Legittima la confisca di un’opera d’arte appartenente allo Stato italiano anche se il bene è stato trafugato da ignoti (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 2 aprile 2020, n. 11269).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

Dott. Gianni Filippo Reynaud – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

THE PIERPONT MORGAN LIBRARY;

avverso l’ordinanza del 31/10/2017 del GIP TRIBUNALE di MACERATA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.  Gastone ANDREAZZA;

sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in qualità di Procuratore generale Dott.ssa Roberta Maria BARBERINI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore presente avv. Rodontini Antonio, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Pierpont Morgan Library, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore Sig. Colin Barry Bailey, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Macerata in funzione di Giudice dell’esecuzione in data 10/06/2019, che, su opposizione (così qualificato da questa Corte l’originario ricorso per cassazione) del Procuratore della Repubblica presso detto Tribunale, al provvedimento di rigetto adottato con contestuale decreto di archiviazione per i reati di cui agli artt. 624, 625, 648 cod. pen. nonché 174 del d.lgs. n. 42 del 2004, commesso da ignoti, ha disposto la confisca del “Messale Sacramentario di San Domenico Loricato” attualmente detenuto dalla Biblioteca Pierpont Morgan Library di New York.

2. Con il primo motivo lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione di norme giuridiche in relazione agli artt. 240, comma 3, cod. pen. e 174, comma 3, del d. Igs. n. 42 del 2004 nella parte in cui, disattendendo la previsione per cui la confisca non opera in caso di appartenenza del bene al terzo estraneo al reato, ha presuntivamente ritenuto il bene in oggetto appartenente al patrimonio statale e, in quanto tale, incommerciabile senza considerare l’ipotesi eccezionale di dominio privato prevalente per legge;

in sostanza il Tribunale avrebbe, in via arbitraria e con un’operazione ermeneutica creativa rispetto alla interpretazione normativa letterale, alla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, ristretto la portata applicativa delle disposizioni richiamate e conseguentemente irragionevolmente sacrificato le tutele garantite al terzo estraneo.

3. Con il secondo motivo eccepisce la nullità dell’ordinanza impugnata per carenza di motivazione essendosi il Tribunale adagiato sulle argomentazioni addotte dal P.M. opponente omettendo il riscontro dei rilievi sollevati con la memoria depositata in data 14/03/17, ingenerando così la mancanza di una replica conferente alle obiezioni del terzo estraneo, in particolare quanto all’argomento del “regresso all’infinito” e della conseguente prova diabolica che graverebbe sul terzo in buona fede.

Come dimostra la giurisprudenza granitica sul punto, l’omesso e ingiustificato esame delle deduzioni difensive, oltre a valere come causa di nullità del provvedimento impugnato in sede di gravame per diretta violazione del diritto di difendersi provando, può “influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione”.

L’organo giudicante, affermando poi la carenza della prova documentale della buona fede, avrebbe trascurato di considerare che la circostanza della avvenuta messa all’asta del bene, riferita dalla Morgan Library, avrebbe trovato corrispondenza in quanto già riferito dal querelante Paciaroni, non essendo stato peraltro individuato da alcuno il collezionista che si aggiudicò il Sacramentarlo all’asta.

4. Con il terzo motivo deduce la illogicità della motivazione dell’ordinanza: – nella parte in cui fa derivare dall’accertamento della condotta illecita di esportazione, mancando i documenti che attestino l’acquisto del Messale da parte di Rosenthal e di Schab, la inevitabile impossibilità, per il terzo estraneo, di sottrarsi alla confisca;

– nella parte in cui avrebbe indebitamente sovrapposto i due profili della non estraneità al reato e dell’assenza di buona fede, che costituirebbero invece due concetti autonomi, e per avere ignorato che il tema della buona fede rileva solo se il terzo non possa dirsi estraneo al reato, che è requisito principale ed assorbente di ogni altro, secondo la pronuncia di Sez. U. Bacherotti;

– nella parte in cui formula un giudizio di malafede nei confronti della Pierpont Morgan Library esclusivamente fondato sull’assenza di prova documentale e non su valutazioni circa l’insussistenza di una condizione di estraneità rispetto al reato.

