Testamento: una missiva dattiloscritta, ma non olografa della de cuius, la si può ritenere valida? (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 12 marzo 2019, n. 7025).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Arcidiocesi di (OMISSIS), in persona del cardinale arcivescovo Se.Cr. rappresentato dal procuratore generale don C.F., giusta procura del notaio Dott. Sa.En. del 2.12.2008, rep. (OMISSIS), racc. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del ricorso dagli Avvocati Guido Belmonte e prof. Armando Bocchini, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato Andrea Cuccia in Roma, piazza Augusto Imperatore n. 22. – ricorrente –

contro

D.F.T., L.G., L.M.P., L.E. e S.E., rappresentati e difesi per procura alle liti a margine del controricorso e ricorso incidentale dagli Avvocati Tullia De Fusco e Luciana Francioso, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima in Roma, viale Parioli n. 54;

– controricorrenti – ricorrenti in via incidentale –

avverso le sentenze n. 1109 del 5 aprile 2011 e n. 3676 del 22 ottobre 2013 della Corte di appello di Napoli;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2018 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti motivi ed il ricorso incidentale;

udite le difese svolte dall’Avv. Ermanno Bocchini per la ricorrente principale e dall’Avv. Luciana Francioso per i controricorrenti e ricorrenti incidentali.

Svolgimento del processo

L.G., L.E. e L.F., premesso di essere eredi di La.Ed. e L.L., convennero dinanzi al Tribunale di Napoli l’Arcidiocesi di (OMISSIS) e L.M.P., quale altra erede, esponendo che con testamento del 21.12.1941 L.M., deceduta il (OMISSIS), aveva nominato eredi universali La.Ed. e L.M. ed assegnato a titolo di legato a favore dell’arcivescovo di (OMISSIS) alcuni immobili, tra cui quello in cui abitava, “per fini di culto e di religione “; che con la successiva missiva datata 1943 ed inviata alla Curia la testatrice aveva vergato la seguente dichiarazione: Specifico cosa lo voglio dire con le parole del mio testamento per opera di culto e di religione: che l’appartamento da me abitato sia ricovero dei sacerdoti poveri e che le rendite degli altri appartamenti, di quarti e quartini uniti alle rendite dei quartini a palazzo (OMISSIS) servirà per il mantenimento dei poveri sacerdoti ricoverati “; che dal 1997, dopo che l’appartamento assegnato era stato gestito da suore per la cura di preti poveri, esso era stato trasformato in diversi mini locali affittati a terzi; che tale nuova destinazione contravveniva all’onere imposto dalla testatrice.

Ciò esposto, con atto di citazione notificato il 9.11.1998 chiesero che fosse disposta la risoluzione della disposizione testamentaria di legato per inadempimento del modus in essa contenuto.

L’Arcidiocesi di (OMISSIS) si oppose alla domanda, contestando la violazione denunziata e l’inidoneità della lettera del 1943, in quanto non autografa, ad integrare quanto disposto nel testamento del 1941.

Si costituì in giudizio L.M.P., aderendo alla domanda degli attori.

Esaurita l’istruttoria, il giudice adito, con sentenza n. 9223 del 2006, dispose la risoluzione della disposizione testamentaria per inadempimento dell’onere in essa previsto.

L’Arcidiocesi di (OMISSIS) appellò la decisione, deducendo che gli attori non avevano fornito prova della loro legittimazione attiva, cioè di essere eredi, e che il giudice di primo grado aveva errato sia nell’attribuire alla lettera del 1943 un valore interpretativo del contenuto del testamento che nel ritenere verificatosi l’inadempimento dell’onere.

Si costituirono distintamente in giudizio L.G. e L.M.P. chiedendo la conferma della sentenza impugnata e proponendo il primo anche appello incidentale avverso la statuizione che aveva disatteso le domande, dallo stesso formulate in corso di causa, di condanna della parte convenuta alla riduzione in pristino dell’immobile e di risarcimento dei danni con riguardo al bene che assumeva essere stato venduto prima dell’introduzione del giudizio.

Il medesimo appellato eccepì inoltre l’inammissibilità dell’appello principale, notificato a L.F. presso il suo difensore, nonostante che lo stesso fosse deceduto nel corso del giudizio di primo grado.

Con ordinanza del 18.1.2008 la Corte d’appello dispose l’integrazione del contraddittorio “nei confronti di tutte le parli del giudizio di primo grado non costituitesi in appello”.

Alla udienza successiva del 18.7.2008 si costituì quale erede, di L.F., D.F.T. eccependo l’inammissibilità dell’appello per mancata ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio, attesa la mancata notifica dell’atto a S.E., madre del de cuius L.F..

