L’indagato, tempestivamente, formula la domanda di rendere l’interrogatorio in qualità di persona sottoposta ad indagini. Inascoltato. Rinvio a giudizio nullo (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 11 luglio 2018, n. 31641).

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente –

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere –

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ TECNA GROUP S.R.L.;

G.N., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/06/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. EUGENIA SERRAO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa FILIPPI PAOLA, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione;

udito il difensore avvocato SANDRONI DANIELE del foro di ANCONA in difesa della SOCIETA’ TECNA GROUP S.R.L. e di G.N. che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Ancona ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Ancona il 7/05/2014, che aveva dichiarato G.N. responsabile del reato previsto dall’art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3 in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 1, condannandolo alla pena di Euro 2.000,00 di multa, ed aveva applicato alla Tecna Group s.r.l. la sanzione amministrativa di Euro 15.000,00 ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 25 septies e art. 12, comma 1, lett. a).

2. Il fatto è stato ricostruito dai giudici di merito come segue: il giorno (OMISSIS) il lavoratore F.M. era stato adibito alla lavorazione di barrette di ferro delle dimensioni di mm. 200x50x3 onde ricavarne dei pezzi ad U effettuando due successive pieghe; la piessopiegatrice alla quale lavorava poteva funzionare in due modalità, a seconda dell’accessorio impiegato, ossia a velocità più alta ove si fosse utilizzato il comando a due mani ed a velocità più lenta nel caso d’impiego del pedale; il lavoratore aveva utilizzato il pedale e la macchina aveva iniziato la discesa con un movimento continuo; sebbene la macchina fosse dotata di un sistema di fotocellule, comunque non previsto dalla ditta costruttrice, tale sistema di fatto non era in uso perché nella lavorazione di piccoli pezzi la fotocellula non avrebbe consentito il funzionamento della macchina; nell’eseguire la lavorazione di un pezzo con l’impiego del pedale ma a velocità alta, la lama superiore della macchina aveva amputato i polpastrelli di due dita del lavoratore.

3. G.N. e la Tecna Group s.r.l. propongono ricorso per cassazione per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.:

a) violazione dell’art. 416 c.p.p., in quanto la Corte di Appello ha rigettato l’eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio della Tecna Group s.r.l. non preceduta dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio sul presupposto che la garanzia del contraddittorio fosse stata rispettata con la partecipazione di G.N., imputato e legale rappresentante, alla camera di consiglio fissata dal Giudice per le indagini preliminari su richiesta di archiviazione del pubblico ministero;

b) inosservanza dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e dell’art. 111 Cost., comma 6, per omessa pronuncia sul motivo di appello concernente l’assenza di indicazioni circa le modalità di determinazione della pena, irrogata in Euro 2.000,00 di multa e senza la possibilità di riconoscere i benefici a fronte di una previsione edittale di pena della reclusione da 3 a 7 anni;

c) manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui, in replica alla censura inerente all’illeggibilità della motivazione della sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha affermato che la mancanza di motivazione può essere sanata dal giudice di appello;

d) vizio di motivazione laddove la Corte di appello si è limitata a sposare in tutto e per tutto le tesi del primo giudice, peraltro espresse con grafia illeggibile;

e) carenza di motivazione in merito alle specifiche censure mosse dalla difesa dell’imputato e dell’ente, segnatamente l’avvenuta ispezione del macchinario da parte del tecnico dell’ASUR a distanza di un anno dall’infortunio a fronte della prova che il macchinario si fosse nel frattempo danneggiato a causa di un importante allagamento, la descrizione del funzionamento a ciclo continuo fornita dallo stesso lavoratore, le considerazioni del consulente di parte in merito alle cautele richieste al lavoratore, la postura assunta dall’infortunato;

f) violazione dell’art. 583 c.p., comma 1, n. 1 per mancanza di prova che le lesioni avessero effettivamente provocato una malattia protrattasi oltre i 40 giorni; in difetto di tale aggravante, il giudice di appello avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità dell’azione per difetto di querela.

4. Con memoria pervenuta il 20 aprile 2018 il difensore dei ricorrenti ha chiesto che venga valutata la sussumibilità del fatto nella previsione dell’art. 131 bis c.p..

