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SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera b), del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52 (Disposizioni
urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici
giudiziari), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 30 maggio 2014, n. 81, promosso dal Tribunale di
sorveglianza di Messina nel procedimento di sorveglianza nei
confronti di M.S., con ordinanza del 16 luglio 2014, iscritta al n.
247 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2015.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 giugno 2015 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale di sorveglianza di Messina, con ordinanza del 16
luglio 2014 (r.o. n. 247 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli
artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117, primo comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 5 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto
1955, n. 848, e all'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo, proclamata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a
New York il 10 dicembre 1948, una questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 31
marzo 2014, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di superamento
degli ospedali psichiatrici giudiziari), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 maggio 2014, n.
81, «nelle parti in cui stabilisce che l'accertamento della
pericolosita' sociale "e' effettuato sulla base delle qualita'
soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui
all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale" e che
"non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di
pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi terapeutici
individuali"».
Il Tribunale di sorveglianza premette di essere investito
dell'appello avverso l'ordinanza del 28 febbraio 2014, con la quale
il Magistrato di sorveglianza di Messina aveva rigettato l'istanza di
revoca anticipata della misura di sicurezza detentiva della casa di
cura e di custodia, prevista fino al 3 maggio 2015 nei confronti di
una persona internata nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di
Barcellona Pozzo di Gotto.
In seguito alla sentenza irrevocabile della Corte d'appello di
Palermo, che aveva condannato M.S. alla pena di quattro anni e otto
mesi di reclusione per il reato di tentato omicidio, con la
diminuente di cui all'art. 89 del codice penale ritenuta equivalente
all'aggravante di aver agito con crudelta' e alla recidiva reiterata,
e aveva applicato al medesimo la misura della casa di cura e custodia
per due anni, la Procura della Repubblica di Palermo aveva chiesto al
Magistrato di sorveglianza di procedere all'accertamento della
pericolosita' sociale del condannato, al fine di disporre
l'applicazione della citata misura di sicurezza. Il Magistrato di
sorveglianza di Palermo, in seguito a un complesso esame della
vicenda individuale, familiare, sociale, psichiatrica e giudiziaria
di M.S. e dopo avere considerato il delitto contestato, alla luce
della sentenza di condanna e delle risultanze peritali, aveva
disposto, con ordinanza dell'8 ottobre 2012, l'applicazione della
misura di sicurezza detentiva della casa di cura e custodia per la
durata di due anni.
Nell'ordinanza si dava atto che il condannato soffriva di un
disturbo diagnosticato come «discontrollo degli impulsi in soggetto
con esiti di trauma cranico», tale da incidere «sulla capacita' di
intendere e volere dello stesso, con conseguente applicazione della
diminuente prevista dall'art. 89 c.p.». Inoltre si precisava che
nella patologia riscontrata era insito un «forte grado di
pericolosita', posto che, specie se associata all'assunzione, anche
minima, di sostanze alcoliche (cui il M. e' dedito) puo' dar luogo a
reazioni molto violente e incontrollate» e si aggiungeva che M.S. era
senza fissa dimora, senza occupazione, e privo di punti di
riferimento familiare.
Con la successiva ordinanza del 28 febbraio 2014, il Magistrato
di sorveglianza di Messina aveva rigettato l'istanza di revoca
anticipata della misura di sicurezza, precisando tra l'altro, che non
era stato possibile predisporre per M.S. «un progetto terapeutico
perche' non [era] possibile la presa in carico, non essendo residente
nel territorio». Con provvedimento dell'11 aprile 2014, la Direzione
dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto,
in considerazione delle stabili condizioni psichiche di M.S., lo
aveva ammesso al lavoro esterno ex art. 21 della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta').
Il giudice a quo sottolinea che la richiesta del difensore e'
volta ad ottenere la revoca anticipata della misura di sicurezza
detentiva, anche ai fini del rientro nel paese d'origine, o, in via
subordinata, l'applicazione della liberta' vigilata.