5. Con il quarto motivo deduce la nullità dell’ordinanza, in relazione agli artt. 24 Cost. e 1153 cod. civ. a fronte di una palese violazione del diritto di difesa e di una inammissibile pro batio diabolica legittimante il c.d. regresso all’infinito venendo richiesta, al terzo estraneo, la prova dei singoli passaggi di proprietà del Sacramentario (anche risalenti nel tempo) al fine di dimostrare la propria buona fede ed estraneità rispetto al reato. In altri termini, il limite all’obbligatorietà della confisca a favore dei terzi estranei al reato opererebbe solo quando questi dimostrino di avere acquistato ignorando la illiceità della res e di non essere incorsi in qualche difetto di vigilanza, ciò che avrebbe fatto la ricorrente a fronte del titolo legittimo e idoneo al trasferimento, ovvero l’atto donativo, senza che vi potessero essere elementi di sospetto.

6. Con il quinto motivo di ricorso eccepisce la nullità dell’ordinanza, in relazione all’art. 578 bis cod. proc. pen. avendo la Corte territoriale disposto la confisca in oggetto, riconducibile al genus indicato in tale norma codicistica e avente natura non sanzionatoria ma recuperatoria, in assenza di pronuncia di condanna o comunque in mancanza del necessario accertamento in ordine alla sussistenza del reato nella sua materialità e nel suo coefficiente psicologico.

7. Con l’ultimo motivo si eccepisce la nullità dell’ordinanza per error in procedendo a fronte del palese contrasto di conclusioni con il precedente decreto di rigetto della confisca pur a fronte degli stessi presupposti fattuali, con conseguente violazione del divieto di doppio giudizio. Il cambio di rotta espresso nell’ordinanza impugnata, rispetto al decreto di rigetto che affondava le sue radici nella assoluta estraneità della Morgan Library, sarebbe inoltre del tutto immotivato a fronte di un quadro storico-probatorio immutato e, perciò, foriero di un error in procedendo consistente nell’assenza di una struttura motivazionale nuova, autonoma e tale da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sono anzitutto inammissibili il quinto e sesto motivo, in realtà pregiudiziali logicamente rispetto ai restanti perché introduttivi di questioni che, se risolte nel senso richiesto dalla ricorrente, dovrebbero già di per stesse condurre ad annullare il provvedimento impugnato.

1.1. Quanto al quinto motivo, con cui si lamenta la violazione dell’art. 578 bis cod. proc. pen. ad opera dell’ordinanza del Tribunale di Macerata, basterebbe osservare che dalla stessa ordinanza impugnata non risulta che mai, con l’atto di opposizione, sia stata fatta questione circa l’accertamento della sussistenza dei reati per i quali è intervenuta la confisca, con conseguente inammissibilità ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen.

Va infatti ribadito che, con riferimento all’ incidente di esecuzione, cui il principio di cui all’art. 606, comma 3, cit. è applicabile per identità di ratio, il ricorso per cassazione non può devolvere questioni diverse da quelle proposte con la richiesta e sulle quali il giudice di merito non sia stato chiamato a decidere (Sez. 1, n. 9780 del 11/01/2017, Badalamenti, Rv. 269421; Sez. 5, n. 9 del 04/01/2000, Perrone, Rv. 215976), essendosi peraltro anche precisato che da tale inammissibilità non potrebbe comunque derivare, in concreto, lesione alcuna per la parte, che ben potrebbe far valere la diversa questione con altra richiesta, dal momento che il divieto del “bis in idem” non opera per le nuove istanze, fondate su presupposti di fatto e motivi di diritto prima non prospettati.

Va comunque aggiunto che la norma, peraltro entrata in vigore solo successivamente all’ordinanza impugnata, non potrebbe in realtà, essendo collocata all’interno del libro IX del codice di rito relativo alle “impugnazioni”, in alcun modo riferirsi alla fase esecutiva.

In ogni caso, anche prescindendosi dal formale riferimento a tale disposizione operato col motivo, l’assunto per cui la confisca nella specie disposta sarebbe illegittima perché operata in assenza di pronuncia di condanna si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte in ordine alla riconosciuta possibilità di disporre la confisca obbligatoria anche con il decreto di archiviazione pronunciato per cause che, come nella specie, non attengano alla sussistenza del fatto ed al rapporto con il soggetto autore dello stesso (Sez. 3, n. 28508 del 04/06/2009, Vedani, Rv.244780), tanto più in quanto, in caso di illecito trasferimento all’estero di cose di interesse storico o artistico, la confisca prevista dall’art. 174 del D.Lgs. n. 42 del 2004, deve essere obbligatoriamente disposta, salvo appunto che la cosa appartenga a persona estranea al reato, anche se il privato non sia responsabile dell’illecito o comunque non abbia riportato condanna, trattandosi di misura recuperatoria di carattere amministrativo la cui applicazione è rimessa al giudice penale a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale (da ultimo, Sez. 3, n. 19692 del 21/03/2018, Gour, Rv. 272870).

