Omicidio stradale: il Giudice che assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per cassazione (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 21 dicembre 2020, n. 36776).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente – 

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Rel. Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BUCHHOLZ WOLFGANG JOHANNES nato il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 15/01/2019 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Francesca PICARDI;

trattata la causa con le modalità di cui all’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la provvisionale in euro 50.000,00 a favore di ciascuna delle parti civili, confermando nel resto la condanna di Buchholz Wolfgang Jchnes alla pena sospesa di mesi 8 di reclusione, con la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per la durata di un anno, ed, in solido con il responsabile civile, al risarcimento del danno in favore delle parti civili, per il reato di cui all’art. 589 cod.pen. (per avere cagionato il decesso di Fabrizio (omissis), investendolo, mentre, alla guida di un autoarticolato, effettuava una manovra di svolta a destra per immettersi da Via del Brennero in Via San Gimignano, con colpa consistita nel mancato avvistamento del pedone, in Lucca, 20 settembre 2011).

2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, il solo imputato, che ha dedotto:

1) la violazione dell’art. 143, secondo comma, cod.proc.pen. per mancata traduzione delle sentenze di merito in lingua comprensibile all’imputato alloglotta;

2) la nullità della sentenza conseguente a quella dell’avviso ex art. 415-bis cod.proc.pen., dell’avviso di fissazione di udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio per mancata traduzione in una lingua comprensibile all’imputato alloglotta, che sono state eccepite tempestivamente, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, e, cioè, prima della deliberazione della sentenza;

3) la nullità della sentenza, in relazione all’art. 179 o, in subordine, 161, 178, lett c, 180 cod.proc.pen. per omessa citazione dell’imputato per l’udienza preliminare, essendo stato notificato il decreto di fissazione dell’udienza presso il difensore in assenza della relativa elezione di domicilio, come tempestivamente eccepito già all’udienza del 9 giugno 2014 (subito dopo la costituzione delle parti) e del 16 marzo 2016 e, cioè, prima della deliberazione della sentenza di primo grado;

4) l’erronea applicazione dell’art. 429 cod.proc.pen. per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione, con conseguente nullità del decreto che dispone il giudizio e della sentenza, non essendo specificata la norma cautelare violata, come già lamentato all’udienza preliminare;

5) la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, atteso che all’imputato è stato contestato di aver iniziato la manovra di svolta senza avvedersi del pedone, ma in sentenza è stata accertata la violazione dell’art. 154, comma 1, lett. a, cod.strada, che, secondo i giudici di merito, impone di assicurarsi una visione ottimale e, quindi, nella specie di procedere a scatti, ispezionando gli specchietti e ruotando la testa anche oltre la normale posizione di guida;

6) l’inutilizzabilità dell’interrogatorio dell’imputato per violazione degli artt. 64 e 65 cod.proc.pen., non essendo stati formulati correttamente gli avvisi di legge ed essendo stato nominato interprete un assistente della polizia giudiziaria, non iscritto all’albo e coinvolto nelle indagini, ed il vizio di motivazione sul punto;

7) la erronea applicazione degli artt. 41 e 589 cod.pen. ed il vizio di motivazione con riferimento al nesso di causalità, costituendo il comportamento colposo del pedone, il quale ha attraversato in senso diagonale due carreggiate, in assenza di strisce pedonali, un comportamento abnorme, del tutto imprevedibile, che si pone come causa esclusiva dell’evento letale, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, in cui, senza alcuna adeguata motivazione, si è addirittura escluso il concorso colposo della vittima, accertato, invece, dal Tribunale;

8) la violazione degli artt. 43 e 589 cod.pen. con riferimento alla sussistenza della colpa ed il vizio di motivazione sul punto, essendo stato l’elemento soggettivo collegato ad un dovere implicito (quello di assicurarsi una visibilità ottimale durante la svolta), che non è affatto previsto dall’art. 154 cod. strada, come confermato dalla mancata contestazione, da parte della polizia, di alcun addebito all’imputato (che procedeva ad una velocità minima, così da poter essere avvistato da chiunque, e non poteva prevedere il comportamento così imprudente del pedone e, cioè, l’attraversamento con modalità tanto inusuali e avventate, tali da collocarlo fuori dal campo visivo del conducente), mentre, al contrario, sarebbe stata pericolosa la condotta alternativa lecita indicata dai giudici di merito, consistente in una svolta rallentata, con la rotazione della testa e la perdita di visus frontale;