In punto di rilevanza della questione, il Tribunale di
sorveglianza osserva che l'impossibilita' di utilizzare a fini
prognostici dei fattori essenziali, come le condizioni individuali,
familiari e sociali e l'assenza di progetti terapeutici individuali,
incide «in modo determinante e profondamente distorsivo sul giudizio
in corso», impedendo una valutazione compiuta della concreta
pericolosita' sociale di M.S. e del suo grado attuale. Questi aveva
dimostrato condizioni psichiche stabili e aveva tenuto una condotta
positiva, partecipando alle attivita' trattamentali con valenza
terapeutica, si' da essere ammesso al lavoro ex art. 21 della legge
n. 354 del 1975. La sua situazione individuale, familiare e
socio-assistenziale pero' era «caratterizzata in chiave negativa
dalla lontananza della famiglia residente in Tunisia, dalla mancanza
di concreta prospettiva lavorativa e risocializzante, essendo
sprovvisto di permesso di soggiorno in quanto scaduto, nonche' dalla
mancanza della presa in carico da parte dei servizi sanitari
territoriali in quanto non residente e dall'assenza di un progetto
terapeutico e socio-riabilitativo». La prognosi di pericolosita'
risulterebbe pertanto impossibile o radicalmente alterata, non
potendosi considerare i fattori attinenti alle condizioni
individuali, familiari, socio-assistenziali e sanitarie, con la
conseguenza di affidare «ad un volontarismo giudiziario arbitrario,
cognitivamente inadeguato e teleologicamente disorientato» la scelta
sulla misura da adottare.
Secondo il Tribunale di sorveglianza, «senza un approccio globale
e multifattoriale, garantito dalla normativa previgente ed interdetto
dalla novella legislativa», casi come quello trattato non potrebbero
trovare soluzioni adeguate, che soddisfino in modo equilibrato le
diverse esigenze costituzionalmente rilevanti.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente,
richiamando la sentenza di questa Corte n. 253 del 2003, sostiene che
la normativa impugnata e' priva «"[del]l'equilibrio
costituzionalmente necessario" "fra [...] le esigenze di cura e
tutela della persona interessata e di controllo della sua
pericolosita' sociale"» e viola numerosi articoli della Costituzione.
1. Gli artt. 1 e 4 Cost., perche', escludendo la rilevanza a fini
prognostici delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale
dell'internato, imporrebbe di non tener conto dello svolgimento (o
meno) di un'attivita' lavorativa, che, invece, costituisce un potente
fattore di prevenzione criminale e di rieducazione, con conseguente
rischio di precludere le possibilita' di accesso al lavoro e «di
inibirne l'effettivita' dell'esercizio».
2. L'art. 2 Cost., in quanto la disposizione censurata, imponendo
al giudice rigidi vincoli che non consentono l'apprezzamento globale
della situazione concreta della persona, con conseguente
impossibilita' o grave difficolta' nella scelta della misura idonea a
fronteggiare la pericolosita' sociale, esporrebbe a gravi rischi
«diritti e beni fondamentali delle persone e della comunita'».
3. Il principio di ragionevolezza espresso dall'art. 3 Cost.
Secondo il giudice a quo, infatti, rimettendo in liberta' individui
«ritenuti fino a ieri pericolosi o molto pericolosi», si
vanificherebbero le finalita' di difesa sociale e terapeutiche.
Inoltre, si introdurrebbe una forma mascherata e surrettizia di
«presunzione legislativa di pericolosita' (o di non pericolosita')»,
senza una valida giustificazione scientifica. Infine, non consentendo
di tenere conto delle condizioni di vita individuali, familiari e
sociali attuali, «ancorche' criminogene ed anzi, anche se
favorevoli», la norma impugnata richiamerebbe «un modello
criminologico tendenzialmente "unifattoriale" di tipo
individualistico», invece che multifattoriale, si' da spezzare
l'unita' organica del giudizio prognostico esaltata dall'art. 133
cod. pen.
Secondo il Tribunale rimettente, una volta escluse le condizioni
previste dall'art. 133, secondo comma, numero 4), cod. pen., e rese
di per se' irrilevanti ai fini giudiziali le risorse terapeutiche
territoriali, residuerebbero i fattori prognostici immutabili e
cristallizzati come la gravita' del fatto di reato, i motivi a
delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la condotta e la vita
antecedenti al reato e la condotta contemporanea al reato, e si
ridurrebbero «i fattori prognostici modificabili in progress come il
carattere del reo previsto dal n. 1 e la condotta susseguente al
reato prevista dal n. 3, tuttavia ormai devitalizzati e
decontestualizzati in quanto sganciati dalle condizioni di cui al n.
4, che costituiscono il pendant necessario di ogni dinamismo
evolutivo della personalita' di un soggetto, del suo carattere e
della sua condotta».
