Licenziamento legittimo per quel lavoratore che aggredisce il collega (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 28 ottobre 2021, n. 30510).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26710-2018 proposto da:

(OMISSIS) ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 10, presso lo studio dell’avvocato GUIDO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

PIAGGIO AERO INDUSTRIES S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS), 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 278/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 19/07/2018 R.G.N. 65/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

Premesso

che con sent. n. 278/2018, pubblicata il 19 luglio 2018, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Savona aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento per giusta causa intimato a Roberto (OMISSIS) dalla Piaggio Aero Industries S.p.A. in relazione ad un episodio di aggressione verbale e fisica commessa nei confronti di un collega di lavoro, conseguentemente applicando la tutela di cui al comma 5 dell’art. 18 I. n. 300/1970, come riformulato dalla I. 28 giugno 2012, n. 92;

– che la Corte di appello, nel respingere il gravame del lavoratore, che richiedeva la tutela di cui al comma 4 dell’art. 18:

(a) ha considerato che la condotta allo stesso ascritta, pur non rientrando tra quelle indicate (a titolo esemplificativo) dal contratto collettivo di settore per l’applicazione della misura espulsiva, era comunque da ritenersi di particolare gravità e tale da legittimare l’adozione di un licenziamento disciplinare, integrando la fattispecie del “diverbio litigioso tra colleghi con passaggio alle vie di fatto” espressamente prevista da molti contratti collettivi tra le infrazioni specifiche passibili di punizione in tal senso;

(b) ha escluso che la condotta potesse essere sanzionata con una misura conservativa, l’art. 9 del Codice disciplinare riguardando comportamenti colposi o, se dolosi, di lieve entità, e soprattutto inidonei a provocare danni alla persona, e neppure potendo la medesima ricondursi alla norma di chiusura di cui alla lettera L) di tale disposizione (relativa a “qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dello stabilimento”), nella quale potevano rientrare solo infrazioni di pari gravità rispetto a quelle indicate nelle lettere precedenti;

(c) ha peraltro, condividendo la valutazione del primo giudice, considerato sproporzionata la sanzione del licenziamento, posto che l’aggressione si era verificata a seguito di continue provocazioni da parte del collega di lavoro, secondo ciò che era emerso dalle deposizioni testimoniali;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con unico motivo, assistito da memoria, cui ha resistito la società con controricorso;

rilevato

che il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 cod. civ., 7 e 18 I. n. 300/1970, nonché degli artt. 9 e 10 C.C.N.L. per i dipendenti delle aziende del settore metalmeccanico, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la gravità del fatto, senza considerare che esso era avvenuto non solo al di fuori dell’orario di lavoro ma anche al di fuori dei reparti di lavorazione e che comunque, per le sue modalità, non poteva essere ricondotto alla fattispecie della “rissa” prevista dal C.C.N.L. (art. 10) tra i comportamenti passibili di licenziamento con o senza preavviso; per non avere inoltre considerato che le altre ipotesi di licenziamento per giusta causa previste dall’art. 10, alle quali doveva necessariamente rapportarsi la valutazione del caso concreto, erano tali da integrare comportamenti ben più gravi di quello contestato, in quanto contraddistinti dalla volontarietà dell’azione e, soprattutto, dall’essere tale azione rivolta direttamente e dolosamente contro l’ordine e i beni aziendali, con conseguente riferibilità della condotta ascritta all’ambito di applicazione dell’art. 9 del contratto collettivo;

osservato

che il motivo è infondato;

– che la Corte territoriale ha fatto correttamente applicazione del principio, per il quale l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore;

– che il principio è stato ribadito da Cass. n. 13412/2020: “La previsione, nel contratto collettivo, di fattispecie integranti giusta causa di licenziamento rappresenta uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 cod. civ., ma non è vincolante per il giudice, il quale può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o un grave comportamento del lavoratore contrario alle regole dell’etica o del comune vivere civile, ovvero, al contrario, può escludere che il contegno del lavoratore integri una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato”;

in tal senso, fra le più pronunce più recenti, anche Cass. n. 3283/2020: “In tema di licenziamento disciplinare, la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, ovvero ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne sono alcune non rispondenti al modello legale e, dunque, nulle per violazione di norma imperativa; ne consegue che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione” e, in precedenza, Cass. n. 4060/2011: “La giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore; per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato”;

– che, d’altra parte, la valutazione di gravità del fatto, tale da ricondurlo nel novero delle condotte punibili con la sanzione espulsiva e da determinarne l’esclusione dall’area di applicazione delle misure conservative, risulta adeguatamente compiuta dalla Corte di merito anche attraverso un esame delle circostanze del caso concreto e, in linea con l’arresto da ultimo richiamato, sorretta da congrua motivazione;

ritenuto

pertanto che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.