Risarcibile il danno se l’immobile rilasciato non è conforme alle condizioni originarie (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 20 marzo 2020, n. 7480).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1630-2018 proposto da:

POGOMA IMPORT EXPORT SRL in persona dell’amministratore pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati GRAZIANO MARCHETTI, PAOLO ZINOLLI;

– ricorrente –

contro

LIDL ITALIA SRL in persona del Procuratore Speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CONTALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO GRISENDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 990/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2019 dal Consigliere Dott. Danilo SESTINI;

Rilevato che:

provvedendo nel giudizio promosso da Pogoma Import Export s.r.l. nei confronti della Lidi Italia s.r.I., avente ad oggetto il ristoro dei danni subiti dalla prima per la necessità di ripristinare un immobile già locato alla seconda e il pagamento di un canone insoluto, il Tribunale di Reggio Emilia condannò la Lidi a versare alla ricorrente la somma di oltre 87.000,00 euro a fronte dei costi di ripristino e al pagamento della somma di 10.897,23 a titolo di risarcimento del danno conseguente alla indisponibilità dell’immobile per il tempo necessario all’esecuzione dei lavori;

condannò, inoltre, la Lidl al pagamento della somma di 293,17 euro a titolo di interessi legali per il ritardato pagamento del residuo canone del mese di gennaio 2013 (versato in corso di causa);

in parziale accoglimento del gravame della Pogoma Import Export, la Corte di Appello di Bologna ha liquidato nella «somma di 12.350,24 euro, oltre IVA a titolo di lucro cessante», il «risarcimento del danno per il periodo di tempo necessario all’esecuzione e completamento dei lavori di ripristino dell’immobile»;

ha inoltre condannato la Lidi al pagamento degli interessi legali sul canone di locazione del mese di gennaio 2013 con decorrenza dal 5.1.2013 al 25.2.2014;

ha proposto ricorso per cassazione la Pogoma Import Export s.r.I., affidandosi a due motivi illustrati da memoria;

ha resistito, con controricorso, la LIDL Italia s.r.I..

Considerato che:

il primo motivo è dichiaratamente volto ad ottenere da questa Corte «la conferma del principio di diritto in base al quale nel rapporto di locazione, in ipotesi di consegna, da parte del conduttore, dell’immobile non conforme alle condizioni originarie del rapporto, quindi in violazione dell’art. 1590 c.c., incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino stato, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo di esecuzione dei lavori nonché per il tempo in cui il locale resta indisponibile a causa delle cattive condizioni in cui è stato riconsegnato»: la ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia considerato nel periodo di indisponibilità dei locali anche quello necessario per verificare ed accertare i danni (da determinare in almeno nove mesi);

col secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto, in relazione al ritardato pagamento del canone, solo gli interessi legali anziché gli interessi di mora di cui al D.Lgs. n. 231/2002, evidenziando che il rapporto intercorso fra le parti costituiva «chiaramente» un «rapporto commerciale fra imprese»;

i motivi sono entrambi inammissibili, in quanto: difettano di specificità, alla luce del principio secondo cui «il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito.

Ne consegue che il motivo dei ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.,» (Cass. n. 11603/2018; conf. Cass.n. 19959/2014);

le censure – svolte in difetto di una rubrica che valga ad individuare, fra quelli previsti dall’art. 360 c.p.c., il vizio denunciato- non indicano puntualmente i termini in cui la Corte di Appello sarebbe incorsa in violazione o falsa applicazione delle norme di diritto cui i motivi fanno generico riferimento (l’art. 1590 c.c. e il D. Lgs. n. 231/2002), ma si limitano a sviluppare considerazioni di merito funzionali a un approdo alternativo rispetto a quello cui è pervenuta la Corte di Appello;

in tale ottica, le censure investono valutazioni di merito attinenti – per un verso – alla durata della indisponibilità dell’immobile rilevante ai fini risarcitori e – per altro verso – agli elementi costitutivi di una transazione commerciale, che, involgendo apprezzamenti di fatto, non sono demandabili al giudizio di legittimità;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 5.600,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre al rimborso delle spese forfettarie e degli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.