Rivolgendosi verso la persona con la frase “ci vediamo fuori”, equivale al reato di minaccia (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 21 luglio 2021, n. 28342).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Rel. Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MAURIZIO nato a (OMISSIS) il 27/10/19xx;

avverso la sentenza del 08/07/2020 del TRIBUNALE di TRIESTE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO.

Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell’art. 6 del decreto-legge 01/04/2021, n. 44.

Lette la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, Dott. Tomaso Epidendio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, nonché le conclusioni del difensore e procuratore speciale della parte civile, che ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso, depositando nota spese.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata in data 08/07/2020, il Tribunale di Trieste ha confermato la sentenza del 09/09/2019 con la quale il Giudice di pace di Trieste aveva dichiarato Maurizio (OMISSIS) responsabile del reato di minaccia (per avere minacciato ad Andrea (OMISSIS) un male ingiusto dicendogli “ci vediamo fuori”), e lo aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

2. Avverso l’indicata sentenza del Tribunale di Trieste ha proposto ricorso per cassazione Maurizio (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. Carmine (OMISSIS), articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza dell’art. 533 cod. proc. pen. e vizi di motivazione.

Erroneamente la frase pronunciata è stata ritenuta idonea a integrare il reato di minaccia, per la sua genericità, né può assumere tale rilievo per il fatto che sia stata qualificata tale nella conversazione, tanto più che il teste (OMISSIS) non ha escluso che essa fosse solo un invito a uscire.

Nel contesto in cui è avvenuta, tra soggetti che non si conoscevano, legati solo da rapporti professionali, la frase non può assumere valenza intimidatoria, laddove nessun elemento istruttorio conferma una pregressa situazione conflittuale tale da sfociare in un intervento sindacale.

2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’art. 533 cod. proc. pen. e dell’art. 47 cod. pen., nonché vizi di motivazione.

Erroneamente è stata esclusa l’applicazione dell’art. 47 cod. pen., in quanto se non vi è minaccia di alcun male manca l’elemento costitutivo del reato.

3. Con requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, Dott. Tomaso Epidendio ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

4. Il difensore e procuratore speciale della parte civile ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso, depositando nota spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, per plurime, convergenti, ragioni.

2. In premessa, mette conto rilevare che il ricorso è largamente incentrato sulla denuncia di vizi di motivazione, non deducibili ex art. 606, comma 2 -bis, cod. proc. pen., come puntualmente osservato dal P.G. presso questa Corte.

2.1. Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile, anche nelle doglianze ulteriori rispetto a quelle articolanti vizi di motivazione.

Manifestamente infondata è la censura incentrata sulla prospettata genericità della frase pronunciata, posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel reato di minaccia, elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (ex plurimis, Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, Scognamillo, Rv. 261678).

Il pregresso episodio, con il ricorso ai sindacati, è riportato nella sentenza di primo grado e tratto dal racconto della persona offesa, laddove il ricorso neppure deduce di aver devoluto un travisamento della prova sul punto al giudice di appello, mentre del tutto generico è riferimento alle dichiarazioni del teste (OMISSIS).

2.2. Del pari inammissibile è il secondo motivo, che, per un verso, ripropone la tesi dedotta con il primo circa l’insussistenza del fatto di minaccia, mentre, per altro verso, oblitera il dato valorizzato dal giudice di appello, ossia che, dopo aver profferito la frase di cui all’imputazione, l’imputato precisò che si trattava di una minaccia.

3. D’altra parte, viene in rilievo la tardività del ricorso, segnalata dalla memoria della parte civile.

La sentenza del Tribunale è stata deliberata in data 08/07/2020, con la previsione di un termine per il deposito della motivazione di 30 giorni, deposito intervenuto tempestivamente il 28/07/2020.

Considerato che il termine per il deposito cadeva nel periodo di sospensione feriale dei termini, il termine di 45 giorni per l’impugnazione scadeva venerdì 16/10/2020 (cfr. Sez. 5, n. 5624 del 05/12/2014, dep. 2015, Monticelli, Rv. 262229), laddove il ricorso risulta depositato il 22/10/2020.

4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, che, alla luce della nota spese depositata, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso il 08/07/2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.