La Arcidiocesi eccepì a sua volta l’estinzione del giudizio di primo grado, per non essere stato il processo riassunto nel termine di sei mesi dalla comunicazione del decesso di L.F..

Con sentenza non definitiva n. 1109 del 5.4.2011 la Corte rigettò entrambe le eccezioni e con ordinanza in pari data fissò l’udienza per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.E.. Con la suddetta sentenza, per quanto qui interessa, la Corte affermò che la mancata notifica dell’atto di appello alla S. trovava causa nel testamento olografo di L.F. depositato dalla D.F. all’udienza del 31.5.2007, che aveva nominato quale suo unico erede universale la D.F. medesima, mentre la S. aveva assunto la qualità di erede solo in forza del successivo atto del 18.7.2000, con cui ella aveva fatto valere la sua qualità di legittimaria ed in forza del quale, con adesione della D.F., le erano stati attribuiti alcuni beni.

Poichè tuttavia quest’ultimo atto era stato depositato soltanto in data 11.6.2008, dopo la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, avvenuta il 21.4.2008, la Corte ritenne che la mancata notifica dello stesso alla S. costituiva un errore scusabile da parte della Arcidiocesi, tale da giustificare l’accoglimento della sua istanza di rimessione in termini ai fini dell’adempimento richiesto.

L’atto di integrazione del contraddittorio venne quindi notificato a S.E., che rimase contumace.

Con sentenza n. 3676 del 22.10.2013 la Corte di appello di Napoli decise la causa rigettando l’appello principale e quello incidentale.

La Corte pervenne al rigetto dell’appello principale, per quanto qui interessa, ritenendo che fosse infondata l’eccezione di difetto di prova della legittimazione attiva dei L., tenuto conto che la loro qualità di eredi non era mai stata contestata nel giudizio di primo grado e doveva pertanto considerarsi fatto incontroverso, che fosse corretto il ragionamento del Tribunale laddove aveva ritenuto, al fine di ricostruire la volontà della scheda testamentaria di L.M., di utilizzare e valorizzate la lettera del 1943 dalla stessa inviata alla Curia, ove ella spiegava cosa intendesse con la locuzione “fini di culto e di religione” apposta al legato, che altresì fosse corretta la qualificazione di tale clausola come modus e che infine risultasse provato che la legataria non vi aveva adempiuto, avendo trasformato l’appartamento in mini alloggi che aveva poi locato a terzi.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 16.7.2014, ricorre, affidandosi a sette motivi, la Arcidiocesi di (OMISSIS).

Resistono con controricorso e ricorrono in via incidentale avverso la sentenza non definitiva n. 1109 del 2011, sulla base di un unico, articolato motivo, D.F.T., L.G., L.M.P., L.E. e S.E..

L’Arcidiocesi ha deposita controricorso avverso il ricorso proposto in via incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Va esaminato per primo, in quanto affronta una questione processuale avente carattere prioritario, il ricorso in via incidentale proposto dai controricorrenti avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Napoli n. 1109 del 2011.

Con l’unico motivo detto ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di legge ed erronea e contraddittoria motivazione con riferimento all’art. 331 c.p.c., all’art. 184 bis stesso codice nonchè agli artt. 536, 544 e 554 c.c..

Parti ricorrenti lamentano che la Corte di appello abbia respinto l’eccezione di estinzione del giudizio per mancata osservanza da parte della Arcidiocesi dell’ordine di integrazione del contraddittorio impartito dal giudice con ordinanza del 18.1.2008 e ritenuto fondata e quindi accolta l’istanza della appellante principale di rimessione in termini nei confronti di S.E., quale erede della parte in primo grado L.F. e quindi litisconsorte necessaria nel giudizio di appello, per la ragione che sulla base del testamento del de cuius prodotto all’udienza del 31.5.2017 l’unica erede dello stesso era risultata D.F.T. mentre la S. aveva assunto tale qualità solo con l'”Atto notarile di adesione a testamento e integrazione di quota di legittima” dell’8.7.2000 e che, essendo quest’ultimo stato prodotto in giudizio e quindi conosciuto dalla parte onerata solo l’11.6.2008, dopo che l’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altra erede D.F. era già stato notificato, la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della S. era dovuta ad errore scusabile.

