Licenziamento disciplinare (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 4 giugno 2018, n. 14192).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1940-2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

Nonche’ da:

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 379/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 24/11/2015 R.G.N. 314/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/U1/2018 e dal consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per accoglimento del secondo motivo, rigetto primo motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS).

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Bergamo, in accoglimento del reclamo proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza con la quale il giudice del lavoro aveva confermato la ordinanza che aveva riqualificato il licenziamento intimato al (OMISSIS) dalla societa’ (OMISSIS), da licenziamento per giusta causa a licenziamento per giustificato motivo soggettivo e rettificato la indennita’ sostitutiva del preavviso in Euro 25.327,01 in luogo di quella pari a 23.327,01 liquidata con l’ordinanza), in riforma della decisione, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e condannato la societa’ al pagamento di un’indennita’ risarcitoria omnicomprensiva quantificata in 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto nonche’ al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Ha respinto il motivo di reclamo attinente alla misura della retribuzione globale di fatto, avanzato dalla societa’

1.1. La Corte di merito, per quel che ancora rileva, ha ritenuto l’intimato licenziamento non proporzionato ai fatti addebitati; invero, pur riconoscendo che le frasi profferite dal (OMISSIS) nei confronti della superiore gerarchica (OMISSIS) avevano un indiscutibile carattere ingiurioso, offensivo e di disprezzo ha ritenuto che tale condotta non rivestiva un carattere di gravita’ tale da giustificare la sanzione espulsiva, specie sotto il profilo dell’elemento soggettivo; ciò sia in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro durato oltre venticinque anni sia in considerazione del fatto che il comportamento del dipendente appariva frutto di momentanea insofferenza verso la collega divenuta suo superiore e risultava ridimensionato, nei suoi connotati di gravita’, anche dalla eccessiva insistenza della (OMISSIS) nel cercare in quel frangente un chiarimento che il (OMISSIS) non era disposto a dare.

1.2. In merito alla tutela applicabile il giudice di appello, esclusa la possibilita’ di reintegrazione L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 4 nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla L. n . 92 del 2012, articolo 1, comma 42 in assenza di tipizzazione da parte del contratto collettivo della condotta in oggetto come punibile con una sanzione conservativa, ha condannato la societa’ al pagamento di un’indennita’ risarcitoria omnicomprensiva nella misura minima di 12 mensilita’ della retribuzione globale di fatto, con esclusione del diritto alla indennita’ sostitutiva del preavviso.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale – ricorso incidentale affidato ad un unico motivo; (OMISSIS) ha depositato controricorso avverso ricorso incidentale.

2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in ordine alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, commi 4 e 5. Premesso che dalla ricostruzione fattuale del giudice del reclamo era emersa una condotta solo parzialmente corrispondente a quella contestata in quanto non risultava dimostrato che vi fossero state, come contestato, urla o toni minacciosi, sostiene che la fattispecie concreta andava ricondotta all’ambito della previsione di “insussistenza del fatto” che giustificava l’applicazione della tutela reintegratoria; analogamente sostiene in relazione al rilevato difetto di proporzionalita’.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in ordine alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 5 e all’articolo 2118 c.c., censurando la decisione per avere ritenuto che la indennita’ risarcitoria fosse comprensiva anche della indennita’ sostitutiva del preavviso.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la societa’ (OMISSIS) deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in relazione alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7.

Assume che nel ritenere il difetto di proporzionalita’ la sentenza impugnata non aveva considerato il protrarsi dell’aggressione nei confronti della (OMISSIS) che, secondo le deposizioni testimoniali, era durato dal mattino alla pausa pranzo; cio’ connotava la condotta del dipendente non come frutto di momentanea insofferenza bensi’ come vera e propria insubordinazione nei confronti del superiore; sotto altro profilo critica l’applicazione quasi meccanica del principio di graduazione delle sanzioni sotteso all’articolo 7 cit. osservando che lo stesso non e’ da ricollegare solo al numero dei precedenti disciplinari bensi’ all’obiettiva gravita’ della condotta.

4. Il motivo di ricorso incidentale, che per ragioni di ordine logico- giuridico viene esaminato per primo, e’ da respingere.

