Sanità: medico chiede la riliquidazione del trattamento pensionistico definitivo: accolta (Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Veneto, Sentenza 10 luglio 2014. n. 146).

REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

In composizione monocratica nella persona del Consigliere dott. Gennaro Di Cecilia, in funzione di Giudice unico delle pensioni, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio, in materia di pensioni, iscritto al n. 29738 del registro generale di segreteria, promosso con ricorso, depositato il 20/1/2013, proposto da S.G., nato a OMISSIS, medico ex condotto già dipendente della Azienda ULSS 5 Ovest Vicentino – Sede di Arzignano, rappresentato e difeso, ai fini del presente giudizio, dall’ Avv. Prof. Mauro Poli del Foro di Bologna, ed elettivamente domiciliato presso e nello Studio del medesimo in Bologna, Via Castiglione, n. 32 , come da procura speciale in calce al ricorso,

contro

l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (I.N.P.D.A.P.), ora Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), sede Generale di Roma, Via Ciro il Grande, n. 21, di Roma e Direzione Provinciale di Vicenza, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Sergio Aprile;

VISTI ed esaminati gli atti e documenti di causa;

VISTI gli artt. 26 R.D. 13 agosto 1933, n° 1038, 6 della Legge 21 marzo 1953 n° 161, 700 del c.p.c., 21, u.c., della Legge 6/12/1971, n. 1034 e s.m. e i. e 5 della Legge 21 luglio 2000, n. 205;

Uditi, nella pubblica udienza del 13 maggio 2014, celebrata con l’assistenza del segretario dott.ssa Cristina Guarino, l’Avv. Mauro Poli, in rappresentanza della ricorrente,  e l’Avv. Sergio Aprile, quale rappresentante dell’INPS.

Svolgimento del processo

Con il ricorso indicato in epigrafe, notificato il 19/12/2013, il dott. S. ha impugnato:

1) il provvedimento di cui alla nota inviata dalla Direzione Provinciale dell’INPDAP di Vicenza, a firma della Dirigente Dott. Maria Paola Busson, Prot. n. 29200/09, del 28/09/2009, avente ad oggetto: Intesa transattiva per ricostruzione RIA. Ricalcolo del trattamento di quiescenza”, nonché per l’impugnativa della ulteriore nota della Sede INPDAP di Vicenza n. Prot. 69/2010 del  19/4/2010, avente ad oggetto: Intesa transattiva per ricostruzione RIA ex medici condotti — ricalcolo del trattamento di quiescenza ed indennità di fine servizio;

2) nonché per l’accertamento del suo diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico di cui è titolare, in conformità al ricalcolo del proprio trattamento economico e conseguente rideterminazione del proprio inquadramento ai fini previdenziali, di cui alla nota inviata all’INPDAP di Vicenza dalla Azienda ULSS 5 — Ovest Vicentino, in data 6 luglio 2004, Prot. n. 23456, avente ad oggetto ” Riliquidazione della pensione diretta di anzianità, con cui, in applicazione della sentenza del TAR del Lazio n. 640/94, al Dott. G.S. venivano applicati i benefici di cui all’art. 110 del DPR n. 270/87, con il , con il conseguente riconoscimento della quiescibilità della voce retributiva denominate RIA;

3) nonché per la condanna dell’INPS alla riliquidazione del trattamento di quiescenza spettante al Dott. G.S., in conformità al sopraindicato reinquadramento economico disposto dalla Azienda ULSS 5 Ovest Vicentino, con il riconoscimento e valorizzazione anche ai fini previdenziali della RIA, retribuzione individuale di anzianità, nella misura contrattualmente prevista e computata dalla Azienda ULSS n. 5 Ovest Vicentino, ed alla conseguente corresponsione delle maggiori somme dovute in conformità a tale riliquidazione a titolo di arretrati di trattamento di quiescenza, maggiorate di interessi e rivalutazione come per legge.

Dall’esame della documentazione versata in atti emergeva che il predetto, medico ex condotto transitato alle dipendenze dell’Azienda U.L.S.S. n. 5 Ovest Vicentino di Arzignano, è cessato dal servizio dal 10/9/1987 giorno a decorrere dal quale diveniva, pertanto, titolare di trattamento provvisorio di pensione di anzianità, determinato con il sistema retributivo puro che faceva riferimento a una retribuzione annua contributiva determinata in base alla media delle ultime retribuzioni.

Deduceva, il ricorrente, di essere destinatario degli effetti della pronuncia emessa, a seguito di ricorso giurisdizionale promosso da alcuni colleghi, dal TAR del Lazio, Sez. P-bis che con sentenza n. 640 del 1994, annullava l’art. 133, del D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 (con quale veniva approvato il Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, di cui all’art. 6, D.P.R. 5 marzo 1986, n. 68), nella parte in cui prorogava fino al 30 dicembre 1990 il regime “transitorio” dettato, per i medici “ex condotti”, dall’art. 110 del D.P.R. n. 270/1987, senza prevedere alcun incremento della retribuzione in godimento, fissata dal medesimo art. 110 in £ 8.640.000 annue lorde onnicomprensive (da convertirsi in € 4.462,19).

Ne discendeva il diritto dei ricorrenti a percepire la retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) secondo la dinamica prevista dal DPR n. 348 del 1983, dal DPR n. 270 del 1987 e dal DPR n. 384 del 1990.

Tale decisione è stata oggetto di conferma da parte, prima, del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2537 del 20 gennaio – 27 aprile 2004; poi, dalla Suprema Corte Regolatrice la quale, con la sentenza n. 25258 del 10 novembre – 1° dicembre 2009, resa in tema di giurisdizione, confermava nella parte in diritto che <<…i crediti retributivi alla RIA sono certamente sorti con la sentenza del TAR Lazio n. 640/1994…che ha annullato l’art. 133 del DPR 28 novembre 1990, n. 384, nella parte in cui disponeva la proroga della posizione giuridica degli ex medici condotti alla data del 30 dicembre 1990, nonché del trattamento economico previsto nell’art. 110 dpr 20 maggio 1987 n. 270 per un ulteriore triennio…>>, riconoscendo, in sostanza, il diritto di credito a titolo di RIA con effetti retroattivi.

Precisava, peraltro, che  già in sede di stipula del CCNL dell’8 giugno 2000 (Area Dirigenza medica e veterinaria) all’art. 62, comma 3 si prendeva atto dell’intervenuto pronunciamento dei giudici amministrativi e si disponeva, nella ricorrenza delle condizioni, di attivare la procedura di cui all’art. 66, del d.lgs n. 29/1993 (poi trasfusa nell’art. 61 del d.lgs n. 165/2001), che, in caso di decisioni giurisdizionali comportanti oneri a carico del bilancio, prevedeva l’obbligo di comunicare l’entità degli oneri medesimi alla Presidenza del Consiglio – Dipartimento della Funzione Pubblica, onde estendere gli effetti favorevoli a tutti i medici ex condotti aventi diritto.

A tale incombente l’Azienda Sanitaria provvedeva specificamente mediante formale atto deliberativo n. 250 del 7/6/2007 (doc.n.1), emesso in attuazione dell’apposita e prodromica transazione stipulata con gli interessati (doc. n.2) i quali, nell’occasione, si erano impegnati a rinunciare alla corresponsione degli interessi, della rivalutazione monetaria ed alla prosecuzione del ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Lazio che avevano già notificato in data 27/9/1990.

L’Azienda ULSS 5 “Ovest Vicentino”, quindi, provvedeva alla trasmissione alla sede INPDAP di Vicenza della documentazione necessaria ai fini previdenziali, per l’opportuna e conseguenziale  rideterminazione della pensione diretta di anzianità e per la riliquidazlone dell’indennità di fine rapporto, con nota Prot. n. 23456 del 6 luglio 2004, (doc. n. 3), cui allegava il modello 98.1 che sostituiva il precedente modello 98.0, rilasciato dalla ex ULSS di Arzignano, n. 34, nonché fotocopia autenticata della deliberazione del Direttore Generale n. 250 del 7/06/2007 e della relativa e presupposta intesa transattiva Ovest Vicentino di Arzignano……. “entro il 2007”.

