REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –
Dott. CATENA Rossella – Consigliere –
Dott. MOROSINI Maria Elisabetta – Consigliere –
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –
Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS) VINCENZO nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;
(OMISSIS) GIUSEPPINA nata a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 07/05/2018 della CORTE APPELLO di GENOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MATILDE BRANCACCIO;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per nuovo esame limitatamente all’applicazione dell’art. 131- bis per (OMISSIS) e l’inammissibilità nel resto per entrambi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Genova ha confermato la sentenza emessa il 28.11.2016 dal Tribunale di Genova con cui Vincenzo (OMISSIS) e (OMISSIS) Giuseppina sono stati condannati alla pena di un mese e dieci giorni di reclusione ciascuno, oltre a 40 euro di multa, in relazione al reato di concorso in tentato furto aggravato di merci varie (tra cui ciabatte, dentifricio e due deodoranti) dal supermercato COOP Negro, sito presso il terminal traghetti di Genova, furto scoperto una volta giunti alle casse.
Agli imputati sono state concesse le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen. equivalenti alle contestate aggravanti di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. (la violenza sulle cose) e della recidiva reiterata specifica infraquinquennale per entrambi.
2. Avverso il provvedimento citato propongono ricorso gli imputati tramite il difensore, avv. Lorenzo Corridori, deducendo due motivi.
2.1. La prima ragione di censura evidenzia violazione di legge e carenza ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. avuto riguardo alle motivazione del provvedimento impugnato secondo cui la violenza sulle cose sarebbe consistita nello staccare l’etichetta dalle ciabatte sottratte, non tenendo conto che le ciabatte non erano provviste di placca antitaccheggio ma solo di un supporto per appenderle allo stand espositivo, che gli imputati per comodità eliminarono e che, recuperato dopo il tentativo di furto, servì a poterle riposizionare.
Nessuna violenza concreta pertanto è provata nel caso di specie: né rotture né danneggiamenti o trasformazioni della res.
2.2. Il secondo motivo di ricorso argomenta violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., escluso dal primo giudice in ragione del fatto che gli imputati erano recidivi reiterati specifici infraquinquennali e confermata l’esclusione dalla Corte d’Appello per l’abitualità dell’agire criminale desumibile dai plurimi precedenti penali.
I ricorrenti, citando giurisprudenza di legittimità, deducono che la disposizione normativa impedisce l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità ai delinquenti abituali ma non ai recidivi, volendo negare l’accesso alla particolare assoluzione delineata dalla tenuità del fatto a chi commetta delitti seriali (e si sottolinea come l’imputata (OMISSIS) non abbia due condanne per furto nel suo curriculum criminale).
Si mette in risalto, infine, la particolare modestia del valore delle cose sottratte ed il fatto che gli imputati versino in una condizione di estrema indigenza economica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Vincenzo (OMISSIS) è complessivamente inammissibile, mentre quello di Giuseppina (OMISSIS) è in parte fondato, in relazione alla censura relativa all’esclusione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., ed è invece inammissibile avuto riguardo al primo motivo di ricorso.
L’atto di impugnazione e gli argomenti difensivi sono comuni ai due ricorrenti, ma, come si preciserà di seguito, il secondo motivo si risolve diversamente in ragione delle differenze relative ai loro precedenti penali.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Deve essere, infatti, precisato che l’aggravante della violenza sulle cose collegata al reato di furto e prevista dall’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo, anche quella posta a difesa o a tutela del suo patrimonio, in modo che per riportare la res oggetto del reato o le sue protezioni ad assolvere alla loro originaria funzione sia necessaria un’attività di ripristino (Sez. 5, n. 7267 del 08/10/2014, dep. 2015, Gravina, Rv. 262547; Sez. 5, n. 641 del 30/10/2013, dep. 2014, Eufrate, Rv. 257949; Sez. 5, n. 24029 del 14/05/2010, dep. 2010, Vigo, Rv. 247302; cfr. anche Sez. 5, n. 20476 del 17/01/2018, Sforzato, Rv. 272705; Sez. 5, n. 53984 del 26/10/2017, Amoroso, Rv. 271889).