4.1. E’ innanzitutto infondata la censura secondo la quale la sentenza impugnata, violando il disposto della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, avrebbe fatto un’applicazione quasi automatica del principio di graduazione delle sanzioni ricollegandole al numero dei procedimenti disciplinari nei quali il lavoratore sarebbe stato in ipotesi coinvolto; il giudice del reclamo e’, infatti, pervenuto all’accertamento del difetto di proporzionalita’ del recesso datoriale sulla base di una complessiva considerazione delle circostanze concrete alla stregua delle quali ha ritenuto non giustificata la sanzione espulsiva. In particolare ha sottolineato la non particolare intensità dell’elemento soggettivo, configurandosi la condotta del (OMISSIS) frutto di momentanea insofferenza verso la collega divenuta suo superiore gerarchico, della delusione per la propria posizione lavorativa e anche della insistenza della superiore (OMISSIS) nella ricerca di un chiarimento in un contesto già connotato da particolare tensione.

Il riferimento all’assenza di precedenti disciplinari, nell’ottica del giudice del reclamo, e’, quindi, funzionale alla conferma che solo la particolarita’ della concreta situazione aveva determinato la reazione del dipendente – che per questo veniva connotata come meno grave sotto il profilo soggettivo (e della sua idoneita’ a ledere il vincolo fiduciario)- ma non ha affatto costituito, come sembra adombrare parte ricorrente, il parametro decisivo al quale, in maniera pressocche’ automatica, sarebbe stata ancorata la valutazione di non proporzionalita’.

4.2. La censura con la quale si denunzia, sotto il profilo del vizio di motivazione, la valutazione di non proporzionalita’ del recesso datoriale rispetto all’entita’ dell’addebito e’ anch’essa da respingere.

Premesso, infatti, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di licenziamento disciplinare spetta al giudice del merito procedere alla valutazione della proporzionalita’ della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non e’ rinnovabile in sede di legittimita’, bensi’ censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012 n. 8293, Cass. 19/10/2007n. 21965), nel caso di specie non e’ ravvisabile l’omesso esame del fatto storico, indicato come decisivo, rappresentato dal protrarsi della condotta del (OMISSIS).

Tale circostanza, infatti, e’ stata tenuta ben presente dalla sentenza impugnata, come reso palese dalla puntuale ricostruzione dello sviluppo degli accadimenti ed in particolare della evoluzione del contrasto tra il (OMISSIS) e la superiore (OMISSIS), culminato con la pronunzia delle espressioni offensive da parte del primo nei confronti della seconda.

Cio’ denota la piena consapevolezza da parte del giudice di appello del quadro complessivo, anche temporale, nel quale si sono sviluppati gli eventi, con implicita – valutazione di irrilevanza del protrarsi della condotta del lavoratore, valutazione non sindacabile in sede di legittimita’.

5. Il primo motivo di ricorso principale e’ infondato.

5.1. Il giudice di appello ha premesso che “l’addebito disciplinare quale cristallizzato nella contestazione non attiene unicamente a condotte minacciose o irruente tenute dal dipendente nei confronti del superiore gerarchico ma riguarda una condotta ben più ampia consistita anche nella pronuncia, a prescindere dall’atteggiamento minaccioso, irritato, furioso o intimidatorio, di frasi ingiuriose ed offensive alla presenza di altri colleghi di lavoro”.

Tale ricostruzione del contenuto complessivo del fatto addebitato non e’ validamente censurata dall’odierno ricorrente il quale non contrasta affatto l’assunto che la complessiva condotta contestata concerneva anche la pronunzia di frasi offensive ed ingiuriose all’indirizzo della collega; tantomeno contrasta l’assunto, presupposto implicito della sentenza impugnata, che la pronunzia di tali frasi era di per se’ sola astrattamente idonea ad integrare un fatto sanzionabile sul piano del rapporto di lavoro.

Ne deriva che la fattispecie in esame non appare riconducibile alla ipotesi di “insussistenza del fatto” ai fini della tutela reintegratoria invocata dal ricorrente.

5.2. Per esigenze di logica, prima ancora che di coerenza con l’impianto normativo scaturito dalla novella di cui alla L. n. 92 del 2012 in tema di diversificazione del regime delle tutele connesse all’illegittimo recesso datoriale, ed in particolare con la natura residuale della tutela reintegratoria come prevista dall’articolo 18 novellato, cosi’ gia’ interpretato da questa Corte (Cass. 08/07/2016 n. 14021), deve ritenersi, infatti, che in caso di contestazione di pluralita’ di addebiti o, come avvenuto nel caso di specie, di un’unica articolata condotta, la “insussistenza del fatto” si configuri solo qualora sul piano fattuale possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotta – fra i fatti oggetto di contestazione – di per se’ solo astrattamente idoneo a giustificare la sanzione espulsiva, oppure, specularmente, secondo quanto gia’ ritenuto, qualora si realizzi l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceita’ (Cass. 20/09/2016 n. 18418).