L’INPDAP di Vicenza non dava, però, corso al predetto richiesto reinquadramento, costringendo il Dott. S. a presentare un atto di diffida, in data 24/7/2009, (doc. n. 4), con cui chiedeva il ricalcolo del proprio trattamento di quiescenza, con corresponsione dei relativi arretrati, cui seguiva la contestata nota Prot. n. 29200/09 del 28 settembre 2009, (doc. n. 5), con la quale si comunicava che, anche a seguito di apposito parere emesso dall’Ufficio l° Normativa di Roma, Direzione Centrale di Previdenza, il riconoscimento della RIA da parte dell’Azienda non comportava il diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico.

Il Dott. S., quindi, proponeva un ulteriore e più latamente argomentato atto di diffida e messa in mora notificato in data 9.2.2010, (doc. n. 6) , al quale ugualmente dava riscontro l’INPDAP, con nota prot. n. 69/2010 del 19 aprile 2010, sempre di contenuto negativo, (doc. n. 7).

In particolare, la Sede provinciale di Vicenza, riteneva:

1) che le sentenze passate in giudicato non possono essere estese a fattispecie e soggetti estranei a quelli dedotti in giudizio;

2) che tale estensione ad altre fattispecie non era possibile per il principio di carattere generale ” del limite soggettivo della cosa giudicata” ;

3) che le transazioni stipulate tra il datore di lavoro e i dipendenti non producono effetti nei confronti dell’ente;

4) che è l’ente l’unico soggetto preposto ad accertare la quiescibilità delle singole voci retributive.

A sostegno di quanto dedotto ed argomentato, il ricorrente ha allegato talune decisioni del giudice ordinario – anche in composizione nomofilattica  (cfr.Tribunale di Teramo e Corte di Appello di Potenza, doc. nn 10-11, e Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 25258 del 1/12/2009, doc. n. 12) – ed amministrativo, nonché copia del favorevole precedente specifico di questa Sezione Giurisdizionale (sentenza n. 55 del 2012), ritenendo che l’accordo transattivo non spostava i termini della questione giacché la ASL non ha fatto altro che riconoscere i <<…predetti diritti previsti da norme contrattuali tassative ed operanti, la cui applicabilità a favore dei dirigenti medici ex condotti è stata ribadita dalla giurisprudenza come doverosa e obbligatoria>>, concludendo per l’accoglimento del ricorso, con vittoria delle spese di lite.

Con memoria difensiva depositata il 24/4/2014 e memoria integrativa di pari data, si è costituito in giudizio l’INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con sede legale in Roma, via Ciro il Grande 24, quale successore ex art. 21, comma l, D.L. 06.12.2011, n. 201, conv., con modificazioni, con L. 22.12.2011, n. 214 di INPDAP Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti della Amministrazione Pubblica, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall’avvocato Sergio Aprile della Avvocatura dell’Istituto, giusta procura ad lites rilasciata dal legale rappresentante pro tempore, con atto del notaio Paolo Castellini in Roma dd. 16/02/2012, rep. 77882, rogito 19525, eleggendo domicilio presso la sede Provinciale di Vicenza, Corso SS. Felice e Fortunato, 163 – fax per eventuali comunicazioni (OMISSIS) – e-mail: (OMISSIS), che concludeva nei seguenti termini: nel merito, in via preliminare, dichiararsi la prescrizione dei maggiori ratei pensionistici anteriori al quinquennio dalla notifica del ricorso; sempre nel merito, rigettarsi poiché infondate le domande formulate.

Nel ricostruire l’intera vicenda, l’Istituto ribadiva la sentenza del Tar Lazio n. 640/1994, confermata da Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2357/2004, con cui veniva annullato, con efficacia erga omnes, il comma 2 dell’art 133 del DPR 384/1990 (vigente nel periodo 1.1.1988-31.12.1990).

Tale norma prevedeva che “ai limitati effetti economici del riconoscimento dell’anzianità di servizio pregressa, al personale indicato nel comma 1 ed a coloro che hanno effettuato l’opzione tra il rapporto a tempo pieno e quello a tempo definito, ai sensi dell’articolo 110 del decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270, e del decreto del Ministro della Sanità 18 novembre 1987, n. 503, è applicato con decorrenza dal 31 dicembre 1990 il meccanismo di ricostruzione economica già previsto dall’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348, con riferimento ai valori tabellari stipendiali previsti per il rapporto di lavoro a tempo definito dall’articolo 46 del succitato decreto, secondo la posizione funzionale di inquadramento“.

Inoltre, asseriva che con l’art 62, terzo comma, del C.C.N.L. 8.6.2000 le parti sociali prevedevano che “preso atto della decisione del TAR Lazio n. 640/1994, che ha annullato il comma 2 dell’art 133 del DPR 384/1990 relativamente al mancato riconoscimento della retribuzione individuale di anzianità agli ex medici condotti che non avevano optato per il rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo definito entro il 30 dicembre 1990 – stabiliscono che – ove sussistano le condizioni – le aziende dovranno attivare entro il 31 maggio 2000 la procedura di cui all’art. 66 del D./gs 29/1993”. Tale disciplina valeva per i dipendenti cessati o in servizio durante la vigenza contrattuale (1.1.1998-31/12/1999).

Con istanza in data 8 luglio 2005 il dotto S. chiedeva all’Istituto la riliquidazione del trattamento pensionistico definitivo in godimento.

L’Azienda U.L.S.S. 5 Ovest Vicentino metteva in atto le procedure previste dal citato articolo 62, raggiungendo e sottoscrivendo, in data 25/10/2005, l’intesa transattiva che, a fronte dell’abbandono del giudizio nel frattempo proposto dal pensionato avanti il TAR Lazio, riconosceva allo stesso gli aumenti biennali dal 01/01/1984 all’11/07/1987 e l’inquadramento economico dal 12/07/1987 al 31/12/1987, così come richiesti, senza la maggiorazione di interessi e rivalutazione (doc. 4). Il ricalcolo delle somme a carico dell’amministrazione è stato determinato in misura complessiva di lire 675.318 (doc. 5).

Confermava, inoltre, le deduzioni in fatto svolte in parte già dal ricorrente, secondo cui con il modello 98.01 del 6/7/2007 l’amministrazione di appartenenza provvedeva alla certificazione dei dati economici necessari alla riliquidazione della pensione (doc 6).

La Sede INPDAP di Vicenza, attesa la complessità della vicenda, richiedeva un parere alla Direzione centrale competente, notiziandone l’interessato (doc.8), la quale, con le note del 25/11/2008 e 10/06/2009, si esprimeva nel senso di escludere l’estensione del giudicato a fattispecie estranee a quelle dedotte in giudizio, ostandovi il principio di carattere generale del limite soggettivo della cosa giudicata (art 2909 c.c.)  <<...inter alios acta…>> e del divieto di estensione del giudicato in materia di pubblico impiego (Consiglio di Stato, Sez. V n.9268/2003), oltreché esigenze di uniformità di indirizzi amministrativi e di contenimento della spesa pubblica, atteso l’insuperabile impedimento della mancanza di copertura finanziaria, giusta art. 11 ter, comma 7, introdotto nella legge 5 agosto 1978, n.468, dalla legge 23 agosto 1988, n.362.

A tal proposito evidenziava  i problemi legati all’estensione degli effetti di un giudicato formatosi tra le parti, totalmente o parzialmente diverse, che richiede un intervento di coordinamento necessariamente riservato all’autorità centrale (cfr. Corte dei Conti, sez. giuro Basilicata, n. 199/2011; nello stesso senso anche la Corte di Appello di Lecce, Sez. lavoro che ha precisato che “la sentenza del Tar Lazio n.640j94, pur passata in giudicato, ha efficacia soltanto nei confronti ” dei soggetti che hanno proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo, per cui la declaratoria di nullità dell’art. 133 comma 2 del d.P.R. n.384j94 non produce effetti nei confronti dell’appellante, che è rimasto estraneo a quel giudizio” (cfr. C.A. Lecce, Sez. Lav.,n.  6836/2005).