Sarebbe riscontrabile una violazione dell'art. 3 Cost. anche
sotto il profilo della irragionevole ed ingiustificata disparita' di
trattamento di casi simili, «giacche' nei confronti degli imputabili
la pericolosita' sociale continua ad essere accertata nella
globalita' ed interezza dei fattori prognostici, mentre nei confronti
degli inimputabili e dei semimputabili tale accertamento risulta
"dimidiato"».
4. Gli artt. 25 e 27 Cost., in quanto riducendo la base cognitiva
del giudizio prognostico e prevedendo la durata massima delle misure
di sicurezza detentive commisurata al limite edittale della pena
prevista per il reato corrispondente, sarebbero attribuite alle
misure di sicurezza delle «valenze retributive e punitive» che
dovrebbero essere loro estranee. Inoltre la nuova normativa,
disciplinando le misure di sicurezza in corso di applicazione o di
esecuzione, in relazione a reati commessi prima della sua entrata in
vigore, rischierebbe di violare il principio di irretroattivita'
delle disposizioni penali sfavorevoli, dato che l'esclusione del
giudizio prognostico delle condizioni di cui all'art. 133, secondo
comma, numero 4), cod. pen., «e' ambivalente e potenzialmente contra
reum e quindi in malam partem».
5. Gli artt. 29, 30 e 31 Cost., in quanto la disposizione
censurata, imponendo di ignorare l'ambiente familiare, costituente,
sia «un potente fattore di prevenzione criminale, in presenza di una
famiglia sana, accogliente e capace, sia, invece, un potente fattore
criminogeno, in presenza di una famiglia disastrata o incapace o
addirittura dedita al crimine», lederebbe i diritti della famiglia.
6. L'art. 32 Cost., in quanto «la rimessione in liberta' o in
liberta' vigilata, per effetto della nuova normativa, di soggetti
affetti da patologie psichiatriche e bisognevoli di assistenza e
cure, sebbene in condizioni di vita individuale, familiare e sociale
controindicate, se non criminogene, ed in assenza di un progetto
terapeutico individuale», esporrebbe tali soggetti al «rischio di
commettere non solo atti eterolesivi, ma anche atti autolesivi,
pregiudicando la loro salute ed il loro diritto a trattamenti
terapeutici e socio-riabilitativi adeguati».
7. L'art. 34 Cost., in quanto, escludendo il rilievo delle
condizioni di cui all'art. 133, secondo comma, numero 4), cod. pen.,
e conseguentemente della frequenza scolastica, la normativa impugnata
lederebbe «il diritto del soggetto all'istruzione scolastica»,
considerato che la scuola, costituendo un essenziale strumento del
trattamento penitenziario, educativo, risocializzante e terapeutico,
«assume speciale valenza pedagogica e riabilitativa nei confronti dei
soggetti affetti da patologie psichiatriche».
8. L'art. 77 Cost., in quanto, nell'ambito dell'iter legislativo
della conversione di un decreto-legge che dispone la proroga del
termine di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non
potrebbe ravvisarsi la necessita' e l'urgenza di introdurre
«modifiche strutturali di istituti secolari come la pericolosita'
sociale», indirettamente stravolti dall'intervento riformatore, che
spezzerebbero «il nesso di "interrelazione funzionale" e di
"sostanziale omogeneita'" tra decreto-legge e legge di conversione».
9. Infine l'art. 117, primo comma, Cost., ed in particolare
l'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e
l'art. 5 della CEDU, che tutelano il diritto alla sicurezza, in
quanto la disposizione censurata esporrebbe a gravi rischi non solo
la sicurezza dei cittadini italiani, ma anche la sicurezza di tutti i
cittadini che dalle Convenzioni internazionali riceverebbero
protezione giuridica e che, per le piu' varie ragioni, potrebbero
trovarsi nel territorio dello Stato italiano.
2.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione
sia dichiarata infondata.
Secondo l'Avvocatura, le nuove disposizioni mirerebbero ad
eliminare le condizioni giuridiche che potrebbero consentire la
conferma dei giudizi di pericolosita' sociale di internati
trascurati, o comunque, non presi in carico dal Servizio sanitario
nazionale, pur a fronte di quadri clinici adeguati rispetto a
percorsi terapeutici e riabilitativi extramurari.
Entrambe le limitazioni del giudizio di pericolosita' sociale
censurate costituirebbero norme di favore a tutela della liberta'
della persona. La novella, pertanto, non giustificherebbe le
interpretazioni contra reum, paventate dal giudice rimettente.
