REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Rel. Consigliere
Dott. Gianni Filippo Reynaud – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Iacenda Diego, nato ad (OMISSIS) il xx-xx-xxxx;
avverso l’ordinanza del 15-05-2019 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabio Zunica;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 4 ottobre 2017, la Corte di appello di Salerno accoglieva l’istanza di riparazione avanzata nell’interesse di Diego Iacenda, liquidando in suo favore la somma di euro 28.946,90, con riferimento alla detenzione patita, in regime di custodia cautelare in carcere, dal 4 al 30 luglio 2011 e, agli arresti domiciliari, dal 31 luglio 2011 al 30 ottobre 2012.
L’applicazione del regime cautelare detentivo nei confronti di Iacenda era scaturito dall’essere egli gravemente indiziato di aver commesso i reati di cui agli art. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, a lui contestati per aver fatto parte di un sodalizio criminoso, operante in Eboli e dintorni, nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009, dedito alla commissione di una serie indeterminata di atti di acquisto, detenzione, trasporto, taglio e cessione a fini di spaccio di quantitativi rilevanti di hashish.
In ordine a tali imputazioni, Iacenda veniva poi assolto con sentenza resa il 6 luglio 2015 dal Tribunale di Salerno, divenuta poi definitiva.
2. In accoglimento del ricorso proposto nell’interesse di Iacenda avverso l’ordinanza della Corte di appello salernitana, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 39159 del 10 maggio 2018, annullava con rinvio l’ordinanza impugnata, rilevando che la Corte territoriale si era limitata a calcolare l’indennità in modo aritmetico, senza fare cenno alla valutazione delle gravi lesioni allegate dal ricorrente, concernenti la sfera personale, lavorativa e abitativa.
3. In sede di rinvio, la Corte di appello di Salerno, con ordinanza del 15 maggio 2019, liquidava in favore di Iacenda, a titolo di riparazione per ingiusta detenzione, la somma di euro 38.946,90.
4. Avverso la seconda ordinanza della Corte di appello campana, Iacenda, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa contesta la violazione degli art. 627 comma 3 e 628 cod. proc. pen., deducendo altresì l’illogicità della motivazione, nella parte in cui erano stati replicati gli argomenti già censurati nel precedente giudizio, nonché la mancanza di motivazione in ordine all’esplicitazione dei criteri utilizzati per quantificare l’indennizzo.
In particolare, la difesa osserva che la somma liquidata in favore di Iacenda doveva ritenersi meramente simbolica, non avendo la Corte di appello considerato tutte le voci di danno dedotte, a partire da quella concernente la perdita del posto di lavoro, atteso che solo dopo due anni dalla fine della detenzione domestica il ricorrente ha trovato un’occasione di lavoro.
In ogni caso, i criteri adottati nell’ordinanza impugnata sarebbero arbitrari e immotivati, dovendosi ritenere incongruo un indennizzo di 10.000 euro a fronte di una situazione di inusuale gravità, non avendo comunque la Corte di appello tenuto adeguatamente conto né della durata della detenzione, né delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Nel circoscrivere l’oggetto della verifica sollecitata dal ricorso, occorre premettere che il primo provvedimento della Corte di appello di Salerno è stato censurato dalla Quarta Sezione di questa Corte nella parte in cui non sono stati valutati i danni, debitamente allegati, scaturiti dalla ingiusta detenzione e ricadenti nella sfera personale, lavorativa e financo abitativa di Iacenda.
Dopo aver ribadito la natura indennitaria e non risarcitoria del ristoro per ingiusta detenzione, in quanto diretto a compensare solo le ricadute sfavorevoli provocate dall’incolpevole privazione della libertà personale, la sentenza rescindente ha ricordato che, qualora ricorra una pluralità di lesioni patrimoniali e personali, causalmente connesse con la sottoposizione all’ingiusto provvedimento restrittivo, occorre, in primo luogo, valutare l’effettiva sussistenza del pregiudizio ulteriore e la sua gravità e, in secondo luogo, incrementare l’indennità calcolata aritmeticamente in ragione del superamento della medietà della lesione e, solo successivamente, decurtare l’importo così raggiunto in ragione del concorso della condotta colposa dell’interessato, configurata come lieve e quindi compatibile con la liquidazione.
In definitiva, la sussistenza della colpa lieve non assorbe, di per sé, l’incremento eventualmente dovuto per le conseguenze dell’ingiusta detenzione che si pongano oltre la previsione, palesandosi come più gravi a quelle ritenute normale conseguenza della restrizione, ma costituisce soltanto lo strumento attraverso cui, una volta calcolato per intero l’indennizzo dovuto, comprendendovi il riconoscimento delle lesioni ultra dimidium, si corregge il calcolo, decurtando una percentuale ritenuta corrispondente alla responsabilità dell’interessato nella causazione del pregiudizio, così da determinare la somma dovuta, da un lato, nella sua integrità e, dall’altro, entro il limite del segmento addebitabile all’Autorità giudiziaria.
