Delitto di Erba: i coniugi chiedono la revisione del processo. Negata (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 8 ottobre 2018, n. 44181)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

ROMANO OLINDO nato a Albaredo per San Marco il xx/xx/xxxx e BAZZI ROSA nata a ERBA il xx/xx/xxxx

avverso l’ordinanza del 16/01/2018 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe DE MARZO;

lette le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Massimo Galli il quale ha concluso per l’annullamento con rinvio.

Ritenuto in fatto

1. Decidendo a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla I sezione di questa Corte, con sentenza n. 40917 del 05/04/2017, la Corte d’appello di Brescia, con ordinanza del 16/01 – 30/01/2018, ha dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio proposta nell’interesse di Olindo Romano e di Rosa Bazzi, condannati alla pena dell’ergastolo per omicidio, e finalizzata ad un eventuale richiesta di revisione.

2. La Corte territoriale ha ritenuto:

a) che la sentenza di annullamento con rinvio, nell’individuare la competenza della Corte d’appello di Brescia, non aveva in alcun modo precluso il vaglio di ammissibilità della richiesta, da operarsi in relazione all’art. 631 cod proc. pen.;

b) che, con riferimento ai reperti già esaminati, non era stata neanche prospettata la rilevanza degli accertamenti tecnici richiesti, rispetto al materiale probatorio valorizzato ai fini della condanna;

c) che, in particolare, non era stato indicato in che modo la presenza di tracce biologiche, in ipotesi riconducibili a soggetti diversi dalle vittime, dai loro congiunti che frequentavano la casa per motivi leciti, dai condannati e dai soggetti intervenuti per i soccorsi e gli accertamenti di polizia, avrebbe potuto scardinare l’impianto motivazionale che aveva condotto all’affermazione di responsabilità;

d) che tali conclusioni erano valide anche in relazione alla richiesta prova peritale (Bloodstain Pattern Analisys: BPA), sulle tracce di sangue rinvenute sulla tenda dell’abitazione dove era morta la Cherubini;

e) che, peraltro, la richiesta di rinnovazione istruttoria formulata nel processo di appello non aveva avuto ad oggetto le indagini oggetto della richiesta di incidente probatorio.

3. Nell’interesse del Romano e della Bazzi è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.

3.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza degli artt. 627, commi 3 e 4, 327-bis, comma 2, 391-bis„ comma 11, cod. proc. pen., rilevando:

a) che la Corte d’appello si era sottratta all’obbligo di uniformarsi alla decisione della Corte di Cassazione, fondata sul disposto nell’art. 327-bis, comma 2, cod. proc. pen., che consente lo svolgimento dell’attività investigativa del difensore anche per promuovere il giudizio di revisione, attraverso l’applicazione della disciplina dettata dagli art. 391-bis e ss. cod. proc. pen.

3.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza dell’art. 627, commi 3 e 4, cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente una causa di inammissibilità ormai non più rilevabile, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione e avere fatto riferimento ad un parametro normativo, l’art. 631 cod. proc. pen., privo di concludenza, in quanto il giudizio di revisione non era stato proposto.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa.

Diviene pertanto necessario ricostruire la portata della decisione assunta dalla I sezione di questa Corte, che era stata investita dal ricorso proposto avverso l’ordinanza del 21/04/2016 con la quale la Corte d’appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile l’istanza di incidente probatorio formulata nell’interesse degli odierni ricorrenti.

In particolare, la Corte d’appello aveva ritenuto che le analisi degli estratti del DNA e dei reperti giacenti presso l’università di Pavia e presso il RIS di Parma costituissero attività solo prodromiche alla richiesta di revisione, con la conseguenza che gli istanti avrebbero dovuto rivolgersi al giudice dell’esecuzione, ossia alla Corte d’assise di Como.

La sentenza n. 40917 del 05/04/2017 ha rilevato che la richiesta proposta nell’interesse del Romano e della Bazzi era fondata sull’art. 327-bis cod. proc. pen, e mirava allo svolgimento di un incidente probatorio, con la conseguenza che la competenza apparteneva al giudice individuato ai sensi dell’art. 633 cod. proc. pen., in applicazione del principio per il quale il legislatore ha inteso sottrarre la decisione al distretto nel quale è stata pronunziata la sentenza da sottoporre a revisione.

