Un commercialista consiglia il proprio cliente ad eludere la legge? Sospeso dalla professione per 12 mesi (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 6 novembre 2018, n. 50065).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

…, omissis …

SENTENZA

sul ricorso proposto da

M.S., nato il ……. contro l’ordinanza del 16/05/2018 del Tribunale del riesame di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. Bellavista Fabrizio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16/05/2018, il Tribunale del riesame di Bologna – in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Forlì contro l’ordinanza pronunciata in data 09/04/2018 dal giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale – applicava a M. S. – indagato per i reati di cui agli artt. 12 quinquies D.I. 306/1992 (capi sub 1-2) e 648 ter 1 cp (capi sub 10-12-16) – la misura del divieto di esercitare la professione di commercialista interdicendolo dalla suddetta professione per la durata di mesi dodici, ritenendo la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che le esigenze cautelari.

2. Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale sosteneva che l’indagato fosse stato l’ideatore delle complesse operazioni commerciali contestatigli alla stregua delle dichiarazioni rese da L.T. G.M.A. R.I. , C.M., F.D.A. e N. (questi ultimi due intestatari fittizi), nonché di altri fatti oggettivamente accertati (pag. 4 ordinanza).

3. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione, argomentando dalla negativa personalità dell’indagato, dai suoi ininterrotti legami con la famiglia A. (a cui favore aveva prestato la propria attività professionale per le operazioni per cui è processo), nonché dalle pendenze giudiziarie (rinvio a giudizio per bancarotta).

4. Contro la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

4.1. In relazione ai capi d’incolpazione sub 1-2 (intestazione fittizia), la difesa ha sostenuto che il Tribunale aveva «trascurato come le società, fin dalla loro costituzione (2004-2008-2012) fossero già intestate a soggetti diversi dall’A.M.» e che tale circostanza fosse ben nota anche ad altri professionisti che avevano prestato la propria attività in favore dell’A. il quale, peraltro, «era ben consapevole delle proprie azioni e non aveva alcun bisogno di avere suggerimenti in merito alle operazioni da porre in essere per trasferire il proprio patrimonio».

Inoltre, non era stato provato il dolo specifico e cioè di avere agito con lo specifico fine di far eludere all’A. le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale.

4.2. In relazione ai capi d’incolpazione sub 10-12-16 (concorso in auto riciclaggio), ad avviso della difesa, «nessuna delle operazioni contestate dalla Procura […..] ossia le condotte prodromiche a reperire le somme di denaro da reinvestire nelle aste, può essere attribuita» sia perché sarebbe rimasta traccia dell’operato in queste operazioni, sia perché le suddette operazioni venivano svolte dal solo A. ed altre persone a lui vicine.

L’indagato, quindi, non avrebbe avuto alcun ruolo attivo nelle operazioni di auto riciclaggio, né aveva alcun «obbligo di verificare la provenienza delle somme utilizzate per partecipare all’asta, essendosi occupato unicamente di dare indicazioni tecniche circa le modalità di partecipazione e compilando i relativi moduli». Inoltre, a tutto concedere, la condotta contestata non aveva alcuna capacità dissinnulatoria tant’è che gli stessi istituti di credito, seppure tardivamente, effettuarono la segnalazione antiriciclaggio.

Infine, la difesa contesta che nella condotta tenuta dall’indagato fosse ravvisabile il dolo eventuale come prospettato, seppure in subordine, dal Tribunale.

4.3. In relazione alle esigenze cautelari, la difesa ha contestato la sussistenza del criterio di attualità sia perché il giudizio del tribunale si era fondato su un giudizio ipotetico (“qualora se ne ripresentasse l’occasione”), sia
perché le società riconducibili all’A. (nei cui confronti erano stati applicati gli arresti domiciliari) e alla sua famiglia erano state tutte sequestrate (o, comunque, le richieste di sequestro erano state respinte).

4.4. Infine, la difesa, ha sostenuto l’omessa motivazione in ordine alla durata della misura cautelare fissata nel massimo di legge e cioè in mesi dodici.

RITENUTO IN DIRITTO

1. I gravi indizi di colpevolezza.

Come risulta da quanto illustrato nella presente parte narrativa, tutto lo sforzo difensivo si è concentrato nel cercare di dimostrare l’infondatezza della tesi sostenuta dal Tribunale.