Successivamente, in altra nota dell’1/3/2010 veicolata via e-mail, la stessa Direzione Centrale rappresentava altresì che è fatto divieto alle amministrazioni di adottare provvedimenti di estensione di giudicati per i trienni 2002-2004 (art. 23 c. 2 legge. 448/2001), 2005-2007 (art 1 c. 132 legge 311/2004), fino al 31/12/2008 (art. 1 legge 14/2008) nonché per agli anni successivi (doc. 15 e16).

La Direzione Centrale evidenziava, altresì, che le transazioni tra l’ente datore di lavoro ed i propri dipendenti (o ex dipendenti) non producono effetti nei confronti dell’ente previdenziale, che rimane l’unico soggetto preposto ad accettare la quiescibilità delle singoli voci retributive. Parere che veniva reso nel senso di ritenere che il successivo riconoscimento della RI.A non comporti la riliquidazione dei trattamenti pensionistici di cui trattasi (doc. 14).

Dimodoché, a fronte della risposte negative, il ricorrente ha inteso proporre il presente ricorso volto alla riliquidazione del trattamento pensionistico definitivo.

Non risulta essersi costituito in giudizio, invece, l’ULSS 5 Ovest Vicentino.

Alla pubblica udienza odierna presenti, per il ricorrente, l’avv. Mauro Poli, che, nel ripercorrere brevemente i fatti di causa, ha richiamato l’adesiva giurisprudenza del G.A. a sostegno delle argomentazioni svolte, insistendo per l’integrale accoglimento del ricorso, mentre, per l’INPS, subentrato all’I.N.P.D.A.P.,  l’avv. Sergio Aprile ha illustrato la sua posizione riportandosi alle difese ed eccezioni svolte e insistendo, comunque, per il rigetto della domanda.

La causa, ritenuta ormai matura, è stata indi trattenuta e decisa come da dispositivo letto pubblicamente, ex art. 5, della legge n. 205/2000, consegnato al termine e riportato in calce alla sentenza.

Motivi della decisione

Per esigenze di chiarezza e di concentrazione espositiva, giova ricordare brevemente che con il ricorso in esame  è stata proposta, nei seguenti termini articolata, l’impugnazione: del provvedimento di cui alla nota inviata dalla Direzione Provinciale dell’INPD.AP di Vicenza, a firma della Dirigente Dott. Maria Paola Busson, Prot. n. 29200/09, del 28/09/2009, avente ad oggetto: Intesa transattiva per ricostruzione RIA.

Ricalcolo del trattamento di quiescenza”, nonché l’impugnativa della ulteriore nota della Sede INPDAP di Vicenza n. Prot. 69/2010 del  19/4/2010, avente ad oggetto: Intesa transattiva per ricostruzione RIA ex medici condotti — ricalcolo del trattamento di quiescenza ed indennità di fine servizio; 2) per l’accertamento del suo diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico di cui è titolare, in conformità al ricalcolo del proprio trattamento economico e conseguente rideterminazione del proprio inquadramento ai fini previdenziali, di cui alla nota inviata all’INPDAP di Vicenza dalla Azienda ULSS 5 — Ovest Vicentino, in data 6 luglio 2004, Prot. n. 23456, avente ad oggetto ” Riliquidazione della pensione diretta di anzianità, con cui, in applicazione della sentenza del TAR del Lazio n. 640/94, al Dott. G.S. venivano applicati i benefici di cui all’art. 110 del DPR n. 270/87, con il , con il conseguente riconoscimento della quiescibilità della voce retributiva denominate RIA; 3) nonché, per la condanna dell’INPS alla riliquidazione del trattamento di quiescenza spettante al Dott. G.S., in conformità al sopraindicato reinquadramento economico disposto dalla Azienda ULSS 5 Ovest Vicentino, con il riconoscimento e valorizzazione anche ai fini previdenziali della RIA, retribuzione individuale di anzianità, nella misura contrattualmente prevista e computata dalla Azienda ULSS n. 5 Ovest Vicentino, ed alla conseguente corresponsione delle maggiori somme dovute in conformità a tale riliquidazione a titolo di arretrati di trattamento di quiescenza, maggiorate di interessi e rivalutazione come per legge.

1. In via pregiudiziale, secondo un rigoroso ordine logico giuridico imposto alle progressiva soluzione delle varie questioni processuali proposte (artt. 187, co. 2 e 3, e 276, co. 2, c.p.c.) è appena il caso di rilevare che la domanda giudiziale sembra rivolgersi (sub.. n. 2, seconda alinea) “ nonché l’impugnativa della ulteriore nota della Sede INPDAP di Vicenza n. Prot. 69/2010 del  19/4/2010, avente ad oggetto: Intesa transattiva per ricostruzione RIA ex medici condotti — ricalcolo del trattamento di quiescenza ed indennità di fine servizio”.

Orbene, anche se l’Istituto resistente in proposito non ha eccepito il difetto di giurisdizione dell’adito Giudice in relazione alla parte della domanda tesa alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto, in specie evidentemente trattamento premio di servizio, in favore del medico ex condotto – eccezione, tuttavia, rilevabile, anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio (art. 38, co. 2, c.p.c. –  e, a dire il vero, non sembra tale domanda abbia investito questo aspetto bensì sia stata concretamente delimitata al ricalcolo del trattamento di quiescenza, giova ricordare, in ogni caso, che dal novero delle prestazioni previdenziali sono escluse le indennità di fine servizio comunque denominate (trattamento di buonuscita per gli Statali, trattamento di fine servizio e Indennità premio di servizio per i dipendenti delle ex Casse), peraltro dal 1° gennaio 2011 assimilate ai fini del computo al trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati, per la loro funzione di retribuzione differita e, pertanto sottratte alla competenza giurisdizionale esclusiva del Giudice delle Pensioni Pubbliche.

Invero, tale indennità costituisce un emolumento versato al dipendente contestualmente alla cessazione del rapporto d’impiego o di servizio: pur trattandosi di prestazione erogata pressoché contemporaneamente al trattamento pensionistico, se ne differenzia in quanto rinviene ancora la sua causa giustificativa nel rapporto d’impiego, la cui cessazione segna il discrimine oltre il quale, invece, si situa il trattamento pensionistico (in diritto, artt. 13 e 62 del T.U. approvato con R.D. 12/7/1934, n. 1214 e art. 63 del D. Lgs. n. 165 del 2001; in giurisprudenza, in termini, Cass., SS.UU., n. 8897/1990, n. 4910/1997 e n. 99/1999; 27 ottobre 2000, n. 1143; Corte dei Conti, Sez. 3^, 03 giugno 1998, n. 145/A; Sezione Molise, sent. 39, del 19 marzo 2004, Sez. Campania, sent. 1841, dell’11 settembre 2006, Sez. Lombardia, sent. n. 348 dell’8 giugno 2006, Sez. Veneto, sent. n. 55 del 20/1/2012, n. 55; Cons. St., Sez. VI, 22/10/2002, n. 579430 aprile 2002, n. 2323 e Sez. VI, 20 aprile 2006, n. 2194).

Pertanto, sulla relativa domanda, in considerazione che si tratta di ex dipendente di Azienda Sanitaria cessato dal servizio prima del 30/6/1998, il giudice munito di giurisdizione deve ritenersi quello amministrativo costituendo, l’eventuale diritto conteso dell’anzianità di servizio acquisita, una questione “unitaria” non suscettibile di frazionamento, in quanto maturato o sorto in epoca anteriore, vale a dire con la sentenza del TAR Lazio n. 640/1994, o tutt’al più “a cavallo” di tale fatidica data di annullamento dell’art. 133, co. 2, del c.c.n.l., approvato con D.P.R. n. 384/90, successivamente divenuto definitivo con la sentenza n. 2537 del 27 aprile 2004 del Consiglio di Stato confermativa della sentenza del Tar Lazio, ma solo ove la relativa domanda giudiziale sia stata proposta, a pena di decadenza, rivestente natura c.d. “sostanziale”, entro il termine del 15 settembre 2000, circostanza che non costituisce, pertanto, un limite alla persistenza della giurisdizione amministrativa in sede di translatio iudicii e di conservazione degli effetti processuali e sostanziali prodotti dalla domanda  nel processo tempestivamente proseguito (arg. ex artt. 45, co. 17, D. Lgs. n. 80 del 1998 e art. 69, co. 7, del D. Lgs. n. 165 del 2001; art. 59, della legge 18 giugno 2009, n. 69; in giurisprudenza: v. C. Cost., n. 77 del 2007; Cass., SS.UU., 3/5/2005, n. 9101; 15/1/2007, n. 616; 22/2/2007, n. 4109; 4/6/2007, n. 13048 e 19/4/2007, n. 9319; 10/11/2009, n. 25258).