Il ricorso censura la decisione per non avere rilevato che la qualità di erede della S. e quindi la necessità di provvedere all’adempimento di integrazione del contraddittorio nei suoi confronti era fatto conoscibile dalla parte onerata in ragione della avventa trascrizione dell’acquisto in capo alla stessa, in forza della successione, di beni ereditari, trascrizione avvenuta in data 2. 8. 2000 e la cui nota era stata depositata in appello da L.G., sicchè la parte, usando l’ordinaria diligenza, sarebbe stata in grado di provvedervi nel termine indicato dal giudice; per avere erroneamente interpretato ed applicato la regola che impone alla parte interessata di provvedere all’integrazione del contraddittorio, la quale, rettamente interpretata, una volta che l’ordine sia stato impartito dal giudice, fa carico alla parte stessa di individuare i soggetti che ne sono destinatari, quali litisconsorti necessari, stabilendo a tal fine la legge che esso debba avvenire in un termine perentorio, pena l’estinzione del giudizio, avendo affermato la Corte al contrario che tale onere di individuazione va posto a carico del soggetto che, verificatasi la morte di una parte, eccepisca che la domanda non è stata avanzata nei confronti di tutti i suoi eredi, mentre nessuna norma di legge prevede che il soggetto che deduca il decesso di una delle parti in causa abbia l’onere di comunicare chi ne siano gli eredi: per non avere valutato, ai fini dell’assolvimento dell’ordine di integrazione del contraddittorio e dell’esistenza della scusabilità dell’errore, che la controparte aveva avuto conoscenza del decesso di L.F. già nel giudizio di primo grado, tanto da eccepire l’estinzione dello stesso per la sua mancata riassunzione, sicchè aveva avuto tempo e possibilità di individuare in modo corretto gli eredi, quali successori nel processo. mediante la visura dei registri immobiliari; per avere erroneamente affermato che il testamento del L. indicava come unica erede la D.F., traendo la conseguenza che dallo stesso non era possibile individuare quale erede la S. e quindi reputando scusabile l’inadempimento della appellante, laddove una attenta lettura della scheda testamentaria avrebbe dovuto portare a ritenere che già con essa la S. era stata istituita erede, atteso che il testatore le assegnava determinati beni immobili.

Il motivo è infondato.

Va premesso, così disattendendo l’eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dalla controricorrente, che la valutazione da parte del giudice di merito in ordine alla non imputabilità alla parte della causa che non le ha permesso di porre in essere l’atto previsto a pena di decadenza dalla legge, con conseguente adozione della misura della rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, pur essendo rimessa alla valutazione discrezionale del giudice della causa, è tuttavia censurabile in sede di legittimità, attenendo alla denunzia di violazione di legge processuale e quindi di un error in procedendo nei cui confronti questa Corte ha cognizione piena degli atti di causa essendo anche giudice del fatto.

Ciò precisato, si osserva che nel caso di specie la Corte di appello, pur constatando che la Arcidiocesi di (OMISSIS), appellante principale, non aveva provveduto ad eseguire l’ordine di integrazione del contraddittorio, impartito con ordinanza del 18.1.2008, nei confronti degli eredi di L.F., parte del giudizio di primo grado, nei riguardi di S.E., ha respinto l’eccezione di estinzione del giudizio per inosservanza dell’ordine e quindi rimesso in termini la parte onerata sulla base dei seguenti presupposti:

che al momento in cui l’ordine venne impartito e doveva essere quindi adempiuto era stato prodotto in giudizio, all’udienza del 31.5.2007, il solo testamento olografo di L.F., che indicava quale unica erede la moglie D.F.T.;

che la S., madre del de cuius e da questi pretermessa dal suo testamento, aveva assunto la qualità di erede solo in forza dell'”Atto notarile di adesione a testamento e integrazione di quota di legittima” del 18.7.2000;

che essendo stato tale documento prodotto in giudizio solo dopo che l’atto di integrazione del contraddittorio era già stato notificato alla D.F., la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della S. era dovuta ad errore scusabile, non potendo la parte conoscere nel momento in cui vi provvedeva che anche la S. era erede e non avendo la D.F., come era suo onere, indicato tale sua qualità.

Il ragionamento così svolto appare sostanzialmente corretto.

Va precisato in fatto che l’ordine di integrazione del contraddittorio fu emesso dalla Corte con ordinanza del 18.1.2008 a seguito della comparsa di costituzione dell’appellato L.G., che eccepì, come si legge nella sentenza, l’inammissibilità dell’appello in ragione del fatto che essendo L.F. deceduto già nel corso del giudizio di primo grado, era da ritenersi inammissibile la notifica dell’atto di appello allo stesso presso il suo difensore.

La predetta parte depositò nell’occasione il verbale di pubblicazione del testamento olografo di L.F. e sulla base della sua deduzione ed allegazione documentale la Corte emise l’ordine di integrazione del contraddittorio “nei confronti di tutte le parti del giudizio di primo grado non costituitesi in appello”.