Peraltro, la ordinanza impugnata dà atto per tabulas dell’avvenuto illecito trasferimento all’estero del Sacramentario rubato e, dunque, dell’integrazione del reato, di cui tuttavia non si sono accertati gli autori, di cui all’art. 174 cit..

1.2. In ordine poi al sesto motivo, è del tutto infondata la prospettazione difensiva, secondo cui, essendo l’oggetto del giudizio di opposizione immutato rispetto a quello del primo pronunciamento di rigetto della richiesta di confisca (coinciderebbero infatti i soggetti, le condotte, l’oggetto materiale della vicenda e le condizioni di tempo e luogo dell’accadimento), nessuna diversa valutazione sarebbe consentita al giudice dell’opposizione, pena la violazione del principio del ne bis in idem.

Assunta nella sua assolutezza, una tale pretesa condurrebbe infatti, a ben vedere, a negare la stessa ragione di previsione dell’esperibilità di mezzi di gravame, conclusione, questa, evidentemente, del tutto contrastante con la logica, connaturata all’ordinamento processuale penale, dell’approssimazione, per gradi, e nel contraddittorio delle parti, all’accertamento della verità processuale.

Ed infatti la previsione del ne bis in idem vuole vietare non già che, nelle diverse fasi e gradi del medesimo procedimento, si possa pervenire, sugli stessi fatti, a diverse valutazioni, bensì che, una volta definito il giudizio, su di essi non se ne possa iniziare uno nuovo e diverso.

Sicché il punto non è, evidentemente, la possibilità o meno di un diverso epilogo in sede dì opposizione, quanto, piuttosto, che di tale diverso epilogo il giudice dia adeguata motivazione confrontandosi con le decisioni prese nel provvedimento “opposto”, tematica, questa, da valutarsi, allora, nell’ambito delle censure poste nel secondo, terzo e quarto motivo di cui si dirà più oltre.

2. Venendo dunque, ai restanti motivi, il primo è, in sé, inammissibile perché, seppure fondato nel pretendere come erronea l’affermazione in astratto della impossibilità che, in via di principio, i beni culturali appartengano a privati, non è in realtà decisivo se rapportato, in concreto, alle ragioni che hanno condotto l’ordinanza impugnata a disporre la confisca, svincolate a ben vedere da detta affermazione.

E’ in effetti improprio affermare, nei termini assoluti impiegati, in un passaggio, dall’ordinanza impugnata, che i beni richiamati dall’art. 174 comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, in quanto incommerciabili in modo assoluto, non possano essere “appartenenti” ad un privato giacché una acquisizione del bene che avvenisse in violazione della specifica normativa di tutela anche costituzionale di detto bene non potrebbe mai dirsi perfezionata;a smentire un tale radicale assunto sarebbe sufficiente osservare che è, in realtà, lo stesso art. 174 comma 3 cit., nel regolamentare la possibile deroga alla confisca obbligatoria, a contemplare come possibile l’appartenenza di dette cose ad un terzo, purché estraneo al reato.

E’ in altri termini la stessa previsione relativa alla confisca ad escludere che la stessa possa operare laddove, appunto, il bene appartenga “a persona estranea al reato”, tanto essendo sufficiente, anche a prescindere dalla non coincidenza di tale “appartenenza” con le categorie civilistiche di acquisto del diritto di proprietà, a comportare di fatto la prevalenza, in tal caso, della aspettativa (se anche così solo la si voglia definire) del terzo privato sul diritto di proprietà dello Stato.

Sicché, come evidente, il punto dirimente non è tanto la possibilità che i beni culturali possano, in un senso anche atecnico, appartenere ad un terzo privato (una diversa lettura comporterebbe, per quanto appena detto, una interpretatio abrogans dello stesso comma 3, che, se fosse vera l’impostazione sul punto dell’ordinanza, non avrebbe senso alcuno), quanto la necessità, affinché tali beni siano sottratti alla confisca, che detto terzo sia appunto estraneo al reato, ciò che, tuttavia, come si vedrà oltre, l’ordinanza impugnata ha motivatamente escluso.