Diversamente, deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento all’intero periodo controverso e non già solo per il periodo successivo al 30 giugno 1998, essendo la fattispecie versata in giudizio di tutta evidenza “unitaria” e non suscettibile di frazionamento avendo ad oggetto la spettanza, o meno, della retribuzione individuale di anzianità per un periodo del rapporto di lavoro che, sebbene esaurito prima del 30 giugno 1998 e riguardante tale segmento temporale, tuttavia involge questioni avvenute successivamente, deve ritenersi devoluta a tale giudice in virtù del nuovo corso giurisprudenziale (overruling) e del recente principio di diritto affermato dalla Suprema Corte (SS.UU., n. 20726 del 2012) secondo cui  “Nel regime transitorio del passaggio dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla giurisdizione del giudice ordinario quanto alle controversie di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, il disposto dell’art. 69, comma 7, del medesimo D.Lgs., secondo cui sono attribuite al giudice ordinario le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, esprime, come regola, la generale giurisdizione del giudice ordinario in ordine ad ogni questione sia che riguardi il periodo del rapporto di impiego successivo al 30 giugno 1998, sia che investa in parte anche un periodo precedente a tale data ove risulti essere unitaria la fattispecie devoluta alla cognizione del giudice; e reca, come eccezione, la previsione della residuale giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ad ogni questione che riguardi solo ed unicamente un periodo del rapporto fino alla data suddetta“.

2. Nel merito della controversia va rilevato come la domanda proposta miri ad ampliare la retribuzione pensionabile attraverso la valorizzazione e l’inserimento in essa della Retribuzione Individuale di Anzianità (R.I.A.), sulla quale commisurare e rideterminare il trattamento diretto definitivo di pensione di anzianità di cui il ricorrente risulta titolare, in qualità di dirigente medico ex condotto transitato nel Servizio Sanitario Nazionale.

Giova ricordare come questa Sezione giurisdizionale – circostanza del resto rilevata dalla stessa difesa del ricorrente –  ha già avuto modo di affrontare la materia in esame in controversia pressoché analoga e diversi e compositi profili giuridici  (sentenze, n. 55 del 2012) pervenendo alle medesime conclusioni dalle quali non si ravvisano ragionevoli, quanto convincenti motivi per discostarsi, rivelandosi condivisibili le articolate e diffuse argomentazioni giuridiche ivi svolte anche alla luce dei referenti giurisprudenziali ed alle quali, pertanto, si rinvia per relationem ad integrazione della presente motivazione (Cass., Sez. 5, 27/11/2011, n. 11710; Sez. Lav., 11/2/2011, n. 3367; Cass., SS.UU. Civili, 9/8/2010, n. 18477 e Sez. 5, 23/5/2005, n. 10860).

In generale, va premesso che il ricorrente, a ragione del rapporto di lavoro pubblico prima con Ente locale e poi con Azienda del Servizio Sanitario Nazionale, è stato iscritto alla Cassa di previdenza per le pensioni ai sanitari costituita con la legge 06 luglio 1939 n. 1035 e che a norma dell’art. 34, della legge 11 aprile 1955, n. 379 ha assunto la denominazione di “Cassa per le pensioni ai sanitari”.

Sussisteva, infatti, anche per i medici ex condotti, transitati nel Servizio Sanitario Nazionale, l’obbligo dell’iscrizione assicurativa all’ex Cassa per le pensioni dei sanitari (art. 6 della legge 06 luglio 1939 n. 1035, Consiglio di Stato, Sez. IV sent. n. 293, del 24 luglio 1985).

La pensione del ricorrente, in ragione dei requisiti anagrafici e di servizio posseduti al tempo di collocamento a riposo, è stata conferita con il sistema c.d.  retributivo puro, per il quale la retribuzione percepita dal lavoratore costituisce, insieme alla durata del servizio prestato, elemento fondamentale ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza: di fatto non a caso si parla di formula retributiva per la centralità rivestita dalle retribuzioni percepite in servizio.

Nel settore dello Stato (ossia con riguardo ai dipendenti civili e militari) gli artt. 43 e 53 del D.P.R. n. 1092 del 1973 hanno previsto che la base di calcolo della pensione è costituita dall’ultimo stipendio integralmente percepito, maggiorato delle quote mensili della successiva classe di stipendio o del successivo aumento periodico (ex art. 161 della legge 11 luglio 1980, n. 312).

Di tutta evidenza l’importanza della giusta interpretazione da dare alla locuzione “ultimo stipendio” che postula il preventivo chiarimento di cosa si intende per stipendio, ossia quali voci retributive compongono la base pensionabile, e l’individuazione del regime applicabile agli emolumenti maturati e non percepiti in servizio, tenendo comunque in conto che il riferimento temporale alla data di cessazione dal servizio è destinato a evolversi, quando l’ordinamento pensionistico adotta il diverso criterio della media delle retribuzioni, mediante il D. lgs n. 503 del 1992.

Onde, per i dipendenti statali hanno natura stipendiale le quote mensili della successiva classe di stipendio, la retribuzione individuale di anzianità, gli scatti gerarchici e aggiuntivi per il personale militare, gli scatti per l’invalidità di servizio, gli scatti per gli ex combattenti, i sei scatti stipendiali per il personale militare.

Viceversa, non possono considerarsi “voci stipendiali” i trattamenti accessori, anche se riconosciuti di natura pensionabile come l’indennità di ausiliaria, d’impiego operativo, di amministrazione, l’indennità integrativa speciale (anche se dall’1/1/1995 essa è conglobata, ma pur sempre distinta dallo stipendio in senso stretto), etc…

Come chiarito dalla citata sentenza n. 55/2012 di questa Sezione, che è bene riportare per esplicitare i motivi della decisione,  “il concetto di stipendio nella visione retributiva pura evoca un trattamento che riveste carattere stabile, definitivo e permanente, che non ammette reformatio in peius: il che equivale a escludere che emolumenti conferiti in via provvisoria e temporanea (come ad es. per il conferimento di un incarico dirigenziale a termine) possano essere considerati di natura stipendiale.

Il parametro costituito dall’ultimo stipendio posto dagli artt. 43 e 53 è stato gradualmente superato mediante introduzione, con l’art. 7 del d.lgs. n. 503/1992, del criterio della retribuzione media pensionabile, che include nella base di calcolo della pensione la media delle retribuzioni riscosse dal dipendente nel corso della vita lavorativa.

La succitata riforma, che ha posto un rimedio alle distorsioni di un regime retributivo puro ritenuto eccessivamente favorevole per le carriere più dinamiche e penalizzante per quelle piatte, nel periodo transitorio lascia immutato il criterio dell’ultimo stipendio percepito per il calcolo della quota di pensione relativa all’anzianità di servizio maturata sino al 31 dicembre 1992.

In estrema sintesi, la nuova pensione retributiva è la risultante di due quote: la quota “A”, che è calcolata in base all’ultimo stipendio (per le anzianità maturate sino al 31 dicembre 1992); la quota “B”, che è determinata in base alla media delle retribuzioni ed è relativa all’anzianità maturata dal 31 dicembre 1992 alla data di cessazione dal servizio. Il numero delle annualità da considerare nella media coincide con il predetto lasso temporale se l’anzianità, posseduta al 31 dicembre 1992, è inferiore ad anni 15; diversamente, entrano nella media soltanto le ultime dieci annualità (così art. 7, del d.lgs. n. 503 del 1992).

