La busta paga è una valida prova del credito per dimostrare la pretesa retributiva (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 27 maggio 2022, n. 17312).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATRORE Roberto – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ROMINA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) del Lazio, Via (OMISSIS) (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato Antonio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato Domenico (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, il curatore fallimentare

– intimato –

avverso il decreto n. 3046/2021 del Tribunale di Castrovillari, depositato il 4.3.2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6.4.2022 dal Consigliere Relatore Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

– che viene proposto da (OMISSIS) ROMINA ricorso per cassazione avverso il decreto n. 3046-2021, depositato il 4.3.2021, con cui è stato respinto l’opposizione allo stato passivo proposto da (OMISSIS) ROMINA nei confronti del FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. contro il provvedimento del g.d. del Tribunale di Castrovillari che aveva rigettato, a sua volta, la domanda di ammissione al passivo fallimentare, in via privilegiata, del credito di lavoro relativo all’anno 2011 a titolo di ferie non godute, di indennità di mancato preavviso e dei ratei relativi alla 13° e 14° mensilità e T.f.r., oltre che del credito relativo alle spese legali liquidate nei decreti ingiuntivi nn. 31 e 131/2012 emessi dal Tribunale di Castrovillari;

– Il Tribunale ha ritenuto, con riferimento al credito vantato a titolo di differenze retributive, che la prova delle stesse non potesse essere fornita dal lavoratore tramite la produzione di buste paga e la mera allegazione dell’inadempimento del datore di lavoro, trattandosi di voci retributive ulteriori rispetto a quelle esposte nella busta paga;

– ha evidenziato che neanche la perizia stragiudiziale allegata dal ricorrente avrebbe potuto rivestire idonea validità probatoria per la prova del credito posto che la stessa si era fondata sulle dichiarazioni unilateri della lavoratrice;

– ha osservato che anche l’ammessa prova testimoniale era stata inidonea a dimostrare la fondatezza del credito retributivo vantato per legittimare la richiesta di ammissione al passivo fallimentare;

– ha evidenziato l’inammissibilità della domanda di insinuazione al passivo delle spese legali liquidate nei predetti decreti ingiuntivi perché non presentata con l’originaria istanza di insinuazione ma solo in sede di osservazioni nel corso del giudizio di verifica dei crediti e dunque perché nuova;

– che il fallimento intimato non ha svolto difese;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c.;

CONSIDERATO

1. – che con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 93, 3 comma, n. 2 e n. 3, l. fall., sul rilievo che il tribunale avrebbe errato nel ritenere le busta paga prova inidonea a dimostrare la fondatezza della pretesa retributiva sopra ricordata, posto che, una volta prodotte in giudizio le buste paga da parte del lavoratore, è onere del datore di lavoro dimostrare l’insussistenza probatoria delle stesse in ordine ai crediti lavoristici maturati a titolo di mancato godimento di ferie, permessi e festività non godute;

– che la ricorrente contesta inoltre la valutazione di ritenuta inidoneità della perizia di parte allegata per la dimostrazione della consistenza del credito di cui si era chiesta l’ammissione al passivo;

– che la ricorrente evidenzia, infine, che i decreti ingiuntivi, delle cui spese liquidate si chiedeva l’insinuazione al passivo, erano stati prodotti sin dalla presentazione della domanda di insinuazione al passivo, sicché la domanda di insinuazione non avrebbe potuto essere considerata domanda nuova;

– che il primo motivo è manifestamente fondato, nei limiti qui di seguito precisati;

– che, secondo la costante e non contrastata giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di accertamento dello stato passivo, le buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest’ultimo, possono essere utilizzate come prova del credito oggetto di insinuazione, considerato che ai sensi dell’art. 3 della l. n. 4 del 1953 la loro consegna al lavoratore è obbligatoria, ferma restando la facoltà del curatore di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 18169/2019; v. anche: n. 17413 del 2015; cfr., da ultimo, Sentenza n. 32395 del 11/12/2019);

– che è pur vero che il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l’onere di provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l’espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennità suddetta (Cass n. 22751 del 03/12/2004), e ragionamento analogo vale per i permessi non goduti e le altre indennità contrattuali richieste;

– che, come già sopra rilevato le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest’ultimo, hanno tuttavia piena efficacia probatoria del rapporto di lavoro esistente e del credito insinuato, alla stregua del loro contenuto, obbligatorio e penalmente sanzionato dall’art. 5 legge 25 gennaio 1953 n. 4 (Cass. n. 17413/2015, cit. supra), ferma restando la facoltà della controparte di contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice;

– che erroneamente dunque il giudice di merito non ha attribuito alcun valore probatorio alle buste paga prodotte in giudizio dal lavoratore, non risultando, peraltro, dalla ricostruzione del decreto impugnato che la procedura avesse in una qualche misura contestato in modo puntuale e specifico le risultanze delle busta paga con mezzi contrari di difesa o con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza;

– che l’ulteriore doglianza articolata dalla ricorrente, quanto alla mancata ammissione delle spese legali liquidate nei provvedimenti monitori, è invece inammissibile perché la stessa non coglie la ratio decidendi che fonda il provvedimento di diniego sul profilo della novità della domanda rispetto a quella introdotta con l’originaria istanza di ammissione al passivo fallimentare e non già rispetto alla domanda di opposizione allo stato passivo;

– che le ulteriori censure articolate nel secondo motivo (come vizio di omesso esame di fatti decisivi) rimangono invece assorbite;

– che nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa della parte intimata;

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione;

dichiara assorbito il secondo motivo;

cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Castrovillari, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile il 6 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.