Integrato il delitto di rapina in quanto l’impossessamento aveva costituito la parte terminale della complessiva condotta violenta e minacciosa posta in essere dagli aggressori (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 4 giugno 2018, n. 24904).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittor – rel. Consigliere

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 22/10/2016 dalla Corte d’Appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CASELLA Giuseppina, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;

udito il difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/10/2016, la Corte d’Appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza emessa in data 30/04/2015, con la quale il Tribunale di Brescia aveva condannato alla pena di giustizia (OMISSIS), in relazione al concorso nei delitti aggravati di rapina, lesioni e danneggiamento a lui ascritti ai capi A), B).e C) della rubrica.

In particolare, la Corte territoriale riteneva di non applicare la recidiva, rideterminando conseguentemente il trattamento sanzionatorio e confermando nel resto.

2. Ricorre per cassazione l’ (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo:

2.1. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta configurabilita’ del delitto di rapina, quanto al capo A), in quanto l’impossessamento delle bottiglie di birra era avvenuto in un momento successivo all’aggressione delle persone offese (dovuta alla reazione al loro intento di trattenere il ricorrente e gli altri avventori fino all’arrivo dei Carabinieri); doveva quindi ravvisarsi, nella specie, il meno grave delitto di furto.

2.2. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non avendo la Corte d’Appello tenuto conto del buon comportamento processuale e dell’inizio di un’attivita’ lavorativa lecita.

Su tali basi, il ricorrente insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.

2. Con riferimento al primo motivo, e’ invero necessario richiamare, anzitutto, l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui “in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento” (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965. In senso analogo, cfr. da ultimo Sez. 2, n. 41935 del 21/06/2017, De Marte).

D’altro lato, viene in rilievo anche il costante insegnamento di questa Corte secondo cui e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (cosi’ da ultimo Sez. 2, n 17147 del 28/03/2018, Andolina; in senso analogo Sez. 6, 20377/2009, rv. 243838; Sez. 5 28011/2013, rv. 255568; Sez. 2 11951/2014, rv. 259425).

In tale ottica interpretativa, che si condivide e qui si intende ribadire, il motivo di ricorso non supera il necessario il necessario vaglio di ammissibilita’, in quanto il ricorrente – pur formalmente prospettando doglianze di legittimita’ – censura in realta’ il merito delle valutazioni operate dalla Corte territoriale (in piena sintonia, anche quanto alla qualificazione giuridica da attribuire ai fatti, con quelle del primo giudice) e ripropone una diversa e piu’ favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento e’ evidentemente precluso in questa sede.

D’altra parte, il percorso motivazionale della Corte d’Appello ha diffusamente preso in considerazione la tesi difensiva, sottolineando che l’apprensione delle bottiglie di birra era avvenuta in una stretta consequenzialità rispetto al pestaggio subito dai titolari dell’esercizio commerciale, impossibilitati ad intervenire per le lesioni riportate e per l’effetto intimidatorio derivante dall’aggressione appena subita.

In altri termini, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di rapina in quanto l’impossessamento aveva costituito la parte terminale della complessiva condotta violenta e minacciosa posta in essere gli aggressori (tra i quali vi era l’imputato, sorpreso dagli operanti intervenuti ancora con una delle bottiglie in mano).

Si tratta di un percorso immune da censure deducibili in questa sede, alla luce dei precedenti richiamati e dell’ulteriore principio, di recente affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di rapina, l’elemento psicologico specifico puo’ essere integrato anche dal cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, non essendo necessario che la violenza o la minaccia siano finalizzate all’impossessamento sin dal primo atto” (Se. 2, n. 3116 del 12/01/2016, Paolicchi, Rv. 265644).

3. Manifestamente infondato e’ anche il motivo concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche.

Sul punto, la Corte territoriale ha motivato il diniego valorizzando la futilita’ dei motivi, l’assenza di condotte indicative di ravvedimento nei confronti delle persone offese, la mancanza di iniziative volte a risarcire almeno parzialmente il danno.

3.1. Trattasi di motivazione sintetica ma in linea con l’indirizzo di questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n.3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163).

4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.