L'esclusione della rilevanza delle «condizioni di cui all'articolo
133, secondo comma, numero 4, del codice penale» rappresenterebbe una
soluzione, costituzionalmente giustificata, diretta a «scongiurare
violazioni ai diritti di liberta'» dell'infermo o del seminfermo di
mente, le cui condizioni di svantaggio sociale potrebbero essere il
pretesto per una rimodulazione del tutto particolare del confine tra
liberta' e custodia.
L'Avvocatura inoltre sottolinea che nella Relazione sulle
condizioni di vita e di cura all'interno degli Ospedali psichiatrici
giudiziari, approvata nel 2011 dalla Commissione parlamentare
d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario
nazionale istituita dal Senato, si era affermata la necessita' di
porre un argine al fenomeno delle proroghe sistematiche della misura
di sicurezza, basate su una dilatazione del concetto di
pericolosita', in quanto sovente la proroga della misura risultava
disposta non gia' in ragione di una condizione soggettiva di
persistente pericolosita', ma per la carenza di un'adeguata offerta
di strutture residenziali e riabilitative esterne. La disposizione di
cui al comma 4 dell'art. 3-ter del decreto-legge 22 dicembre 2011, n.
211 (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva
determinata dal sovraffollamento delle carceri), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n.
9, che prevede che «le persone che hanno cessato di essere
socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse», si
riferirebbe proprio a situazioni di tale tipo, cosi' come ad esse si
riferirebbe la disposizione impugnata.
La difesa dello Stato ritiene inesistente anche la prospettata
violazione dell'art. 77 Cost., in quanto la disposizione censurata
sarebbe volta ad arginare il fenomeno dei soggetti internati negli
ospedali psichiatrici giudiziari o nelle case di cura "dimissibili",
e tuttavia non dimessi per cause non attribuibili alla loro condotta
ma a inefficienze dei servizi di salute mentale pubblici. Tale
finalita' sarebbe coerente con l'oggetto del decreto-legge, diretto a
fissare il termine per la chiusura degli ospedali psichiatrici
giudiziari e a dare inizio al nuovo sistema di trattamento delle
persone non imputabili o semimputabili socialmente pericolose.
La novella si sarebbe data carico di tutelare la liberta' e la
salute dell'infermo o del seminfermo autore del reato con la
predisposizione, anche nell'interesse della sicurezza collettiva, di
una serie di misure volte a prestare un'adeguata assistenza sul
territorio, evitando nel contempo il pregiudizio di un ulteriore
periodo restrittivo.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 16 luglio 2014 (r.o. n. 247 del 2014), il
Tribunale di sorveglianza di Messina ha sollevato, in riferimento
agli artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 5 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955
n. 848, e all'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo, proclamata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a
New York il 10 dicembre 1948, una questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 31
marzo 2014, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di superamento
degli ospedali psichiatrici giudiziari), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 maggio 2014, n.
81, «nelle parti in cui stabilisce che l'accertamento della
pericolosita' sociale "e' effettuato sulla base delle qualita'
soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui
all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale" e che
"non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di
pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi terapeutici
individuali"».
Ad avviso del giudice rimettente, la normativa impugnata avrebbe
violato:
1. gli artt. 1 e 4 Cost., in quanto, escludendo la rilevanza a
fini prognostici delle condizioni di vita individuale, familiare e
sociale dell'internato, imporrebbe di non tener conto dell'attivita'
lavorativa, che, invece, costituisce «un potente fattore di
prevenzione criminale, ove il lavoro onesto e' presente», e di
rieducazione, con conseguente rischio di precludere le possibilita'
di accesso al lavoro e «di inibirne l'effettivita' dell'esercizio»;
2. l'art. 2 Cost., in quanto la disposizione censurata non
consente l'apprezzamento globale della situazione concreta del
soggetto, con la conseguente difficolta' di scegliere la misura
idonea a fronteggiare la pericolosita' sociale, esponendo a gravi
rischi diritti e beni delle persone e della comunita';
3. il principio di ragionevolezza espresso dall'art. 3 Cost.
Secondo il giudice a quo, infatti, rimettendo in liberta' individui
«ritenuti fino a ieri pericolosi o molto pericolosi», si
vanificherebbero le finalita' di difesa sociale e terapeutiche.