Sul punto, si rammenta che, gli unici vizi attinenti alla motivazione che possono essere denunciati in sede di legittimità, sono i vizi di manifesta illogicità e/o di contraddittorietà della motivazione.

Nella fattispecie in esame, il ricorrente, lungi dal censurare ed evidenziare in quale parte della motivazione il tribunale sarebbe incorso nei suddetti vizi, si è limitato a contestare, nel merito, la motivazione offrendo una alternativa versione dei fatti senza, però, spendere una sola parola sui puntuali elementi probatori indicati dal tribunale a sostegno della tesi accusatoria e, cioè, sulle dichiarazioni rese sia dalle persone informate sui fatti sia dagli stessi coindagati che, in modo univoco e concorde, avevano affermato che il M. era stato l’ideatore di tutti i meccanismi interpositori e, poi, di quelli di (auto)riciclaggio.

Irrilevante è la tesi difensiva secondo la quale anche altri professionisti erano a conoscenza del fatto che L’A. fosse il vero dominus dei beni intestati fittiziamente: infatti, è ovvio che la suddetta circostanza, quand’anche
vera, non sarebbe sufficiente ad esimere il ricorrente dalle proprie responsabilità.

Anche la circostanza secondo la quale l’A., «era ben consapevole delle proprie azioni e non aveva alcun bisogno di avere suggerimenti in merito alle operazioni da porre in essere per trasferire il proprio patrimonio», è di poco momento: è lo stesso Tribunale che non dubita di tale circostanza, tant’è che afferma che «i due agivano e decidevano insieme la strategia delle società, essendoci tra loro un rapporto stretto, di amicizia» (pag. 4 ordinanza impugnata): nel che si configura, appunto, il concorso.

Infine, l’argomento difensivo secondo il quale la condotta contestata non aveva alcuna capacità dissimulatoria tant’è che gli stessi istituti di credito, seppure tardivamente, effettuarono la segnalazione antiriciclaggio, va ritenuto manifestamente infondato per la semplice ragione che, a seguire la tesi del ricorrente, dovrebbero essere perseguibili solo quelle condotte così sofisticate da renderle, paradossalmente, non accertabili neppure a seguito di indagini e, quindi, in concreto, non perseguibili.

In conclusione, le censure dedotte in ordine alla sussistenza dei gravi indizi per tutti i reati contestati, devono ritenersi manifestamente infondate in quanto del tutto aspecifiche a fronte della puntuale e concisa motivazione addotta dal tribunale.

2. Le esigenze cautelari.

Anche la suddetta censura va ritenuta manifestamente infondata.

In ordine alla concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione, va preliminarmente osservato che la misura cautelare (divieto di esercitare la professione di commercialista) va rapportata, appunto, alla professione svolta dal ricorrente ed alla natura dei reati contestati che sono stati ideati ed attuati dal ricorrente proprio in virtù della sua preparazione professionale: quindi, non l’opera di un improvvisato quisque de populo, ma l’opera di un professionista che, attingendo al proprio bagaglio professionale, aveva consigliato all’A. gli escamotages per sfuggire ai rigori della legge.

Corretta ed incensurabile, quindi, deve ritenersi la decisione del Tribunale – fondata peraltro, anche su un grave carico pendente della stessa natura giuridica e sul comportamento tenuto dal ricorrente che ben si guardò dall’effettuare la segnalazione prevista dalla normativa antiriciclaggio – nella parte in cui ha paventato il pericolo che il ricorrente «possa adottare, in ogni futura occasione professionale che gli si presenterà, comportamenti illeciti e lesivi del corretto esercizio della professione».

Incensurabile, poi, deve ritenersi l’affermazione del Tribunale anche nella parte in cui ha ritenuto – sulla base di precisi dati fattuali (pag. 6) – gli attuali legami del ricorrente con la famiglia A. e l’attualità delle condotte criminose (distruzione della documentazione delle società avvenuta nella primavera del 2017).

Quanto, infine, alla durata della misura cautelare, non è vero che il Tribunale non abbia motivato. Infatti, nell’ordinanza impugnata si legge: «sulla base dei suddetti elementi si ritiene che sussistano i requisiti per disporre a carico di M.S. la misura richiesta dell’interdizione dalla professione per il massimo tempo consentito»: la suddetta decisione, quindi, basata sulla quantità e qualità commessi nell’ambito dell’attività professionale, non si presta ad alcuna censura in sede di legittimità.

3. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018.