5.3. Quanto ora osservato costituisce sviluppo, nel contesto del novellato articolo 18, del principio ripetutamente affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente non in un fatto singolo ma in una pluralita’ di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravita’ complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o piu’ degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservano la loro astratta idoneita’ a giustificare il licenziamento” (Cass. 28/07/2017 n. 18836; Cass. 30/05/2014 n. 12195; Cass. 31/10/2013 n.24574; Cass. 14/01/2003 n. 454).

5.4. La ulteriore censura formulata con il motivo in esame, con la quale si assume che il difetto di proporzionalita’ tra fatto addebitato e sanzione espulsiva, comporta la tutela reintegratoria di cui al novellato articolo 18, comma 4 e’ da respingere alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 42, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, sicche’ ogni valutazione che attenga al profilo della proporzionalita’ della sanzione rispetto alla gravita’ della condotta contestata non e’ idonea a determinare la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Cass. 06/11/2014 n. 23699).

6. Il secondo motivo del ricorso principale e’ fondato.

6.1. Preliminarmente va affermata la ammissibilità del motivo in esame, cosi’ disattendendosi la eccezione della parte controricorrente. Invero, non e’ in discussione che, come riconosciuto nel controricorso e anche desumibile dallo storico di lite della sentenza impugnata, il (OMISSIS), con il ricorso L. n. 92 del 2012, ex articolo 1, comma 48 ha formulato specifica domanda di condanna della (OMISSIS) all’indennità sostitutiva del preavviso; tale richiesta era stata accolta con l’ordinanza della prima fase e confermata all’esito del giudizio di opposizione ove si era proceduto alla rettifica della somma a tale titolo originariamente liquidata.

Da quanto sopra scaturisce che il (OMISSIS), in sede di reclamo, non era tenuto a formulare alcuna ulteriore richiesta di attribuzione dell’emolumento che gli era già stato riconosciuto; ne’ siffatta necessita’ discendeva come pure prospettato dalla società, dalla richiesta di applicazione del comma 5 del novellato L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18 non essendo la tutela richiesta incompatibile, secondo quanto si andrà ad esporre, con il diritto alla indennità in oggetto.

6.2. A riguardo va data continuità al precedente di questa Corte, le cui argomentazioni sono qui richiamate, secondo il quale la tutela indennitaria-risarcitoria, di cui al novellato L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, non esclude il diritto del lavoratore a percepire anche l’indennita’ di preavviso in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, non essendo venute meno, anche all’esito delle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, quelle esigenze proprie dell’istituto, di tutela della parte che subisce il recesso, volte a consentirle di fronteggiare la situazione di improvvisa perdita dell’occupazione, ne’ autorizzando la lettera e la “ratio” della disposizione una opzione ermeneutica restrittiva (Cass. 21/09/2016 n. 18508).

7. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione della decisione e, sussistendo i presupposti di cui all’articolo 384 c.p.c. stante la non contestazione sul quantum debeatur, la condanna della societa’ al pagamento della indennita’ sostitutiva del preavviso nella misura di Euro 25.327,01, determinata dal Tribunale con la sentenza emessa in sede di opposizione.

8. Il regolamento sulle spese di lite nei gradi di merito e’ confermato.

8.1. Atteso l’esito del giudizio di legittimità le relative spese sono compensate nella misura della meta’ e il residuo, liquidato come da dispositivo, posto a carico della società (OMISSIS).

9. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale.

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna (OMISSIS) al pagamento in favore di (OMISSIS) della indennità sostitutiva del preavviso nella misura quantificata dal Tribunale con la sentenza oggetto di reclamo.

Conferma la statuizione sulle spese di lite dei gradi di merito. Compensa per meta’ le spese del giudizio di legittimità che liquida per l’intero in Euro 5.000,00 per compensi professionali, 200,00 per esborsi, oltre spesse forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori come per legge e condanna la società controricorrente-ricorrente incidentale alla rifusione della residua metà.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della societa’ ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.