Deve aggiungersi che la divisione della pensione in quota A” e quota “B” permane in vigore anche dopo l’introduzione del metodo di calcolo contributivo (legge Dini n.335/1995, con decorrenza 1° gennaio 1996), che per le ipotesi miste introduce anche la quota “C” (con decorrenza 1° gennaio 2012 e con riguardo alle anzianità maturate da tale data il contributivo si applicati a tutti i pensionati pubblici e privati e, tendenzialmente, in base alle determinazioni che potrebbero assumere anche ai dipendenti di Organi costituzionali).

L’ordinamento delle ex Casse pensioni (in cui rientra anche la Cassa pensione dei sanitari), già amministrate dagli Istituti di previdenza, poi dall’INPDAP e ora dall’INPS – Polo previdenziale pubblico, contempla, invece, un diverso concetto di base pensionabile, ossia la “retribuzione annua contributiva” che è la risultante (somma) degli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione per l’attività lavorativa.

Di fatto l’art. 30, comma 2 bis, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n.131, ha previsto che <<Per le Casse pensioni dipendenti enti locali, sanitari ed insegnanti degli istituti di previdenza, la retribuzione annua contributiva, definita dagli artt. 12, 13 e 14, della legge 11 aprile 1955, n. 379, è costituita dalla somma degli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione per l’attività lavorativa>>.

Di tutta evidenza, così come avviene per i dipendenti degli enti locali (art. 15, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077) che in luogo del parametro della stipendialità, vigente per i dipendenti dello Stato, è adottato il diverso criterio della natura fissa, continuativa e corrispettiva dell’emolumento, costituente parte fondamentale della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro, ossia remunerazione per la normale attività lavorativa richiesta per il posto ricoperto, ai sensi degli artt. 15, comma 1°, e 16, comma 2, della legge n. 1077/1959.

Il criterio della retribuzione annua contributiva si applica a tutti i trattamenti aventi decorrenza successiva al 1° aprile 1983 e trova un correttivo al criterio dell’ultimo stipendio, vigente anche nell’ordinamento delle ex Casse, nella media ponderata delle retribuzioni dell’ultimo quinquennio nei casi di novazione del rapporto di lavoro che sia tale da produrre una soluzione di continuità nel percorso di carriera del dipendente.

Ora a ragione dell’affermato principio di non tassatività accolto dal legislatore ampio è il dibattito in giurisprudenza circa la continuità, fissità e corrispettività degli emolumenti da includere nella retribuzione annua contributiva [c.d. vecchia parte “A” della pensione dei dipendenti delle ex Casse (ossia quelli collocati in pensione in data anteriore al 1° aprile 1983) che comprendeva tutti gli emolumenti a carattere fisso, corrispettivo e continuativo], che impone al giudice delle pensione anche la disamina di atti afferenti il precedente rapporto d’impiego.

E la controversia, come in precedenza chiarito, rientra a pieno titolo nella giurisdizione contabile.

Infatti, anche se le vigenti disposizioni (art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993 così come ripreso dall’art.63, del d.lgs. n.165/2001) non consentono alla Corte dei Conti di conoscere delle pretese attinenti al rapporto di pubblico impiego (cfr. Corte dei Conti Sez. III, sentt. n. 60315/1987, n. 66133/1991, Sez. IV, sent. n. 81468/1993, SS.RR. 08 ottobre 1987, n. 67/C, Cass. S.U. n. 3601/1986, id. 1312/1993, n. 99/1999, n. 12722/2005, Corte dei Conti, Sezione 1° d’app. sent. n. 100, del 22 febbraio 2008, Sezione Giurisdizionale per la Regione Sicilia, sent. n. 143, del 14 dicembre 2010), in fattispecie è d’altra parte evidente che il giudizio circa la natura e i termini del trattamento pensionistico comporta il previo accertamento di tutte le relative condizioni e presupposti di legge, ivi compreso il godimento dell’esatto trattamento retributivo, al solo limitato scopo di stabilirne la rilevanza ai fini di quiescenza.

Essendo il Giudice chiamato a decidere sulla giusta pensione spettante al ricorrente, resta confermato il proprio potere/dovere di <<…delibare gli atti intervenuti nel pregresso rapporto d’impiego, inerenti allo status del dipendente e il suo trattamento economico, al fine di stabilirne la rilevanza sul trattamento di pensione…>> (cfr. Corte di Cass. sent. n. 99/1999, SS.RR. n. 6/QM/2000).

In breve con l’istituzione del “Servizio Sanitario Nazionale” i medici ex condotti (come l’odierno ricorrente), originariamente alle dipendenze dei comuni, sono transitati alle dipendenze delle Aziende Unità sanitarie locali ed inquadrati secondo la disciplina di cui all’art. 110 del D.P.R. n. 270 del 1987 e del D.M. n. 503 del 1987.

Secondo quanto previsto dall’art. 30, del DPR 20 dicembre 1979, n.761 (stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), il personale addetto ai presidi, servizi e uffici delle USL costituiva un apposito comparto di contrattazione collettiva: il trattamento economico e gli istituti normativi di carattere economico per il suddetto personale sono stabiliti in sede di accordo nazionale unico e con l’osservanza del principio della perequazione retributiva; da tanto doveva dedursi che anche agli ex condotti si applicavano i principi di carattere generale affermatisi per il comparto della sanità.

Ciò nonostante, la normativa successiva dettava – per tale tipologia di personale –  una disciplina non definitiva, offrendo regolamentazioni parziali quanto al rapporto di lavoro: in specie con l’art. 110, del DPR n. 270/1987, che, successivamente al 30 giugno 1988 e sino all’entrata in vigore di nuove normative, prevedeva la conservazione provvisoria di efficacia della disciplina ordinaria di cui allo stesso DPR, ossia il fatto che il rapporto di lavoro del medico condotto poteva essere a tempo pieno o a tempo definito, il che comportava, per gli stessi, la necessità di optare tra i due regimi in cui si articola l’orario di lavoro dei medici; il decreto ministeriale n. 513/1987 ha, invece, ridefinito le funzioni e le mansioni dei medici ex condotti, consentendo agli stessi il mantenimento del rapporto convenzionale in atto con la medicina generale.

L’art. 110 prevedeva, altresì, per i medici ex condotti nei cui confronti non siano stati assunti provvedimenti definitivi, la possibilità di optare per un trattamento economico onnicomprensivo di £ 8.640.000 (€ 4.462,19) annue lorde, che escludeva la progressione economica e ogni altra indennità.

Il successivo art. 133, del DPR 28 novembre 1990, n. 384 (recante il Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 06 aprile 1990 concernente il personale del comparto Servizio sanitario nazionale, di cui all’art. 6, D.P.R. 05 marzo 1986, n. 68) prevedeva nei confronti dei medici in questione, tra l’altro, la proroga del trattamento economico onnicomprensivo in godimento, così come previsto dall’art. 110, del DPR 270/1987, senza alcun incremento della retribuzione”.

Ebbene, proprio a causa dell’ennesima proroga, un consistente numero di medici ex condotti promuoveva giudizio, di cui però l’odierno ricorrente non era parte, dinanzi al TAR Lazio per ottenere il parziale annullamento, assumendone l’illegittimità, dell’art. 133, cit., unitamente all’accertamento del proprio diritto a percepire la retribuzione individuale di anzianità (c.d. R.I.A.), secondo la dinamica prevista dal D.P.R. n. 348 del 1983, D.P.R. n. 270 del 1987 e D.P.R. n. 384 del 1990

Con la sentenza n. 640 del 1994 il Giudice amministrativo di prime cure adito annullava, seppure parzialmente, il 2° comma dell’art. 133 in quanto appariva … quanto meno irrazionale prevedere puramente e semplicemente, come è avvenuto con la determinazione impugnata, la proroga del trattamento economico previsto nell’art. 110 per un ulteriore triennio, e senza viceversa consentire alcun ulteriore incremento della retribuzione, a fronte di altre categorie di personale appartenenti allo stesso comparto; categorie che, coma ha esattamente segnalato la difesa dei ricorrenti, si sono viste attribuire incrementi stipendiali oscillanti dal 10 al 40% rispetto al precedente contratto.