9) l’erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 589, secondo comma, cod.pen. ed il vizio di motivazione sul punto, non essendo stata contestata, nel capo di imputazione, la violazione delle norme della circolazione stradale;

10) la violazione degli artt. 69 e 133 cod.pen. ed il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza della attenuanti generiche sull’aggravante ed all’eccessività della pena, che avrebbe dovuto essere ridotta anche in considerazione del concorso di colpa della vittima, erroneamente escluso dai giudici di appello;

11) la contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine all’entità della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, che risulta incongrua rispetto alla misura della sanzione penale applicata;

12) il vizio di motivazione relativamente alla modifica delle sanzioni civili, essendosi la Corte di appello limitata ad aumentare la provvisionale senza alcuna effettiva giustificazione.

3. Per mera completezza, deve rilevarsi che l’imputato, con il tredicesimo motivo, ha chiesto sospendersi l’esecuzione della condanna civile, istanza già rigettata da questa Corte con provvedimento del 17 dicembre 2019.

4. All’udienza del 23 settembre 2020, stante il deposito fuori termine della sentenza di appello e la mancata notifica dell’avviso di deposito al responsabile civile, la causa è stata rinviata mandando alla cancelleria per la notifica dell’avviso di deposito della sentenza di appello al responsabile civile – adempimento che è stato effettuato.

5. Successivamente il giudizio è stato trattato secondo le modalità di cui all’art. 23, comma 8, d.l. n. 37 del 2020.

La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Risulta, altresì, depositata una memoria delle parti civili, che hanno concluso per il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite da loro sostenute.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. In ordine alla prima censura, con cui si è denunciata la mancata traduzione delle sentenze di merito in lingua comprensibile all’imputato alloglotta, va ribadito che tale omissione non integra un’ipotesi di nullità della sentenza ma, se vi è stata specifica richiesta di traduzione ovvero questa è stata disposta dal giudice, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile e, pertanto, il motivo di impugnazione dedotto sul punto ha l’unico effetto di consentire la regolarizzazione dell’eventuale omissione e rimettere l’imputato in termini (Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019 ud.- dep.07/11/2019, Rv. 277775 – 01).

A ciò si aggiunga che la mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all’imputato alloglotta non integra la nullità prevista dall’art. 178, comma primo, lett. c) cod. proc. pen. – sotto il profilo della lesione recata alla effettiva partecipazione al giudizio e alla completa esplicazione del diritto di difesa – qualora, come avvenuto nel caso in esame, sia stata proposta tempestiva impugnazione da parte del difensore e non siano stati allegati elementi specifici in ordine al pregiudizio derivante dalla omessa traduzione (Sez. 3, n. 22261 del 09/12/2016 ud. – dep.09/05/2017, Rv. 269982 – 01).

Può, inoltre, aggiungersi che, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l’omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all’imputato alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’art. 613 cod. proc. pen., ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione (v. Sez. 5 , n. 15056 del 11/03/2019 ud. – dep. 05/04/2019, Rv. 275103 – 01).

3. La seconda doglianza, che ha ad oggetto la nullità della sentenza conseguente a quella dell’avviso ex art. 415-bis cod.proc.pen., dell’avviso di fissazione di udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio per mancata traduzione in una lingua comprensibile all’imputato alloglotta, è infondata, in quanto la relativa eccezione è stata esattamente ritenuta tardiva dai giudici di merito, trattandosi di nullità a regime intermedio che avrebbe dovuto essere eccepita, per quanto concerne l’avviso ex art. 415-bis e quello di fissazione dell’udienza preliminare, entro la pronuncia del provvedimento di cui all’art. 424 cod.proc.pen., e, per quanto concerne il decreto di rinvio a giudizio, subito dopo l’accertamento, per la prima volta, della costituzione delle parti e prima, pertanto, dell’apertura del dibattimento, come stabilito dall’art. 181, secondo e terzo comma, cod.proc.pen. (v. Sez. 3, n. 37364 del 05/06/2015 ud. – dep. 16/09/2015, Rv. 265186 – 01, secondo cui l’omessa traduzione della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti introduttivi dell’udienza preliminare, ove dovuta nei confronti di imputato straniero del quale sia accertata la non conoscenza della lingua italiana, determina una nullità generale di tipo intermedio, sanata dalla comparizione della parte e dalla mancata tempestiva deduzione).