Motivi della decisione

1. In via preliminare, considerato che il ricorso supera il vaglio di ammissibilità in relazione alle censure concernenti la motivazione circa la ricostruzione della dinamica dell’infortunio, il Collegio deve rilevare l’intervenuta prescrizione del reato in data successiva alla pronuncia della sentenza di appello. Si tratta di fatto commesso in data (OMISSIS) in relazione al quale trova applicazione la disciplina dettata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251; con la conseguenza che, trattandosi di delitto, il termine massimo di prescrizione deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi, in virtù del combinato disposto dell’art. 157 c.p., art. 160 c.p., comma 3 e art. 161 c.p., comma 2, ampiamente decorsi alla data odierna.

2. La delibazione dei motivi sopra indicati fa escludere, per converso, l’emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell’evidente innocenza del ricorrente. Sul punto, l’orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezioni ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427501).

2.1. Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, l’assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell’imputato impone l’applicazione della causa estintiva.

3. Va disposto, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di G.N., essendo il reato contestato estinto per prescrizione.

4. Occorre, ora, procedere alla disamina dei motivi di ricorso, posto che la dichiarazione di prescrizione del reato presupposto non incide sulla perseguibilità dell’illecito amministrativo già contestato.

Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 60 è, infatti, chiaro nel suo contenuto normativo e comporta che l’estinzione per prescrizione del reato impedisca unicamente all’accusa di procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo ma non impedisca di portare avanti il procedimento già incardinato.

Trovano, peraltro, applicazione all’illecito amministrativo le cause interruttive della prescrizione previste dal codice civile e, pertanto, la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento (Sez. 5, n. 20060 del 04/04/2013, Citibank N.A., Rv. 25541501).

Per altro verso, la condanna per la responsabilità amministrativa, ancorchè autonoma processualmente dalla condanna per la responsabilità penale, presuppone la commissione di un reato, perfetto in tutti i suoi elementi.

Le ipotesi previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, che esprimono il principio di autonomia delle condanne, consentono, infatti, di affermare la responsabilità dell’ente nei casi nei quali l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile, ovvero il reato si sia estinto per una causa diversa dall’amnistia; dal tenore della previsione si desume che il giudizio di responsabilità amministrativa non possa prescindere dall’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato.

5. Tanto premesso, con riguardo alla questione di nullità posta con il primo motivo di ricorso, va sottolineato che il D.Lgs. n. 231 del 2001 ha previsto alcune forme di procedura speciali per l’accertamento della responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt. 34 e 82 del testo normativo. Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l’art. 34 aggiunge che il rito è regolato anche “secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271”, in quanto compatibili e l’art. 35 prevede che all’impresa si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, “le disposizioni processuali relative all’imputato”. La normativa coniuga, dunque, esigenze di effettività dell’accertamento ad esigenze di garanzia del diritto di difesa dell’ente strettamente correlate alla vicinanza dell’illecito amministrativo al fatto-reato, cosicchè le norme del codice di procedura devono essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma speciale che disciplini l’atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale.

5.1. Con specifico riguardo ai requisiti di validità dell’atto con il quale viene contestato all’ente l’illecito amministrativo, individuato dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 59 in uno degli atti elencati nell’art. 405 c.p.p., comma 1, risulta assente una disciplina speciale. In presenza del primo dei presupposti, ossia l’assenza di una disciplina speciale, occorre dunque verificare se vi sia compatibilità tra il rito tipico della responsabilità degli enti e le norme del codice di procedura penale, con specifico riguardo, per quanto qui d’interesse, alla contestazione formulata mediante richiesta di rinvio a giudizio.

5.2. L’Ente ricorrente invoca, infatti, l’applicazione in suo favore della regola, stabilita dall’art. 416 c.p.p., comma 1, secondo la quale la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non sia preceduta dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375 c.p.p., comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia tempestivamente formulato la relativa istanza. Si chiede, in sostanza, che la previsione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 59 venga integrata da una norma prevista dal codice di rito a garanzia dell’esercizio di difesa della persona indagata.