Infatti, a fronte dell’ammissibilità di differenze stipendiali in relazione a differenziati inquadramenti, non è possibile, tuttavia, che una categoria, che pur non aveva avuto alcun beneficio economico apprezzabile da parte dei precedenti Accordi, venga oggi discriminata rispetto alle altre senza alcuna ragione plausibile o senza una previsione normativa che in qualche modo la giustifichi>>.

Il G.A. evidenziava un marcato vulnus nei confronti di quei medici ex condotti che non avevano optato per il rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo definito entro il 30 dicembre 1990, del principio generale della perequazione retributiva sancito dagli artt. 30, del DPR n. 761/1979, e 28, del DPR n. 348/1983.

Il Consiglio di Stato, in seconde cure, con la sentenza n. 2537 del 27 aprile 2004, confermava la sentenza del TAR, rilevando che: … il fatto che la posizione dei medici ex condotti sia stata sempre oggetto di specifica e differenziata considerazione normativa e la specificità della prestazione lavorativa di tali medici non valgono a far ritenere che per gli stessi siano venuti meno i principi di carattere generale valevoli, in materia di trattamento economico, per tutto il comparto sanitario.

Essi, infatti, dopo l’istituzione del servizio sanitario nazionale e in base alla vigente normativa, sono divenuti dipendenti delle “unità sanitarie locali”, in possesso di uno status non diverso da quello di tutti gli altri dipendenti sanitari, fatta eccezione delle peculiarità previste per le loro prestazioni di lavoro (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, n. 36 del 1994).

L’alto consesso, pertanto, oltre a pronunciare l’illegittimità della proroga ulteriore del trattamento onnicomprensivo ex art. 110 DPR 270/1987, si è spinto sino a riconoscere l’identità dello status del medico dipendente delle USL e del medico ex condotto che più non giustificava un’arbitraria differenziazione di trattamento retributivo col rischio di introdurre elementi di deteriore trattamento di posizioni sostanzialmente uguali, censurabile ex art. 3 Cost..

Orbene, sotto l’aspetto tecnico – giuridico, l’annullamento della disposizione normativa specifica, relativa ai medici ex condotti non poteva che determinare la piena riespansione delle disposizioni generali in materia di retribuzione dei medici, con conseguente applicazione anche nei confronti dei medici ex condotti degli emolumenti contrattualmente previsti per gli altri sanitari.

Nella fattispecie, quindi, nei confronti dei medici ex condotti deve trovare applicazione la Retribuzione Individuale di Anzianità (R.I.A.), quale componente fissa, continuativa e a carattere generale del trattamento stipendiale, determinata secondo la dinamica prevista dal DPR n. 348 del 1983, n. 270 del 1987 e n. 384 del 1990, nel trattamento economico essenziale della generalità dei dirigenti medici e in assenza di collegamenti con la tipologia del rapporto, della prestazione o dell’orario di lavoro, unicamente con riguardo alla funzione in sé e per sé svolta dal medico, trattamento economico che per la circostanza risultava composto dalla voce stipendio tabellare, dall’indennità integrativa speciale, indennità individuale di anzianità e dall’indennità di specificità medica.

Nel solco tracciato, anche la giurisprudenza del rapporto d’impiego, intervenuta successivamente al 30 giugno 1998, ha affermato, con consolidato orientamento, che spetta al medico ex condotto, inquadrato nella dirigenza medica <<… lo stesso trattamento economico fondamentale (in cui rientra la indennità di specificità medica, ex art. 54 ccnl di riferimento) riservato ai dirigenti. Infatti, l’indennità in questione sarebbe connessa allo “status” di dirigente medico e non alla tipologia del rapporto o alle modalità di esecuzione della prestazione…>>(cfr. ex multis Corte di Cassazione, S.U. n. 25258/2009, del 10/11/2009; Tribunale di Roma, sent. n. 11261/2009, del 25 giugno 2009; Corte d’App. di Potenza, sent. n. 173 dell’11 marzo 2010; Tribunale di Padova, sent. n. 32/2008, del 4 febbraio 2008).

Ancora, la sentenza richiamata precisa “…come i predetti emolumenti hanno trovato disciplina anche nel CCNL dell’8 giugno 2000, art. 37….” e che “…..deve, infine, evidenziarsi che per il giudice del rapporto di lavoro il principio dell’onnicomprensività della retribuzione, fissato dall’art. 70 del CCNL del 1996, dall’art. 43 del CCNL del 2000 (di rilievo per la fattispecie) non esclude che anche ai medici ex condotti vada riconosciuto il trattamento retributivo previsto contrattualmente per gli altri dirigenti medici, atteso che tale onnicomprensività riguardava il solo trattamento tabellare e mirava ad evitare il conferimento di emolumenti ulteriori al di fuori del circuito contrattuale (cfr. Tribunale di Padova, sent. n.32/2008, confermata dalla Corte d’App. di Venezia con la sent. n. 245/2011, del 30 maggio 2011)”.

Orbene, è incontestabile che la surrichiamata decisione del Tar Lazio, n. 640, del 22 aprile 1994, così come confermata dal Consiglio di Stato, nell’annullare parzialmente il secondo comma dell’art.133 del D.P.R. n. 384/90, norma di natura regolamentare a carattere generale, non poteva non estendere la sua efficacia erga omnes, ossia anche nei confronti di coloro che tale giudizio non avevano promosso, per essere una conseguenza diretta del potere caducatorio-annullatorio riservato, quale espressione di sindacato generale o diffuso di legittimità, alla giurisdizione di tale giudice.

Per effetto di tale decisione, ad avviso del giudicante, il relativo credito retributivo per R.I.A era certamente sorto o maturato e divenuto esigibile con effetti retroattivi.

E ciò, nonostante ed indipendentemente dalla stipulazione del successivo CCNL dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del S.S.N. – in data 8 febbraio 2000 e valido per il quadriennio giuridico ed economico 1998 – 2001 – col quale le parti sociali prendevano atto della decisione del TAR Lazio prevedendo, con l’art. 62, comma 3, che: <<Le parti preso atto della decisione del TAR Lazio n. 640/1994, che ha annullato il comma 2 dell’art. 133 del DPR 384/1990 relativamente al mancato riconoscimento della retribuzione individuale di anzianità agli ex medici condotti che non avevano optato per il rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo definito entro il 30 dicembre 1990, stabiliscono che – ove sussistano le condizioni – le aziende dovranno attivare entro il 31 maggio 2000 la procedura di cui all’art. 66, del d.lgs. n. 29/1993>>.

In particolare, la procedura ex art. 66 del d.lgs n. 29/1993 (ora rifluita nell’art. 61, del d.lgs. n. 165/2001) concerne il controllo della spesa e, in modo particolare, gli interventi correttivi sul costo del personale, anche per l’effetto di decisioni giurisdizionali, che la norma pattizia deve prevedere in termini organizzatori, informandone, per gli inevitabili riflessi a carico del bilancio, la Presidenza del Consiglio  dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica.

Infatti, nel caso in esame, come precisato in narrativa l’Azienda U.L.S.S. n. 5 Ovest Vicentino provvedeva mediante formale e specifico atto deliberativo n. 250 del 7/6/2007 (doc.n.1), emesso in attuazione dell’apposita e prodromica transazione stipulata con gli interessati (doc. n. 2) – i quali, nell’occasione, si erano impegnati a rinunciare alla corresponsione degli interessi, della rivalutazione monetaria ed alla prosecuzione del ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Lazio che avevano già notificato in data 27/9/1990 –  alla trasmissione alla sede INPDAP di Vicenza della documentazione necessaria ai fini previdenziali, per l’opportuna e conseguenziale  rideterminazione della pensione diretta di anzianità e per la riliquidazlone dell’indennità di fine rapporto, con nota Prot. n. 23456 del 6 luglio 2004, (doc. n. 3), cui allegava il modello 98.1 che sostituiva il precedente modello 98.0, rilasciato dalla ex ULSS di Arzignano, n. 34, nonché fotocopia autenticata della deliberazione del Direttore Generale n. 250 del 7/06/2007 e della relativa e presupposta intesa transattiva Ovest Vicentino di Arzignano……. “entro il 2007”.

