REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano – Presidente
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Rel. Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di Leo Giovanni, nato a OMISSIS il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 13/06/2019 della Corte di appello di Catania;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gaetano De Amicis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, avvocato Giuseppe Russotto, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 giugno 2019 la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza di primo grado, che dichiarava Giovanni Di Leo, nella sua qualità di dirigente medico del Presidio ospedaliero di Niscemi (reparto di ostetricia e ginecologia), responsabile del reato di peculato continuato commesso fino alla data del 20 luglio 2010 e, previa concessione delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., lo condannava, unificati i diversi episodi sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anno uno e mesi cinque di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile Azienda sanitaria provinciale di Caltanissetta.
2. I Giudici di merito hanno ritenuto il predetto imputato responsabile del reato di peculato, commesso fino alla su indicata data di accertamento, per essersi egli appropriato, nella qualità di incaricato di pubblico servizio, di somme di denaro (di importo oscillante fra i 50,00 e i 200,00 euro) non fatturate e direttamente ricevute da alcune pazienti per le sue prestazioni professionali, omettendone il versamento nelle casse dell’Azienda sanitaria sebbene avesse concordato con il detto Presidio ospedaliero lo svolgimento di attività libero professionale cd. intramoenia in forma “allargata”, consentita dall’art. 72, comma 7, della legge n. 448 del 1998.
3. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo in primo luogo violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilità sotto il profilo della carenza dell’elemento psicologico, atteso che le risultanze dell’istruttoria dibattimentale hanno dimostrato che solo in tre casi, a fronte di circa seicento interventi, si sarebbe verificata la condotta di ritenzione di somme di denaro per un valore complessivo pari alla somma di trecento euro.
3.1. Con un secondo motivo di doglianza si lamenta l’omessa applicazione della regola di cui all’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice l’obbligo di valutare l’adeguatezza e coerenza della prova assunta ai fini della decisione di colpevolezza: obbligo, questo, non assolto dalla prima sentenza, cui anche la sentenza di appello apoditticamente si è riportata.
3.2. Con un terzo motivo, infine, si lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., tenuto conto della natura colposa della condotta e della esiguità del danno che ne è derivato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto, non avendo la Corte d’appello compiutamente esaminato in sede di gravame le ragioni di doglianza ivi prospettate, in punto di fatto, con riguardo alla configurabilità dell’elemento psicologico del reato.
2. Il ricorrente aveva dedotto l’occasionalità della condotta allegando il fatto che, a fronte del volume complessivo dei casi esaminati, l’omissione del versamento dei compensi percepiti nell’intero – ed assai esteso – lasso temporale preso in considerazione corrisponderebbe, in termini percentuali, alla misura del solo 0,50% dei casi trattati.
La correlativa deduzione di occasionalità della condotta delittuosa poggiava sul rilievo che, essendosi in presenza di una mera negligenza, avrebbe dovuto essere esclusa la stessa coscienza e volontà della condotta appropriativa dell’altrui denaro, tenuto conto dell’esiguità delle somme di denaro non versate, del fatto che, alla luce delle risultanze dibattimentali, solo tre pazienti hanno dichiarato di aver saldato quanto dovuto senza ricevere alcuna fattura per le somme corrisposte e dell’assenza di adeguati riscontri sul comportamento dall’imputato tenuto in relazione ai compensi percepiti dalle numerose altre pazienti che hanno ricevuto le sue prestazioni professionali nel corso dell’intero arco temporale fatto oggetto della relativa indagine interna.
A tali deduzioni, per vero, la sentenza impugnata ha dato una risposta contraddittoria, da un lato ammettendo l’assenza di qualsiasi elemento di riscontro, in un senso o nell’altro, per tutti gli altri nominativi dell’elenco delle pazienti visitate, dall’altro lato non escludendo, illogicamente, la presenza dell’eventuale riscontro di anomalie in tali casi.
Né, come fondatamente affermato nel ricorso, è possibile travisare il contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputato, ricavandone erroneamente un’implicita ammissione di responsabilità sotto il profilo del dolo, dalla difesa peraltro specificamente contestato, per essersi egli limitato ad affermare, in sede di esame, che “può capitare”, trattandosi di “tre persone in tre anni”, di omettere il versamento di quanto ricevuto, tenuto altresì conto che in termini percentuali la relativa omissione corrisponderebbe, come sopra evidenziato, ad una misura quasi insignificante dei casi complessivamente trattati.
3. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, s’impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, affinchè la Corte d’appello in dispositivo indicata, nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, provveda ad eliminare i vizi motivazionali sopra rilevati, logicamente dovendosi ritenere assorbito, allo stato, l’ultimo dei profili di doglianza in ricorso enucleati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania.
Così deciso il 4 febbraio 2020.
Si dà atto che il presente provvedimento viene sottoscritto dal Consigliere anziano del Collegio, per impedimento alla firma del Presidente ai sensi dell’art. 546 comma 2 c.p.p.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2020.