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ORDINANZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma
3, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2, comma
1, lettere a) e a-bis), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11
(Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla
violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori), convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009,
n. 38, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Bologna nel procedimento penale a carico di N.M., con
ordinanza del 26 settembre 2014, iscritta al n. 242 del registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2015.
Udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2015 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che, con ordinanza del 26 settembre 2014 (r.o. n. 242
del 2014), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13,
primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, del codice di
procedura penale, come modificato dall'art. 2, comma 1, lettere a) e
a-bis), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in
materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale,
nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte
in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 416, sesto comma,
del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in
cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure;
che il giudice a quo premette di dover provvedere su un'istanza
di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in
carcere, presentata dal difensore di N.M., persona indiziata «di aver
partecipato ad un'organizzazione criminale transnazionale dedita a
favorire l'illecita introduzione e passaggio nel territorio dello
Stato di numerosi cittadini extracomunitari, in prevalenza di
nazionalita' pakistana anche in virtu' di condotte corruttive col
personale in servizio presso l'Ambasciata italiana in Pakistan (art.
416 c. 6 c.p., introdotto dall'art. 4 l. 11 agosto 2003 n. 228
recante norme contro la tratta di persone)»;
che il rimettente, ritenendo che non siano venute meno le
esigenze cautelari, considera rilevante la questione proposta e
ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 265 del 2010
e con altre decisioni successive, ha gia' dichiarato
costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 3, 13,
primo comma, e 27, secondo comma, Cost., la norma censurata, nella
parte in cui, rispetto ad alcuni reati, non consentiva l'adozione di
misure cautelari diverse da quella carceraria;
che secondo il giudice a quo gli argomenti posti a base di tali
decisioni - ricordati nell'ordinanza di rimessione - dovrebbero
valere anche per il delitto previsto dall'art. 416, sesto comma, cod.
pen., che non puo' essere assimilato, sotto il profilo che interessa,
ai delitti di mafia, per i quali questa Corte, con l'ordinanza n. 450
del 1995, ha ritenuto giustificata la presunzione assoluta di
adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere;
che, sul piano fenomenico, la fattispecie incriminatrice in esame
puo' variare «dalla struttura articolata operante a livello
transnazionale ai contesti organizzati costituiti da poche persone,
spesso legate dalla comune appartenenza alla stessa nazione, che
compiono attivita' di sfruttamento in danno dei propri connazionali,
migranti clandestini»;
che, anche sul piano soggettivo, «l'affectio societatis puo'
cementare condotte di direzione ed organizzazione in grado di gestire
imponenti flussi migratori, ovvero comportamenti di assai minor
rilievo consistenti nel dare ricetto o nella messa a disposizione
della propria abitazione o del proprio automezzo per ospitare o
trasportare i clandestini irregolari»;
che, in conclusione, ad avviso del giudice rimettente, la
fattispecie incriminatrice in esame non presenterebbe caratteristiche
tali da costituire «il fondamento razionale della presunzione
assoluta in materia di liberta' personale, vale a dire la particolare
natura del legame tra sodali e la peculiarita' delle forme di
manifestazione del vincolo associativo»;
che, dunque, la norma censurata violerebbe sia l'art. 3, primo
comma, Cost. «per l'irragionevole ed indiscriminata applicazione
della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in
carcere a fattispecie associative non assimilabili», sia gli artt.
13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost. perche', «imponendo una
presunzione assoluta in materia cautelare, non basata sulla
specificita' della fattispecie penale di riferimento e senza che il
giudice possa tenere conto delle particolarita' del caso concreto,
viol[erebbe] il principio del "minimo sacrificio necessario" e
trasform[erebbe] di fatto la misura cautelare in una impropria
anticipazione della pena, in contrasto col principio di presunzione
di non colpevolezza».
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale ordinario di Bologna dubita, in riferimento agli artt. 3,
13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, del codice di
procedura penale, come modificato dall'art. 2, comma 1, lettere a) e
a-bis), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in
materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale,
nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte
in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 416, sesto comma,
del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in
cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure;
che in epoca successiva all'ordinanza di rimessione e' stata
approvata una disposizione che modifica l'art. 275, comma 3, cod.
proc. pen., eliminando il vulnus costituzionale censurato dal giudice
rimettente;
che, infatti, l'art. 4, comma 1, della legge 16 aprile 2015, n.
47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure
cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in
materia di visita a persone affette da handicap in situazione di
gravita') ha sostituito il secondo periodo del comma 3 dell'art. 275
cod. proc. pen., con i seguenti «Quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e
416-bis del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo
periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis
e 3-quater, del presente codice nonche' in ordine ai delitti di cui
agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto
comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze
attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice
penale, e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che
siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono
esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»;
che la novella del 2015 ha limitato la presunzione assoluta di
adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in carcere ai reati di
cui agli artt. 270, 270-bis e 416-bis cod. pen., e con riferimento al
reato dell'art. 416, sesto comma, cod. pen. ha previsto una
presunzione meramente relativa, stabilendo che possono essere
applicate misure cautelari personali alternative alla custodia
cautelare in carcere quando vi sono elementi da cui risulta la loro
sufficienza a soddisfare le esigenze cautelari;
che il legislatore ha cosi' recepito la giurisprudenza di questa
Corte, la quale, sin dalla sentenza n. 265 del 2010, ha dichiarato,
rispetto ad alcuni delitti, costituzionalmente illegittimo l'art.
275, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui - nel prevedere
che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza, e' applicata la
custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva,
altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in
relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;
che, a fronte di questo ius superveniens, spetta al giudice
rimettente la valutazione circa la perdurante rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione sollevata;
che va disposta, pertanto, la restituzione degli atti al giudice
a quo, per una nuova valutazione riguardo alla rilevanza della
questione alla luce del mutato quadro normativo (ordinanze n. 53 e n.
20 del 2015).
Visto l'art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di
Bologna.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
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