Ciò posto, la Quarta Sezione di questa Corte ha dunque stigmatizzato la prima ordinanza di riparazione per avere calcolato in modo aritmetico l’indennità, senza valutare in alcun modo le gravi lesioni allegate, decurtando infine la percentuale ritenuta alla colpa lieve del richiedente, consistita. nel silenzio serbato durante l’interrogatorio di garanzia.
2. Tanto premesso, deve ritenersi che la nuova ordinanza della Corte di appello non si posta del tutto in sintonia con i predetti criteri interpretativi.
Al riguardo deve premettersi che, nel primo provvedimento del 4 ottobre 2017, era stata riconosciuta in favore di Iacenda la somma di euro 28.946,90, tenuto conto dei 474 giorni di ingiusta detenzione, di cui 17 in carcere e i restanti 457 in regime di arresti domiciliari, venendo applicata sulla cifra scaturente dal calcolo aritmetico (euro 57.893,91, ovvero 235,82 per ogni giorno di custodia cautelare ed euro 117,91 per ogni giorno di arresti domiciliari), la decurtazione della metà per la colpa lieve del ricorrente, ravvisata, invero in maniera tutt’altro che illogica, nel silenzio serbato da Iacenda durante l’interrogatorio di garanzia. Si era pervenuti così all’importo di euro 28.946,90.
Nel provvedimento impugnato la Corte territoriale, in sede di rinvio, in aggiunta alla somma scaturente dal calcolo aritmetico (euro 57.893,91), ha liquidato, prima della decurtazione della metà, l’ulteriore somma di euro 20.000, per cui l’importo finale è risultato pari a euro 38.946,90 (ovvero 77.893,91 diviso due).
Orbene, pur muovendosi formalmente nel solco delle indicazioni ermeneutiche provenienti dalla sentenza rescindente, la Corte di appello non ha però colmato del tutto le lacune motivazionali della prima ordinanza, posto che, si legge nel provvedimento impugnato, l’aumento di 20.000 euro rispetto al primo importo è stato operato in via equitativa “utilizzati tutti i dati disponibili per la valutazione”.
Tale passaggio argomentativo non può ritenersi esaustivo a fronte della pluralità dei disagi patrimoniali e personali dedotti dal ricorrente, non potendosi ad esempio sottacere che, come peraltro riconosciuto dalla stessa Corte di appello, Iacenda, a seguito dell’arresto e della successiva detenzione, fu costretto a lasciare il posto di lavoro (di autista addetto alla logistica di una società operante nel settore “catering per eventi”), per essere riassunto solo il 20 giugno 2014, ovvero dopo un anno e otto mesi dalla fine della detenzione (risalente all’ottobre 2012).
Ora, pur dovendosi ribadire la natura indennitaria e non risarcitoria del ristoro e pur potendosi ritenere legittima la conseguente valutazione equitativa, occorre tuttavia evidenziare che, come già sostenuto nella prima pronuncia rescindente, in presenza di una pluralità di lesioni della sfera patrimoniale e personale, riconducibili all’ingiusta restrizione, occorre valutare l’effettiva incidenza e gravità dei pregiudizi ulteriori che giustificano l’incremento dell’indennità calcolata in via aritmetica, imponendosi in tal senso un’adeguata esposizione sia della natura dei danni patiti dal richiedente, sia del loro impatto sulle sue condizioni personali, ciò al fine di ancorare a parametri non astratti la liquidazione del relativo importo.
In definitiva, pur essendo stato correttamente riconosciuto in favore di Iacenda un importo maggiore rispetto alla prima incompleta liquidazione, è tuttavia mancato in questo secondo provvedimento un compiuto riferimento alle singole voci di danno allegate dal ricorrente e ai criteri ritenuti idonei a giustificare il riconoscimento della somma ulteriore, non potendo la pur consentita valutazione equitativa dell’indennizzo prescindere da un’adeguata specificazione dei parametri utilizzati, anche nell’ottica di verificare la tenuta logica del percorso argomentativo seguito al fine di operare il necessario incremento della somma da riconoscere.
3. Alla stregua di tali considerazioni, si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Salerno per nuovo giudizio, da compiere alla luce dei criteri ermeneutici in precedenza esposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
Così deciso il 02/10/2019.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020.
SENTENZA – copia non ufficiale -.