Inoltre, non consentendo di tenere conto delle condizioni di vita
individuali, familiari e sociali attuali, «ancorche' criminogene ed
anzi, anche se favorevoli», la normativa impugnata richiamerebbe «un
modello criminologico tendenzialmente "unifattoriale" di tipo
individualistico», invece che multifattoriale, si' da spezzare
l'unita' organica del giudizio prognostico esaltata dall'art. 133 del
codice penale. Sussisterebbe la violazione dell'art. 3 Cost. anche
sotto il profilo della irragionevole ed ingiustificata disparita' di
trattamento di casi simili, «giacche' nei confronti degli imputabili
la pericolosita' sociale continua ad essere accertata nella
globalita' ed interezza dei fattori prognostici, mentre nei confronti
degli inimputabili e dei semimputabili tale accertamento risulta
"dimidiato"»;
4. gli artt. 25 e 27 Cost., in quanto riducendo la base cognitiva
del giudizio prognostico e prevedendo la durata massima delle misure
di sicurezza detentive commisurata al limite edittale della pena
prevista per il reato corrispondente, la normativa impugnata
attribuirebbe alle misure di sicurezza delle «valenze retributive e
punitive», che dovrebbero essere loro estranee; inoltre,
disciplinando le misure di sicurezza relative a reati commessi prima
della sua entrata in vigore, sarebbe in contrasto con il principio di
irretroattivita' delle disposizioni penali sfavorevoli, perche'
l'esclusione dal giudizio prognostico delle condizioni di cui
all'art. 133, secondo comma , numero 4), cod. pen., «e' ambivalente e
potenzialmente contra reum e quindi in malam partem»;
5. gli artt. 29, 30 e 31 Cost., in quanto la normativa impugnata,
imponendo di ignorare l'ambiente familiare, che costituirebbe, «sia
un potente fattore di prevenzione criminale, in presenza di una
famiglia sana, accogliente e capace, sia, invece, un potente fattore
criminogeno, in presenza di una famiglia disastrata o incapace o
addirittura dedita al crimine», lederebbe i diritti della famiglia,
impedendole di svolgere i suoi compiti;
6. l'art. 32 Cost., perche' «la rimessione in liberta' o in
liberta' vigilata, per effetto della nuova normativa, di soggetti
affetti da patologie psichiatriche e bisognevoli di assistenza e
cure, sebbene in condizioni di vita individuale, familiare e sociale
controindicate, se non criminogene, ed in assenza di un progetto
terapeutico individuale», esporrebbe tali soggetti al «rischio di
commettere non solo atti eterolesivi, ma anche atti autolesivi,
pregiudicando la loro salute»;
7. l'art. 34 Cost., in quanto, escludendo la rilevanza delle
condizioni di cui all'art. 133, secondo comma, numero 4), cod. pen.,
e conseguentemente della frequenza scolastica, sarebbe leso il
diritto all'istruzione, particolarmente significativo perche' la
scuola costituisce un essenziale strumento del trattamento
penitenziario, educativo, risocializzante e terapeutico;
8. l'art. 77 Cost., in quanto, nell'ambito dell'iter legislativo
della conversione di un decreto-legge che dispone la proroga del
termine di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non
potrebbe ravvisarsi la necessita' e l'urgenza di introdurre
«modifiche strutturali di istituti secolari come la pericolosita'
sociale», indirettamente stravolta dall'intervento riformatore, cosi'
spezzando «il nesso di "interrelazione funzionale e di sostanziale
omogeneita' tra decreto-legge e legge di conversione»;
9. infine, l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.
3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e all'art. 5
della CEDU, che tutelano il diritto alla sicurezza, in quanto la
normativa impugnata esporrebbe «a gravi rischi non solo la sicurezza
dei cittadini italiani, ma anche la sicurezza di tutti i cittadini
che dalle Convenzioni internazionali ricevono protezione giuridica e
che, per le piu' svariate ragioni, possono trovarsi sul territorio
dello Stato italiano».
2.- La questione sollevata dal Tribunale di sorveglianza di
Messina non e' fondata.
3.- Logicamente preliminare e' la censura relativa all'asserita
violazione dell'art. 77, secondo comma Cost., che a parere del
Tribunale rimettente si sarebbe verificata perche', senza necessita'
e urgenza, durante la conversione del d.l. n. 52 del 2014, sarebbero
stati approvati gli emendamenti contestati, che hanno determinato
«modifiche strutturali di istituti secolari come la pericolosita'
sociale», disciplinata dagli artt. 133 e 203 cod. pen., «spezzando il
nesso di "interrelazione funzionale" e di "sostanziale omogeneita'"
tra decreto-legge e legge di conversione».