Tuttavia, l’INPDAP di Vicenza non dava corso alla richiesta di reinquadramento, costringendo il Dott. S. a presentare un primo atto di diffida, in data 24/7/2009, (doc. n. 4), con cui chiedeva il ricalcolo del proprio trattamento di quiescenza, con corresponsione dei relativi arretrati, cui seguiva la contestata nota Prot. n. 29200/09 del 28 settembre 2009, (doc. n. 5), con la quale si comunicava che, anche a seguito di apposito parere emesso dall’Ufficio l° Normativa di Roma, Direzione Centrale di Previdenza, il riconoscimento della RIA da parte dell’Azienda non comportava il diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico.

Il Dott. S., quindi, proponeva un ulteriore ed articolato atto di diffida e di messa in mora, notificato in data 9.2.2010, (doc. n. 6), al quale ugualmente dava riscontro l’INPDAP, con nota Prot n. 69/2010 del 19 aprile 2010,dal medesimo contenuto negativo, (doc. n. 7), ritenendo:

1) che le sentenze passate in giudicato non possono essere estese a fattispecie e soggetti estranei a quelli dedotti in giudizio;

2) che tale estensione ad altre fattispecie non era possibile per il principio di carattere generale ” del limite soggettivo della cosa giudicata” ;

3) che le transazioni stipulate tra il datore di lavoro e i dipendenti non producono effetti nei confronti dell’ente;

4) che è l’ente l’unico soggetto preposto ad accertare la quiescibilità delle singole voci retributive.

Orbene, anche in ragione del principio, oramai a rilevanza generale, sancito dall’art. 1, comma 45, della legge 549 del 1995, che fa divieto a tutte le Amministrazioni pubbliche di adottare provvedimenti per l’estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, nella materia del pubblico impiego, ma, soprattutto, in considerazione del comportamento pervicace e riottoso dell’INPDAP il ricorrente ha proposto l’odierno ricorso per i motivi dianzi illustrati.

Giova ricordare, in proposito, che l’art. 30, comma 3, del d.l. 28 febbraio 1983, n.55, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131, applicabile alla fattispecie di causa, ha previsto che <<La Direzione generale degli istituti di previdenza, per la definizione dei provvedimenti concernenti i trattamenti di quiescenza degli iscritti alle Casse pensioni amministrate, accerta i periodi di servizio e gli emolumenti corrisposti quale trattamento economico di attività, sulla base di apposita certificazione degli Enti datori di lavoro, i quali sono tenuti a trasmetterla entro un mese dalla data di cessazione dal servizio>>.

E ciò perché all’Ente previdenziale è riconosciuto dalla legge (come sopra evidenziato) il compito di valutare, nelle singole ipotesi, se ricorrono i requisiti richiesti dalla fattispecie normativa pensionistica per valorizzare, ai fini del trattamento di quiescenza, la retribuzione percepita dal dipendente durante il servizio o comunque riferita al servizio: ragion per cui il legislatore ha collegato la dinamica della retribuzione contributiva a provvedimenti legislativi, regolamentari o a contratti collettivi nazionali, nell’intento di evitare riconoscimenti particolaristici dei datori di lavoro con inevitabili onerosi effetti continuativi ed incisivi per il sistema previdenziale.

E un tale adempimento, che costituiva un obbligo giuridico alla luce delle specifiche competenze riservate all’INPDAP, non poteva che conseguire al legittimo riconoscimento della spettanza della RIA anche ai medici ex condotti, giacché emolumento connotato dal carattere della fissità, della continuatività, traente titolo da una statuizione a efficacia generale per la categoria di personale interessato, quale quella contenuta negli accordi per il trattamento economico del personale delle Unità Sanitarie locali recepiti dai diversi decreti presidenziali del tempo (DPR 348/1983, 270/1987, 384/1990) in quanto entrato a far parte della retribuzione annua contributiva e, perciò, della base pensionabile seppure non automaticamente, bensì perché elemento della retribuzione previsto come quiescibile dall’ordinamento di appartenenza e dagli Accordi collettivi anche per i medici ex condotti in ragione dello “status” di dirigente medico rivestito.

Invero, il succitato accordo transattivo, in cui non era parte l’Istituto previdenziale, veniva definito e recepito con Deliberazione n. 250 del 7/6/2007 nei termini secondo cui l’Azienda avrebbe corrisposto (anche) al dott. S. differenze retributive per maturato economico, classi, RIA con una spesa è stata quantificata in complessivi €. 1.702,21, oneri riflessi compresi, (€. 444,69 riferiti all’inquadramelo economico) il quale, come controprestazione, rinunciava alla corresponsione degli accessori di legge, alle somme per il medesimo titolo relative ad altre annualità e a qualsiasi altra futura richiesta relativa alla materia del contenzioso.

La predetta soluzione, ritenuta conveniente dall’Amministrazione per esigenze deflattive del contenzioso pendente, veniva comunicata dall’INPDAP di Vicenza, per l’opportuna e conseguenziale rideterminazione della pensione diretta di anzianità (e per la riliquidazlone dell’indennità di fine rapporto), con nota Prot. n. 23456 del 6 luglio 2004, (doc. n. 3), cui allegava il modello 98.1 che sostituiva il precedente modello 98.0, rilasciato dalla ex ULSS di Arzignano, n. 34, nonché fotocopia autenticata della deliberazione del Direttore Generale n. 250 del 7/06/2007 e della relativa e presupposta intesa transattiva Ovest Vicentino di Arzignano……. “entro il 2007”.

Tuttavia, come evidenziato, nonostante il credito pensionistico maturato dal ricorrente l’Istituto denegava l’adozione del competente adempimento “pretensivo” in quanto riteneva che la ricostruzione economica della carriera a seguito di accordi transattivi fra datore di lavoro e proprio dipendente non comportava la riliquidazione del trattamento pensionistico.

In proposito, va rilevato che è pur vero che un atto transattivo, intervenuto a rapporto di lavoro cessato e con effetto retroattivo, limita necessariamente la sua efficacia allo svolgimento del rapporto di servizio, giacché con una certa frequenza in tali atti sono contenuti riconoscimenti di pretese retributive particolari, sfornite del requisito della generalità richiesto dalla normativa vigente per la quiescibilità in pensione, con carattere novativo del rapporto di lavoro pubblico.

Nel caso di specie, tuttavia, può agevolmente affermarsi che la c.d. definizione bonaria delle pretese del ricorrente concerne un’obbligazione retributiva, per R.I.A. (in parte già corrisposta e valorizzata in pensione) <<…non ha certamente i contenuti della transazione novativa, essendo intervenuta nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro pubblico e non per sostituirvi un rapporto diverso…>> (cfr. Corte di Cass. S.U. n. 25258/09, del 10/11/2009, 13 dicembre 2005, n.27448, id. 28 febbraio 2006, n. 4455, e 18 dicembre 2007, n. 26621).

Ne consegue che l’atto transattivo stipulato il 25/10/2005 non costituisce la fonte legale da cui è sorto il diritto al riconoscimento della RIA, per il periodo antecedente al 1° luglio 1998 (per il periodo successivo risultava di già corrisposta e valorizzata in pensione), voce contrattualmente prevista e che a seguito dell’annullamento dell’art. 133, co. 2, del DPR n. 384/1990 e dell’inquadramento dei medici ex condotti nell’unico status della dirigenza medica risulta applicabile poiché trattamento economico fondamentale, ma ha semplicemente preso atto del diritto alla specifica retribuzione riconosciuto, a carattere generale ed astratto, dalla disciplina regolamentare contrattuale successivamente riformata.

