facoltà di deposito telematico di atti, in assenza del decreto previsto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, ed in considerazione dell’espressa limitazione ai procedimenti innanzi al tribunale ed alla corte di appello prevista dal comma 1-bis della medesima norma (Sez. 2, n. 31336 del 16/05/2017 – dep. 22/06/2017, P.M. in proc. Silvestri, Rv. 270858, sulla medesima linea espressa da Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016 – dep. 17/11/2016, Cacciatore, Rv. 268192). Giova precisare che il menzionato comma 1-bis limita comunque l’ambito di applicazione della propria disposizione ai procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione.

Una coeva decisione, citata dal ricorrente, analizzando la tematica dall’angolo prospettico offerto dalla previsione dell’art. 299 c.p.p., comma 4-bis (che qui viene in considerazione nella parte in cui dispone che la richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli artt. 282 bis, 282ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del medesimo articolo, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio), ha tuttavia ricostruito diversamente il quadro legale, a partire dal combinato disposto dall’art. 152 c.p.p. e D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 48 e successive modificazioni (c.d. Codice dell’amministrazione Digitale).

Si è osservato che la prima disposizione consente alle parti private, sempre che la legge non disponga altrimenti, di sostituire le notificazioni con l’invio di copia dell’atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento” e che la seconda, come sostituita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 33 (applicabile, ai sensi dell’art. 2 dello stesso, anche ai processi civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibile e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico), pone una equipollenza tra invio della raccomandata e utilizzo della PEC.

Tale disposizione, infatti, dopo aver previsto che “la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito DigitPA”, aggiunge che “la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta”, precisando altresì che la data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso secondo le modalità previste sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi al D.P.C.M. di cui al comma 1.

Se ne è tratta la conclusione che la notifica a mezzo PEC è equiparata alla notifica per mezzo della posta, salvo che la legge non disponga altrimenti; equivalenza che trova la sua ragione nel fatto che la PEC offre le medesime certezze della raccomandata in ordine all’identificazione del mittente e all’avvenuta ricezione dell’atto (documentabile, in caso della PEC, attraverso la produzione del rapporto di consegna al destinatario e ricevuta di accettazione).

Pertanto, la lettera raccomandata, di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell’art. 152 c.p.p., può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo PEC ed è quindi valida la notifica tramite posta elettronica effettuata, ai sensi dell’art. 299 c.p.p., comma 4 bis, dal difensore dell’imputato a quello della persona offesa (Sez. 2, n. 6320 del 11/01/2017 – dep. 10/02/2017, Simeoli, Rv. 268984).

1.2. Questo Collegio non ritiene persuasiva l’interpretazione da ultimo rammentata, per le ragioni che si esporranno subito appresso.

Premesso che per la presentazione della opposizione al decreto penale di condanna si ritiene che il testo dell’art. 461 c.p.p., comma 1 non osti al ricorso al servizio postale (Sez. 5, n. 35361 del 06/07/2010 – dep. 30/09/2010, Cheng, Rv. 248876; Sez. 4, n. 9603 del 18/02/2016 – dep. 08/03/2016, Filice, Rv. 266302), vale quanto considerato in uno specifico precedente arresto di questa Corte.

Pure se ai sensi del D.P.R. n. 68 del 2015 il valore legale della Posta Elettronica Certificata è equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno, “manca nelle disposizioni che regolamentano il processo penale, a differenza di quanto previsto per il procedimento civile, una norma che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte”.

Il già menzionato D.L. n. 179 del 2012 ha introdotto e disciplinato l’obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni a carico della Cancelleria in via telematica presso l’indirizzo di posta elettronica nei confronti di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo; ma non ha disciplinato il deposito degli atti di parte (nè l’ha fatto il D.L. n. 179 del 2016, che pure ha portato modifiche al D.Lgs. n. 82 del 2005).

Come è stato perspicuamente osservato, mentre nel processo civile il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, è sostanzialmente ormai concluso, in quello penale esso non è stato neppure avviato, sicchè alla parte privata non è consentito l’uso del mezzo informatico in argomento per la trasmissione dei propri atti ad altre parti nè per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato, come si è visto, alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, giudice o pubblico ministero che sia.

Ulteriore argomento a sostegno della tesi adottata è poi rinvenibile nella inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, “che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti”.

Questo Collegio ritiene di dover aggiungere ancora una breve considerazione.

Invero, il ricordato art. 2, comma 6 del codice digitale lascia intendere che le disposizioni dettate presuppongano operante il processo telematico; sicchè ove questo non sia instaurato appare erroneo ipotizzare l’applicazione di talune delle norme che nell’intento del legislatore si iscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali.

Va anche considerato che in materia di impugnazioni vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione del ricorso, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., in quanto si tratta di requisiti la cui osservanza è sanzionata a pena di inammissibilità, con la conseguenza che la presentazione dell’impugnazione con mezzi diversi da quelli previsti dalla norma è inammissibile perchè effettuata con modalità non consentita dalla legge (Sez. 1, n. 16356 del 20/03/2015 – dep. 20/04/2015, Piras, Rv. 263321, in tema di fax; Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016 – dep. 05/05/2016, Mandato, Rv. 266931, specificamente in tema di ricorso per cassazione avverso il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio proposto mediante l’uso della posta elettronica certificata).

2. Deve pertanto ribadirsi che in assenza di norma specifica che consenta nel sistema processuale penale alle parti il deposito di atti in via telematica, è inammissibile la presentazione dell’opposizione al decreto penale di condanna a mezzo di Posta Elettronica Certificata, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni (Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017 – dep. 08/11/2017, Giacinti, Rv. 272095).

Sulla scorta di quanto precede risulta anche la inconferenza e la non decisività del richiamo operato dal ricorrente alla giurisprudenza formatasi in materia di comunicazioni a mezzo fax.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2018.