La censura e' priva di fondamento.
L'art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 52 del 2014, nel testo
risultante in seguito alla conversione, ha apportato questa
modificazione al comma 4 dell'art. 3-ter del decreto-legge 22
dicembre 2011, n. 211 (Interventi urgenti per il contrasto della
tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri),
convertito, con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 17
febbraio 2012, n. 9: «dopo il primo periodo sono aggiunti i seguenti:
"Il giudice dispone nei confronti dell'infermo di mente e del
seminfermo di mente l'applicazione di una misura di sicurezza, anche
in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico
giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono
acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non e'
idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua
pericolosita' sociale, il cui accertamento e' effettuato sulla base
delle qualita' soggettive della persona e senza tenere conto delle
condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del
codice penale. Allo stesso modo provvede il magistrato di
sorveglianza quando interviene ai sensi dell'articolo 679 del codice
di procedura penale. Non costituisce elemento idoneo a supportare il
giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi
terapeutici individuali"».
In sede di conversione, nell'originario art. 1, comma 1, lettera
b), del d.l. n. 52 del 2014, e' stata inserita, dopo le parole
«pericolosita' sociale», la locuzione: «il cui accertamento e'
effettuato sulla base delle qualita' soggettive della persona e senza
tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma,
numero 4, del codice penale», e, alla fine della lettera b), e' stato
aggiunto il periodo: «Non costituisce elemento idoneo a supportare il
giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di programmi
terapeutici individuali».
Si tratta di emendamenti che integrano l'originaria disposizione
del decreto-legge con un contenuto normativo del tutto omogeneo, e,
completando la disposizione, risultano ugualmente necessari e
urgenti, anche se necessita' e urgenza sono requisiti che riguardano
le disposizioni del decreto e non i relativi emendamenti (sentenza n.
22 del 2012).
Percio', sotto ogni aspetto, deve escludersi la denunciata
violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost.
4.- Anche le censure relative all'asserita violazione degli artt.
1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 5 della CEDU e all'art. 3 della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sono prive di
fondamento.
4.1.- Il Tribunale di sorveglianza di Messina ha sollevato la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera b), del d.l. n. 52 del 2014, «nelle parti in cui stabilisce
che l'accertamento della pericolosita' sociale "e' effettuato sulla
base delle qualita' soggettive della persona e senza tenere conto
delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4,
del codice penale" e che "non costituisce elemento idoneo a
supportare il giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di
programmi terapeutici individuali"».
Come emerge dal chiaro tenore letterale del petitum e dagli
argomenti sviluppati nell'ordinanza di rimessione, la questione muove
dal presupposto che le disposizioni censurate abbiano modificato,
relativamente ai «non imputabili e ai semimputabili», la nozione di
pericolosita' sociale, che costituisce il presupposto soggettivo
delle misure di sicurezza. Infatti nell'ordinanza si sottolinea, tra
l'altro, che con la normativa introdotta in sede di conversione del
citato decreto-legge sono state effettuate «modifiche strutturali di
istituti secolari come la pericolosita' sociale, disciplinata dalle
norme cardinali degli artt. 133 e 203 del codice penale». Si sarebbe
spezzato, «a livello della prognosi giudiziaria, il rapporto
inscindibile tra l'uomo e l'ambiente [...] rinunziando cosi' al
dinamismo che da tale rapporto scaturisce [e contrastando] le stesse
essenziali finalita' delle misure di sicurezza sottese al sistema
costituzionale».
4.2.- E' su questo presupposto interpretativo che si innestano
tutte le numerose censure d'illegittimita' costituzionale
sopraindicate, ma si tratta di un presupposto errato.
Basta leggere la disposizione impugnata per comprendere che le
frasi sulle quali si appunta la censura non riguardano la
pericolosita' sociale come categoria generale, ma si riferiscono piu'
specificamente alla pericolosita' che legittima il «ricovero in un
ospedale psichiatrico o in una casa di cura».