In proposito, la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione – dalla quale non vi è motivo di discostarsi – è granitica nel senso che una controversia non cessa di essere inerente al rapporto di impiego per il solo fatto di essere limitata al mancato pagamento di somme di danaro; ne’ un atto di riconoscimento del credito può essere ritenuto costitutivo del diritto di credito, dovendosi affermare il principio secondo cui la pretesa di pagamento del credito retributivo origina una controversia inerente sempre al rapporto di pubblico impiego, senza che possa rilevare la circostanza che l’amministrazione abbia pienamente riconosciuto la fondatezza della pretesa stessa, ma non abbia poi provveduto a soddisfarla (Cass., SS.UU. 2 agosto 1995, n. 8457 e le altre successive conformi, tra cui, più di recente, 6 maggio 2003, n. 6888; 14 gennaio 2005, n. 601 e 10/11/2009, n. 25258).

E nella medesima prospettiva si colloca l’affermazione che neppure il contratto di transazione, intervenuto tra amministrazione e dipendente e della cui validità ed esecuzione si discute, può essere idoneo a collocare la controversia fuori dell’ambito del rapporto di pubblico impiego, trasformandola (Cass. SS.UU., 6 aprile 1991, n. 3611; 6 ottobre 1981, n. 5242), non possedendo certamente la definizione bonaria delle pretese di pagament,o che concerne una determinata obbligazione retributiva, i contenuti della transazione c.d. novativa, essendo intervenuta nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro pubblico e non per sostituirvi un rapporto diverso e nuovo (vedi Cass. 29 maggio 1991, n. 6087; 13 dicembre 2005, n. 27448; 28 febbraio 2006, n. 4455; 18 dicembre 2007, n. 26621).

Pertanto e conclusivamente, la R.I.A., quale elemento della retribuzione dei medici ex condotti, va computato nel trattamento di pensione del ricorrente non perché previsti da un atto transattivo che si sostituisce al pregresso rapporto di lavoro, bensì perché previsti come quiescibili in modo generale ed astratto e con carattere fisso e continuativo ai sensi delle vigenti disposizioni normative, regolamentari e contrattuali disciplinanti la materia (cfr.  con riferimento ad altra diversa fattispecie Corte dei Conti, Sez. III, sent. n. 267/2002, id. n. 100/2008), non arrecando, l’atto bonario in tal caso alcun vulnus al sistema giuridico di determinazione della retribuzione annua contributiva costituito, per l’appunto, dagli artt. 15 e 16 della legge n. 1077/1959, così come richiamati dall’art. 30, del d.l. 28 febbraio 1983, n.55 per i dipendenti della Cassa dei Sanitari.

Infine, priva di pregio si rivela l’eccezione di prescrizione puntualmente sollevata dall’INPS in ossequio al dettato dell’art. 2938 c.c.

Deve precisarsi che ciò che rileva in proposito è il momento nel quale il datore di lavoro conferisce o riconosce somme a titolo di retribuzione individuale di anzianità; nel caso in esame, pertanto, la stipula dell’accordo transattivo o, tutt’al più, la deliberazione con cui esso è stato recepito ed in cui è confluito come atto presupposto o prodromico, sebbene non avente effetti novativi.

Ne consegue che il diritto alla valorizzazione in pensione delle suddette voci non poteva avvenire prima di tale data o, meglio, prima che il datore di lavoro predisponesse l’apposita certificazione (modello 98.1 che sostituiva il precedente modello 98.0, rilasciato dall’ULSS 5) relativa alle retribuzione “aggiornata” per effetto del riconosciuto diritto.

Milita per tale conclusione la considerazione che l’esordio della prescrizione coincide, necessariamente, con il riconoscimento e la legale conoscenza o conoscibilità del provvedimento di liquidazione degli interessi sulla pensione diretta , decorrendo il relativo termine necessariamente dal “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” – ovvero dalla scadenza di ciascun rateo, ma comunque non anteriore alla data di comunicazione del provvedimento (art. 143, 1° cpv., T.U. n. 1092 del 1973) – nel solco della disciplina, necessariamente integrativa, di carattere generale dettata in materia dall’art. 2935 c.c. (conformi, Sez. Giur. Campania n. 186/2011 e n. 120/2013), non potendo ragionevolmente pretendersi che un diritto – nonostante la indubbia volontà del titolare – possa essere esercitato o estinguersi prima ancora del suo sorgere (o della comunicazione e conoscenza del rifiuto di riconoscerlo), come ricorda il noto brocardo “actioni nondum natae non praescribitur” (conformi, Sez. Giur. Campania n. 186/2011 e n. 120/2013).

Secondo  l’insegnamento delle Sezioni Riunite di questa Corte “il trattamento pensionistico costituisce un’obbligazione pubblica ex lege che necessita per il suo accertamento di una fase procedimentale” per cui prima della sua conclusione il diritto non può essere fatto valere, fatto salvo, in ipotesi di provvedimento negativo o di inerzia dell’Amministrazione, il ricorso al giudice perché accerti con effetti di giudicato nel processo pensionistico l’esistenza dei presupposti ai quali è collegata la nascita del rapporto pensionistico” (sentenza n.16/2003/QM depositata in data 9 settembre 2003).

E ciò, atteso l’impedimento giuridico al libero esercizio del diritto, senza che possa ravvisarsi alcun ostacolo giuridico al riconoscimento della pretesa creditoria azionata dal ricorrente nei termini dianzi precisati per effetto della eccezione di prescrizione estintiva quinquennale del relativo diritto maturato, periodo idoneamente interrotto sia in forma c.d. istantanea (ex art. 2943, co. 4, c.c.), dalla notifica degli atti di diffida stragiudiziale specificamente volti alla riliquidazione del trattamento pensionistico, rispettivamente, dell’8/7/2005, del 24/7/2009 e del 9/2/2010 (cfr. All. 4 e 6 al ricorso) ma, soprattutto e in modo permanente (comma 1), dalla notifica del ricorso giurisdizionale amministrativo, avvenuta il 27/9/1990, e di quello introduttivo del presente giudizio, avvenuta il 19/12/2013.

In termini è appena il caso di richiamare i precedenti specifici di questa Corte, le cui argomentazioni si condividono (ex multis, Sez.Giur. Campania, sentenze n. 182/2011, n. 354/2012 e n. 607/2013).

Sulle somme arretrate dovute con decorrenza dal 10/9/1987, detratto quanto eventualmente già fruito per il medesimo titolo, conformemente all’indirizzo delle SS.RR. espresso nella sentenza n. 10/2002/QM, vanno riconosciuti interessi legali e rivalutazione monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., da liquidarsi, dalla scadenza dei singoli ratei al pagamento della sorte capitale, cumulativamente, nel senso di una possibile integrazione degli interessi di legge ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura degli stessi (principio del c.d. cumulo parziale).

Attesa l’essenziale gratuità del processo pensionistico e la complessità della vicenda e delle questioni in essa esaminate, le spese di giudizio vanno integralmente compensate, ex art. 92, 2° comma c.p.c.

P.Q.M.

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

Definitivamente pronunciando, cotrariis rejectis, accoglie il ricorso e riconosce il diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico diretto di cui il ricorrente dott. S.G. è titolare comprensiva della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) maturata, nei termini riconosciuti con deliberazione del Direttore Generale dell’Azienda ULSS 5 Ovest Vicentino di Arzignano n. 250 del 7/6/2007;

sulle somme arretrate dovute per differenze a conguaglio dei ratei pensionistici a decorrere dal 10/9/1987, detratto quanto eventualmente già fruito al medesimo titolo, vanno liquidati interessi legali e rivalutazione monetaria, ex art. 429 c.p.c. e 150 disp. di att. c.p.c., a decorrere dalla data di scadenza dei singoli ratei maturati e sino all’effettivo pagamento della sorte capitale secondo il criterio del cumulo parziale, ossia con possibile integrazione degli interessi legali ove l’indice di svalutazione monetaria dovesse eccedere la misura dei primi. Dispone l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

Così deciso in Venezia, nella pubblica udienza del 13/5/2014.

Il Giudice

F.to Dott. Gennaro Di Cecilia

Depositata in segreteria il  10/07/2014

 IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

   F.to Nadia Tonolo