La relativa censura risulta, peraltro, generica.

4. Le medesime considerazioni valgono anche relativamente alla terza doglianza, concernente la notificazione della citazione dell’imputato per l’udienza preliminare, che è stata eseguita presso il difensore, in assenza – secondo il ricorrente – di una valida elezione di domicilio, in quanto, ai sensi dell’art. 181, secondo comma, cod.proc.pen., le nullità a regime intermedio concernenti gli atti dell’udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento previsto all’articolo 424. In proposito va precisato che la notificazione mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen. anziché presso il domicilio dichiarato o eletto dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017 ud. – dep. 29/12/2017, Rv. 271771 – 01; nello stesso anche Sez. 2, n. 11632 del 09/01/2019 ud.- dep. 15/03/2019, Rv. 276747 – 01, che ribadisce la riconducibilità alla nullità a regime intermedio della notifica eseguita, ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., al difensore di fiducia e non presso il domicilio successivamente eletto dall’imputato, a condizione che la “prima notifica personale” sia andata a buon fine, poiché solo in tale caso può presumersi la circolazione delle informazioni tra imputato e difensore).

5. Il quarto ed il quinto motivo, con cui si è dedotta la genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione e la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, non possono essere accolti.

Invero, come osservato . nella sentenza impugnata, il capo di imputazione descrive esaustivamente, dal punto di vista fattuale, la condotta contestata e i giudici di merito si sono limitati ad individuare la norma cautelare violata.

Sul punto, si è già rilevato che, in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 ud.-dep. 04/02/2014, Rv. 258920 – 01).

A ciò si aggiunga che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013 ud.- dep. 20/12/2013, Rv. 257902 – 01).

Si è anche ritenuto che nei procedimenti per reati colposi, il mutamento dell’imputazione, e la relativa condanna, per colpa generica a fronte dell’originaria formulazione per colpa specifica non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l’imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell’addebito (Sez. 4, n .53455 del 15/11/2018 ud.- dep. 29/11/2018, Rv. 274500 – 02).

6. La sesta censura, avente ad oggetto l’interrogatorio dell’imputato, non si confronta con l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, i quali hanno verificato l’esaustività e completezza degli avvisi di legge rivolti all’imputato ed il mancato coinvolgimento nelle indagini del soggetto nominato quale interprete.

Per mera completezza va sottolineato che il ricorrente non ha dedotto ulteriori ragioni di incapacità o incompatibilità, ai sensi dell’art. 144 cod. proc. pen. dell’interprete nominato.

A ciò si aggiunga che il riferimento al contenuto dell’interrogatorio non risulta decisivo ai fini della ricostruzione del fatto.

7. Il settimo motivo, avente ad oggetto il nesso causale, presuppone una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dalla Corte di appello, che ha escluso, con una motivazione congrua e non manifestamente illogica, che il pedone abbia attraversato trasversalmente la strada, ritenendo, al contrario, che fosse in procinto di attraversare la carreggiata in linea retta, diretto allo studio del figlio, e sottolineando che è stato investito dal mezzo mentre era di spalle, stante il contatto tra il suo braccio sinistro e la ruota destra dell’auto-articolato.

La conclusione del giudice dell’impugnazione, fondata sulla considerazione che, seguendo la diversa impostazione della difesa dell’imputato, il pedone si sarebbe trovato di fronte il mezzo e l’avrebbe evitato, risulta ragionevole e non contraddetta da alcun contrario elemento fattuale, evidenziato nel ricorso.