In definitiva, la I sezione di questa Corte, pur in assenza di una esplicita declinatoria di competenza, si è occupata della ricostruzione della portata della richiesta concretamente formulata, al fine di individuare il giudice competente a delibarla.

È solo in tale prospettiva che è stato richiamato il precedente di questa Corte — seguito, infatti, ad un conflitto di competenza – secondo il quale spetta al giudice della revisione l’assunzione in incidente probatorio della testimonianza che la difesa non abbia potuto raccogliere in vista della richiesta di revisione (Sez. 1, n. 15433 dei 24/02/2010, Ferrera, Rv. 247239).

Ne discende che la Corte d’appello di Brescia, nel momento in cui, sulla premessa della propria competenza, ha individuato una autonoma causa di inammissibilità, non ha violato alcun principio di diritto discendente dalla sentenza di annullamento con rinvio, che le avrebbe imposto di accedere alla richiesta formulata.

È appena il caso di rilevare che le dichiarazioni rese dal Presidente del collegio e dai Procuratore generale presso la Corte d’appello evidentemente non hanno alcuna efficacia vincolante in ordine alla ricostruzione del decisum di Cass. 40917 del 2017. E, del resto, esse hanno carattere assertivo e non si accompagnano ad alcuna argomentazione idonea a scardinare le superiori considerazioni.

2. Infondato è anche il secondo motivo, dal momento che la pronuncia della I sezione di questa Corte, essendosi occupata di una questione preliminare, concernente, nella sostanza, l’individuazione del giudice competente a delibare la richiesta formulata ed unitariamente intesa (anziché artificiosamente frazionata), ha lasciato del tutto impregiudicata la valutazione di ammissibilità della stessa.

Deve, pertanto, escludersi che “nei precedenti giudizi” si siano “verificate” inammissibilità destinate a rimanere coperte dalla decisione di annullamento con rinvio.

Quanto, poi, al riferimento, da parte dell’ordinanza impugnata al parametro di cui all’art. 631 cod. proc. pen., rileva questa Corte che il richiamo, pur erroneo, non ha avuto influenza decisiva sulla decisione, la cui motivazione va specificata nei termini seguenti.

Invero, la possibilità di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova (art. 327-bis, comma 1, cod. proc. pen.), anche al fine di promuovere il giudizio di revisione (art. 327 -bis, comma 3, cod. proc. pen.), implica all’evidenza che le attività possano avere carattere esplorativo e non debbano essere circoscritte ai soli casi nei quali gli elementi – la cui stessa esistenza non è nota nel momento in cui si agisce – abbiano con sicurezza o ragionevole certezza l’idoneità a fondare un giudizio di revisione.

Tuttavia, siffatta libertà di ricerca esprime una proiezione del diritto di difesa individuale e interseca l’intervento dell’autorità giudiziaria solo nei casi nei quali il legislatore lo ritenga necessario.

Il ricorso alle forme dell’incidente probatorio, ai sensi dell’art. 391-bis, comma 11, cod. proc. pen. scaturisce dalla necessità di superare, attraverso le garanzie giurisdizionali, l’esercizio della facoltà di non rispondere o di non rendere dichiarazioni (art. 391-bis, comma 3, lett. d), da parte delle persone in grado di riferire circostanze utili.

La possibilità di un’applicazione analogica della previsione agli accertamenti tecnici non riposa su alcun fondamento positivo, mancando il fondamentale presupposto della lacuna normativa.

Invero, la disciplina sulle indagini difensive consente e regolamenta siffatti accertamenti, anche quando abbiano carattere di non ripetibilità, attraverso l’art. 391 -decies, commi 2, 3 e 4, cod. proc. pen., e si accompagna alla necessità di un avviso al p.m., perché possa esercitare le facoltà previste dall’art. 360 del codice di rito.

Ne discende che l’irripetibilità degli accertamenti non rappresenta alcun ostacolo sia all’autorizzazione all’accesso ai reperti sia allo svolgimento delle indagini tecniche necessarie, ferme le garanzie del contraddittorio appena ricordate.

In tale contesto, la richiesta di incidente probatorio deve essere ritenuta inammissibile, così come deciso dal provvedimento impugnato, anche se con argomentazioni non rispondenti alla disciplina normativa.

3. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il giorno 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il giorno 4 ottobre 2018.

SENTENZA – copia non ufficiale.pdf