Di qui, dunque, come anticipato, la mancanza di decisività della doglianza posta quale necessario requisito di ammissibilità del motivo di ricorso.

3. Il secondo, terzo e quarto motivo, esaminabili congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Indiscussa la appartenenza del bene de quo alla categoria dei beni culturali, rispetto ai quali, per quanto costantemente affermato da questa Corte, sussiste una presunzione di proprietà statale chiaramente desumibile dalla disciplina della legge n. 42 del 2004 (tra le altre, in tal senso, Sez. 3, n. 42458 del 10/06/2015, Almagià, Rv. 265046), come già osservato sopra, in tanto la confisca obbligatoria del bene non può operare in quanto risulti la estraneità del terzo rispetto al reato di illecito trasferimento all’estero.

Va allora ricordato che, quanto alla nozione di “estraneità al reato”, questa Corte ha più volte affermato che non può considerarsi estraneo al reato non solo chi abbia posto in essere un contributo di partecipazione o di concorso allo stesso, ma anche chi abbia ricavato vantaggi ed utilità da esso, ovvero qualsiasi giovamento dalla sua commissione, per tale dovendosi intendere qualsivoglia condizione di favore anche non materiale, derivante dal fatto costituente reato (Sez. 3, n. 22 del 30/11/2018, Clark, Rv. 274745; in motivazione, Sez. U., n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, Rv. 213510); allo stesso tempo, tuttavia, deve restare fermo il limite, che solo consente di ritenere compatibili le previsioni derogatorie incentrate su tale stretta nozione con l’art. 27, comma 1, Cost., secondo quanto anche affermato da Corte cost. n. 2 del 1987, rappresentato dalla connotazione soggettiva della “buona fede” del terzo, ovvero, come testualmente affermato dalle Sezioni Unite, dalla «non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso» (Sez. U., n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, cit.).

Di qui, sempre secondo la pronuncia delle Sezioni Unite appena ricordata, l’ulteriore affermazione circa l’onere del terzo di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, ovvero di dare la dimostrazione di tutti gli elementi concorrenti ad integrare le condizioni di “appartenenza” e di “estraneità al reato”, dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato; al terzo deve fare carico, pertanto, in particolare, l’onere della prova, nell’ipotesi di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa, dell’affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza.

3.1. Se tali, dunque, sono i parametri ai quali deve rapportarsi la valutazione del giudice, corretta appare la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove, sia pure leggendo la disposizione dell’art. 174, comma 3, cit., nella maniera impropria già ricordata sopra sub § 1, ha tuttavia, con motivazione non sindacabile perché non certo illogica, ritenuto non confortata da documenti oggettivi, a fronte di un bene dotato di caratteristiche che potevano ricondurre il Sacramentario ad una categoria assoggettata ad una speciale tutela, la invocata buona fede della Biblioteca.

Si è infatti ritenuto motivatamente insufficiente, a fronte del fatto che gli unici dati documentali disponibili collocano il bene, rubato nel 1926, nel settembre del 1931 in Svizzera (come attestato da pubblicazione nel catalogo di vendita della galleria Fischer di Lucerna) e, successivamente, nel 1963, già negli Stati Uniti (come attestato dalla sua presenza nella collezione provata William S. Glazier) per poi essere, dagli amministratori fiduciari di tale collezione, dapprima posto in deposito e poi donato nel 1984 per testamento alla Pierpont Morgan Library, un preteso stato di buona fede semplicemente basato sulla “reputazione e probità che il Signor Glazier nutriva nel panorama socio-economico statunitense” in assenza di elementi oggettivamente indicativi di una legittima pregressa acquisizione.

Ciò, tanto più mancando ogni documentazione relativa ai passaggi intermedi del bene come solo riferiti, nelle memorie difensive, da Federick Schab, secondo cui il bene, acquistato all’asta della galleria Fischer dal mercante d’arte Erwin Rosenthal, sarebbe poi da questi stato venduto al padre William Schab e poi, da questi, rivenduto al suddetto William Glazier.

3.2. In definitiva, proprio la natura del bene in oggetto avrebbe dovuto rendere particolarmente penetranti e non invece, come preteso in ricorso, inutilmente vessatorie, le verifiche che si imponevano alla Biblioteca per potere legittimamente opporre la propria buona fede alle pretese dello Stato italiano.

4. Il ricorso va dunque rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 10/12/2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.