In altre parole, affinché possa ritenersi configurata l’aggravante suddetta è necessario che si produca la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o quantomeno una modificazione della sua destinazione d’uso, di tal che sorga l’esigenza di un ripristino fisico, anche minimo, della res così come risultante in seguito alla manomissione o al mutamento di destinazione.
L’aggravante, pertanto, deve ritenersi esclusa qualora l’energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determini una manomissione ma si risolva in una semplice manipolazione che non implichi alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, cui debba seguire la necessità di un’attività di ripristino (Sez. 4, n. 57710 del 13/11/2018, Vales Lukas, Rv. 274771, in una fattispecie relativa alla mera apertura di una serratura, in cui l’aggravante è stata esclusa).
Nel caso di specie, non ci si trova dinanzi ad una mera manipolazione bensì, per la stessa ammissione dei ricorrenti, è provato che venne da loro staccata l’etichetta dalle pantofole poste in vendita nell’esercizio commerciale, sicchè è evidente il verificarsi di una manomissione seguita da un danno e da una rottura, sebbene non riferita alla res oggetto del furto ma ad un suo elemento di contorno, tuttavia utile e necessario alla vendita (quale è, appunto, l’etichetta di confezionamento e marchio).
Altrettanto indubbio è che a tale manomissione debba inevitabilmente seguire il ripristino della res al fine di destinarla nuovamente alla vendita. Correttamente, dunque, è stata ritenuta sussistente l’aggravante prevista dall’art. 61, comma primo, n. 2 cod. pen.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato in relazione alla posizione del ricorrente (OMISSIS) e fondato, invece, nei riguardi di Giuseppina (OMISSIS).
Invero, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266591), ai fini della configurabilità del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.:
– il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame;
– il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione
– nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis cod. pen..
Non vi è dubbio, poi, che recidiva e abitualità nel reato quale presupposto ostativo della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non siano concetti del tutto sovrapponibili.
Ed infatti, le Sezioni Unite hanno precisato che l’intento del legislatore è stato quello di escludere dall’ambito della particolare tenuità del fatto condotte “seriali” ed il tenore letterale della disposizione lascia intendere che l’abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131- bis cod. pen.
Pertanto, solo il terzo illecito della medesima indole dà legalmente luogo alla serialità che osta all’applicazione dell’istituto (cfr. per analoga ricostruzione, Sez. 6, n. 26867 del 28/3/2017, Sciammacca, Rv. 270637; cfr. anche Sez. 3, n. 776 del 4/4/2017, dep. 2018, Del Galdo, Rv. 271863).
3.1. Nel caso di specie, dunque, deve essere valutato se gli imputati si trovino nella condizione giuridica non già di mera recidiva, ma di una recidiva equivalente al concetto di abitualità, per aver già essi commesso due reati della stessa indole di quello in relazione al quale deve essere valutata la configurabilità della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod. pen.
Ebbene, il ricorrente (OMISSIS) risulta avere diversi e numerosi precedenti penali specifici per il reato di furto, che si susseguono con cadenza quasi regolare in un lungo periodo di anni e disegnano con costanza un percorso criminale di sostanziale dedizione a tale reato che implica, all’evidenza, il presupposto ostativo dell’abitualità, letto secondo le indicazioni delle Sezioni Unite Tushaj.
Diversamente, l’imputata (OMISSIS) risulta essere gravata da un solo precedente per furto, come sostenuto dalla difesa, commesso il 15.10.2009, sicché, nei suoi riguardi, la recidiva evocata dai giudici di merito non è idonea a sostenere la decisione di diniego delle condizioni per la sussistenza della causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto e poiché l’argomento del presupposto ostativo dell’abitualità risulta essere l’unico utilizzato dalla Corte d’Appello di Genova a sostegno della sua decisione si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente a tale statuizione.
3.2. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto da Vincenzo (OMISSIS) segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 2.000.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) Giuseppina limitatamente al punto della causa di non punibilità, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Genova.
Dichiara nel resto inammissibile il ricorso di (OMISSIS).
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) Vincenzo e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020.