La disposizione esordisce affermando che «il giudice dispone nei
confronti dell'infermo di mente e del seminfermo di mente
l'applicazione di una misura di sicurezza», ed e' chiaro che nel fare
cio' il giudice deve valutare la pericolosita' sociale nei modi
generalmente previsti. E' solo per disporre il ricovero di una
persona in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura
o di custodia che il giudice deve accertare, «senza tenere conto
delle condizioni di cui all'art. 133, secondo comma, numero 4, del
codice penale», che «ogni misura diversa non e' idonea ad assicurare
cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosita' sociale». La
limitazione quindi non riguarda in generale la pericolosita' sociale,
ma ha lo scopo di riservare le misure estreme, fortemente incidenti
sulla liberta' personale, ai soli casi in cui sono le condizioni
mentali della persona a renderle necessarie.
E' una disposizione da leggere nell'ambito della normativa volta
al definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Gli emendamenti approvati durante la conversione del
decreto-legge e contestati dal Tribunale rimettente traggono origine
dalle osservazioni contenute nella Relazione sulle condizioni di vita
e di cura all'interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari della
Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza
del Servizio sanitario nazionale. I suoi lavori si sono svolti nel
corso della XVI legislatura e sono significativi perche' hanno
dimostrato l'inidoneita' degli ospedali psichiatrici giudiziari e
delle case di cura e custodia a garantire la tutela della salute
mentale di chi vi e' ricoverato od avviato ai sensi degli artt. 222 e
219 cod. pen.
Come e' stato chiarito nella relazione al Senato, la proposta
emendativa tendeva a «impedire all'autorita' giudiziaria di desumere
la pericolosita' sociale dall'apparente mancanza di adeguate
possibilita' di cura e sistemazione in stato di liberta'». Si e'
voluto che l'applicazione della misura di sicurezza detentiva possa
«aver luogo o protrarsi solo in base alla specifica valutazione della
situazione personale dell'infermo di mente» e che non sia
«conseguenza dello stato di marginalita' socioeconomica in cui questi
verrebbe a trovarsi se dimesso» (Resoconto stenografico, Senato della
Repubblica, 23 aprile 2014).
Anche altre disposizioni dell'art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011
sono dirette a favorire l'applicazione di misure diverse da quelle
detentive. In questo senso e' chiaro il sesto comma di tale articolo,
il quale stabilisce che il programma predisposto dalle Regioni ed
approvato dai Ministeri competenti deve prevedere, oltre agli
interventi strutturali, «attivita' volte progressivamente a
incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico-riabilitativi
[...] nonche' a favorire l'esecuzione di misure di sicurezza
alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o
all'assegnazione a casa di cura e custodia». E' chiaro che in questa
prospettiva l'inefficienza delle amministrazioni sanitarie regionali
nel predisporre programmi terapeutici individuali non puo' tradursi
nell'applicazione di misure detentive, inutilmente gravose per
l'infermo e il seminfermo di mente.
E' da aggiungere cha la normativa in questione appare in linea
con la giurisprudenza di questa Corte, che ha dichiarato illegittimi,
sia l'art. 222 cod. pen., nella parte in cui non consente al giudice,
nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, idonea ad
assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla
sua pericolosita' sociale (sentenza n. 253 del 2003), sia l'art. 206
cod. pen., nella parte in cui non consente al giudice di disporre, in
luogo del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario, una
misura di sicurezza non detentiva prevista dalla legge per il
raggiungimento dello stesso obiettivo (sentenza n. 367 del 2004).
Cio' posto, e' evidente che la disposizione censurata non ha
modificato, neppure indirettamente, per le persone inferme di mente o
seminferme di mente, la nozione di pericolosita' sociale, ma si e'
limitata ad incidere sui criteri di scelta tra le diverse misure di
sicurezza e sulle condizioni per l'applicazione di quelle detentive.
L'erroneita' del presupposto interpretativo posto a base della
questione sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Messina ne
comporta l'infondatezza in relazione a tutti i residui parametri
evocati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 31 marzo 2014, n.
52 (Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali
psichiatrici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 30 maggio 2014, n. 81, «nelle parti in cui
stabilisce che l'accertamento della pericolosita' sociale "e'
effettuato sulla base delle qualita' soggettive della persona e senza
tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma,
numero 4, del codice penale" e che "non costituisce elemento idoneo a
supportare il giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di
programmi terapeutici individuali"», sollevata, in riferimento agli
artt. 1, 2, 3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117, primo comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 5 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all'art. 3
della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 10 dicembre
1948, dal Tribunale di sorveglianza di Messina, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
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