Sulla base di tale ricostruzione dei fatti deve condividersi la conclusione del giudice a quo, che ha ritenuto scusabile l’errore dell’appellante Arcidiocesi di avere provveduto ad integrare il contradditorio nei soli confronti di D.F.T., cioè della sola persona che dal testamento prodotto in giudizio dell’appellato risultava essere l’unico erede della parte defunta.

E’ vero infatti, come sostenuto dai ricorrenti in via incidentale – in tal modo disattendendosi o meglio ridimensionando alla fattispecie concreta il rilievo contrario del giudice di appello – che quando l’ordine di integrazione del contraddittorio ha riguardo, come nel caso di specie, agli eredi della parte defunta, è certamente onere della parte interessata individuare gli eredi e citarli in giudizio (Cass. n. 27274 del 2008), non essendo tale adempimento differente da quello che si presenta ogni qualvolta un soggetto agisca in giudizio, gravando su di lui il compito e quindi l’onere di individuare il legittimo contraddittore ovvero, nel caso di litisconsorzio necessario dal lato passivo, i legittimi contraddittori ovvero, nel caso in cui il la persona che avrebbe dovuto citare in giudizio sia deceduta, individuare i suoi eredi.

Nè tale assunto, merita aggiungere, contrasta con l’orientamento giurisprudenziale citato dalla ricorrente principale secondo cui la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio a causa della mancata partecipazione al giudizio di un coerede non può limitarsi ad assumere genericamente l’esistenza di litisconsorti pretermessi, ma ha l’onere di indicare le persone degli altri eredi (Cass. n. 12504 del 2007; Cass. n. 18507 del 2006), essendo tale indirizzo riferibile alla necessità che la relativa eccezione non sia generica, restando sul piano di una mera asserzione con conseguente impossibilità di verificarne la fondatezza, ma specifica.

Tuttavia deve rilevarsi che l’onere di individuare e citare in giudizio gli eredi della parte defunta riceve una concreta attenuazione quando la controparte non si limiti a dedurre la morte del litisconsorte necessario, ma produca anche in giudizio il suo testamento, creando così una situazione di apparenza che giustifica la parte onerata ad eseguire quanto richiesto sulla base delle risultanze del testamento medesimo.

Non si può ancora non rilevare che, nel caso di specie, come rilevato dalla Corte di appello, la parte eccipiente L.G. era assistita dall’avv. D.F.T., che era l’erede testamentario della parte deceduta e quindi a conoscenza anche dell’atto notarile del 18.7.2000 in forza del quale era divenuta erede anche S.E., che però non fu prodotto in giudizio in quella udienza ma solo in quella successiva per motivare l’eccezione di inammissibilità dell’appello, mancanza che ha obiettivamente rafforzato l’errore dell’altra parte circa l’esatta individuazione degli eredi.

La censura dei ricorrenti in via incidentale secondo cui già dal testamento di L.F. emergerebbe la designazione della S. come erede va invece dichiarata inammissibile, in quanto l’errore denunziato, attenendo all’interpretazione del suddetto testamento, avrebbe dovuto essere sostenuto, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dalla specifica indicazione dei criteri legali di interpretazione degli atti negoziali che sarebbero stati nella specie violati.

Il ricorso incidentale avverso la sentenza n. 1109 del 2011 va pertanto respinto. Passando all’esame del ricorso principale proposto dalla Arcidiocesi di (OMISSIS), il primo motivo denunzia violazione dell’art. 101 c.p.c., in ordine alla legittimati ad causam, censurando la sentenza impugnata per avere disatteso la sua eccezione formulata in appello con cui aveva contestato la mancata prova della qualità di erede degli attori, sulla base della considerazione che essa non era stata posta in dubbio nel giudizio di primo grado e quindi doveva ritenersi incontroversa, affermazione che la ricorrente giudica erronea rilevando che la legittimati ad causam è questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e pertanto può essere sollevata anche in appello.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha disatteso l’eccezione per la ragione che la appellante Arcidiocesi aveva sollevato la questione circa la prova della qualità di eredi delle controparti solo in grado di appello. mentre in primo grado non aveva sollevato obiezioni di sorta ed anzi l’aveva implicitamente riconosciuta contestando nel merito la loro domanda.

Questa motivazione, di cui il mezzo non mette in discussione il presupposto di fatto della mancata contestazione in primo grado, appare corretta, adeguandosi all’orientamento di questa Corte secondo cui l’onere di provare la qualità di erede gravante sul soggetto che agisce in giudizio in tale veste viene meno quando la controparte abbia sollevato eccezioni in proposito solo tardivamente, dopo avere accettato il contraddittorio senza alcuna contestazione al riguardo (Cass. n. 25341 del 2010; Cass. n. 4381 del 2009; Cass. n. 5576 del 1997).