5.3. Va considerato che il limite descritto in termini di “compatibilità” attiene alla struttura del procedimento, dovendosi ritenere espunti dal rito speciale quegli istituti incompatibili con l’assenza di misure cautelari personali coercitive e di controllo giurisdizionale in fase di archiviazione che connota la struttura di tale rito. Conseguentemente, superano il vaglio di compatibilità quelle norme del codice di rito che regolino scansioni procedimentali ed attività processuali non estranee al rito speciale nella struttura delineata dal legislatore.

5.4. Sulla base di tale premessa, risulta evidente la compatibilità tra i presupposti di validità della richiesta di rinvio a giudizio disciplinati dall’art. 416 c.p.p., comma 1, ed il rito speciale nei confronti dell’Ente, trattandosi di regole che s’inseriscono in una scansione procedimentale espressamente richiamata dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 59 e che riguardano la garanzia del diritto di difesa, ossia di un principio costituzionale sotteso alle disposizioni del codice di rito richiamate in chiave integratrice dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 34. D’altro canto, nel caso concreto lo stesso organo dell’accusa ha ritenuto applicabile la disciplina dell’art. 415 bis c.p.p. comunicando all’Ente l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, tuttavia, trascurando di convocare il rappresentante dell’Ente per rendere l’interrogatorio.

5.5. Del tutto inconferente risulta, peraltro, il richiamo, nella sentenza impugnata, alla giurisprudenza di legittimità formatasi in merito alla garanzia del contraddittorio assicurata dall’udienza all’esito della quale, ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 5, il giudice per le indagini preliminari abbia ordinato al pubblico ministero di procedere ad imputazione coattiva, ove si consideri che nel caso in esame l’Ente, ossia la persona giuridica distinta dalla persona fisica dell’imputato, ancorchè legale rappresentante dell’Ente all’epoca del fatto, non aveva partecipato all’udienza fissata ai sensi dell’art. 409 c.p.p. Solo a seguito dell’imputazione coattiva il pubblico ministero aveva provveduto ad emettere l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. ed a notificarlo all’Ente omettendo, tuttavia, di procedere all’interrogatorio del legale rappresentante, tempestivamente richiesto, in violazione dell’art. 416 c.p.p..

5.6. Si deve considerare, inoltre, che a norma del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 39, comma 1, l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, tanto che la Tecna Group s.r.l. aveva nominato legale rappresentante, dopo l’infortunio, G.A. in sostituzione dell’imputato G.N.. La necessaria alterità, imposta dalla legge, della persona dell’imputato e del legale rappresentante dell’Ente al quale sia contestata la responsabilità amministrativa ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, doveroso riscontro al possibile conflitto d’interessi espresso anche dalle incompatibilità a testimoniare previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 39, comma 2 e art. 44, comma 1, rende evidente l’illegittimità del rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, circa il rispetto della garanzia del contraddittorio derivante dalla presenza di G.N., imputato e legale rappresentante della Tecna Group s.r.l. all’epoca dell’infortunio, all’udienza svoltasi in camera di consiglio a norma dell’art. 409 c.p.p..

5.7. L’eccezione, tempestivamente proposta sin dal primo grado di giudizio, avrebbe, dunque, imposto la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio dell’ente il cui legale rappresentante non era stato invitato a presentarsi a rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375 c.p.p., comma 3, tanto più che, nel caso di specie, tale parte processuale, necessariamente distinta dall’imputato, non aveva già ricevuto, anche per atto equipollente, la contestazione degli addebiti (Sez. 5, n. 32030 del 07/05/2014, Savio, Rv. 26250901).

6. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di G.N. in quanto il reato ascrittogli è estinto per prescrizione.

La sentenza impugnata e la sentenza di primo grado devono, poi, essere annullate nei confronti della Tecna Group s.r.l. a seguito della fondatezza del motivo di ricorso inerente alla nullità dell’ordinanza emessa il 21 maggio 2013, con rinvio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona per l’espletamento dell’incombente omesso. La fondatezza del primo motivo di ricorso risulta assorbente rispetto alle ulteriori censure.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione all’imputato G.N. perché il reato è estinto per prescrizione.

Annulla senza rinvio la medesima sentenza e la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Ancona il 7/05/2014 (N. 1219/14) nei confronti della Società Tecna Group s.r.l. e dispone la restituzione degli atti alla Procura della Repubblica di Ancona per quanto di competenza.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2018.