Il secondo ed il terzo motivo denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 110 c.p.c., lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto provata la qualità di eredi delle controparti in forza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio da essi prodotta, che invece è priva di tale efficacia probatoria.

I motivi appaiono inammissibili atteso che investono una ratio decidendi esposta solo in via gradata dalla sentenza impugnata, che ha giustificato il rigetto dell’eccezione di parte sulla base del rilievo che la legittimazione degli attori era stata riconosciuta dalla convenuta che si era difesa nel merito dinanzi al tribunale, motivazione che integra una ratio decidendi autonoma, in quanto idonea di per sè a sorreggere la statuizione di rigetto dell’eccezione, nei cui confronti è stato avanzato il primo motivo di ricorso, che è stato respinto.

Il quarto motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 587 e 1362 c.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto “corretto il ragionamento del primo giudice sul carattere interpretativo della volontà testamentaria della lettera del 1943, per cui il motivo determinante del legato in favore dell’Arcidiocesi non erano le semplici e generiche finalità di religione e di culto, ma le precise disposizioni contenute nella successiva missiva circa la destinazione precipua ad alloggio dei preti poveri dell’appartamento padronale, dove aveva sempre abitato la testatrice, sacerdoti per il cui sostentamento dovevano essere adoperati i ricavi delle locazioni degli altri quartini oggetto del medesimo legato “.

Sostiene la ricorrente che tale conclusione è contraria al principio secondo cui i documenti estranei al testamento possono essere utilizzati per interpretare la volontà del de cuius, ma mai per integrarla, tenuto conto che la lettera del 1943 non era autografa ma dattiloscritta e che in forza della sua considerazione la disposizione testamentaria, che conteneva un legato semplice, è stata trasformata in un legato modale.

Il mezzo è fondato.

Questa Corte ha più volte affermato che l’interpretazione del testamento si caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione, e che al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore deve farsi riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura, la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, nella doverosa ricerca di detta volontà, può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purchè non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del de cuius (Cass. n. 10075 del 2018; Cass. n. 12861 del 1993; Cass. n. 12861 del 1986).

Il rispetto dei criteri ermeneutici che mirano alla ricostruire l’effettiva volontà del testatore come espressa nel testamento impedisce tuttavia qualsiasi operazione che porti ad integrare, sulla base dei suddetti elementi valutativi, ab extrinseco tale volontà, attribuendo ad essa contenuti inespressi ovvero diversi da quelli risultanti dalla dichiarazione stessa.

Nel caso di specie la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, dal momento che, pur svolgendo le sue considerazioni su un terreno apparentemente interpretativo, ha nel concreto utilizzato la missiva scritta dalla testatrice nel 1943 non già per chiarire cosa ella intendesse con la dicitura “a fini di culto e di religione” apposta al legato, ma per attribuire ad essa un contenuto particolare e specifico, vale a dire che l’appartamento da lei abitato doveva essere destinato ad ospitare preti poveri e il reddito degli altri beni fosse destinato al loro sostentamento.

Il risultato dell’interpretazione è così consistito in un’operazione diretta non già a ricostruire la volontà della testatrice come espressa nel testamento, ma ad integrarla, attribuendole un significato non certo in antitesi ma comunque nuovo rispetto ad esso, dal momento che non vi era espresso.

L’operazione di integrazione della volontà della testatrice in forza della lettera del 1943 risultava preclusa dalla natura e caratteristiche di tale missiva, che pacificamente era dattiloscritta e quindi non olografa, sicchè essa non aveva i requisiti di forma per potere avere un’efficacia integrativa del testamento.

Gli altri motivi di ricorso, che investono la questione esaminata con il presente motivo e quella dell’inadempimento accertato a carico della Arcidiocesi, si dichiarano assorbiti.

La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli che si adeguerà al seguente principio di diritto: nell’interpretazione del testamento deve aversi riguardo alla volontà espressa da testatore nella scheda testamentaria, potendosi ricorrere ad elementi estrinseci solo per risolvere parole o espressioni dubbie al solo scopo di ricostruire l’effettiva intenzione del suo autore, mentre rimane precluso all’interprete avvalersi di tali dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.

Al giudice di rinvio è rimessa altresì la liquidazione delle spese di giudizio. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo del ricorso principale proposto dall’Arcidiocesi di (OMISSIS), respinge i primi tre motivi di detto ricorso, dichiara assorbiti gli altri; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2019.