Sul punto va, pertanto, ricordato che, ‘ai sensi dell’art. 190, comma 2, cod. strada, i pedoni, laddove non vi siano attraversamenti pedonali o siano collocati a distanza superiore a cento metri dal punto di attraversamento, possono attraversare la carreggiata purché in senso perpendicolare e con l’attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri, dando la precedenza ai conducenti, come precisato dal successivo comma 5.

Una volta escluso, in modo non illogico, l’attraversamento diagonale da parte di Marcuccì, la Corte di appello ha coerentemente negato ogni concorso di colpa del pedone, che, essendo stato attinto di spalle e, cioè, in una fase avanzata del transito, si trovava in una situazione incompatibile con l’obbligo di precedenza.

Ad ogni modo, l’attraversamento, da parte della vittima, in luogo privo di strisce pedonali, a prescindere dalle modalità con cui è avvenuto, non integra un comportamento abnorme, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento letale, stante l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità (Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017 ud.-dep. 16/02/2018, Rv. 272223 – 01), come appunto è avvenuto nel caso di specie, essendo la presenza dei pedoni, il loro transito per le strade dei centri abitati e l’attraversamento lontano dalle strisce pedonali una possibilità prevedibile.

A ciò si aggiunga che, nel caso di investimento di pedone, la sola circostanza che questi sia venuto meno all’obbligo di cedere la precedenza ai veicoli al di fuori degli attraversamenti pedonali, ben può costituire materia di concorso di colpa dell’investito, ma non interrompe il nesso eziologico tra la condotta del conducente del veicolo investitore e l’evento (Sez. 4, n. 1428 del 14/04/1970 ud.- dep. 01/10/1970, Rv. 115392 – 01).

In definitiva, neppure l’eventuale concorso di colpa del pedone sarebbe idoneo ad eliminare il nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento letale.

8. Per quanto concerne l’ottavo motivo, avente ad oggetto la colpa dell’imputato, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che l’obbligo di cui all’art. 154 cod. strada di assicurarsi di poter effettuare una manovra di svolta senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della loro posizione, distanza e direzione, includa l’obbligo di assicurarsi la piena visibilità dei luoghi interessati, finanche ruotando il capo e assumendo posizioni scomode (v. in proposito Sez. 4, n. 21774 del 21/04/2004 ud.- dep.07/05/2004, Rv. 229168 – 01, che addirittura include in tale obbligo quello di farsi coadiuvare da altre persona ove sia necessario per le condizioni di scarsa visibilità) e che la presenza e l’attraversamento dei pedoni in assenza di strisce pedonali sia una circostanza del tutto ordinaria e prevedibile, salvo che non ci si trovi in strade (ad esempio, autostrade) che, per la loro conformazione, ne escludano radicalmente la presenza.

9. Il nono motivo, con cui si è asserita erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 589, secondo comma, cod.pen. ed il vizio di motivazione sul punto, è manifestamente infondato, in quanto all’imputato è stata contestato un omicidio posto in essere nell’ambito della circolazione stradale, con la violazione delle relative regole, tra cui rientrano, peraltro, anche quelle di generica diligenza (v. già Sez. 4, n. 10374 del 08/07/1988 ud. – dep.24/10/1988, Rv. 179528 – 01, secondo cui, in tema di omicidio colposo o lesioni colpose collegati comunque alla circolazione stradale, deve sempre ritenersi la sussistenza delle aggravanti di cui agli artt. 589 secondo comma cod. pen. o 590 terzo comma cod. pen. salvo che, nel corso del giudizio si accerti che l’evento sia del tutto estraneo alla circolazione stradale o perché non avvenuto in occasione della stessa o perché cagionato da elementi assolutamente estranei alla medesima).

10. Per quanto concerne il decimo motivo, in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza della attenuanti generiche sull’aggravante, può osservarsi che, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, per il carattere globale del giudizio, il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa (Sez. 7, n. 11210 del 20/10/2017 cc. – dep. 13/03/2018, Rv. 272460 – 01).

Nel caso di specie, nell’atto di appello, sono state indicate – quali circostanze idonee a giustificare la prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante – la personalità dell’imputato, il suo comportamento collaborativo e le peculiarità del caso concreto.

Tali elementi risultano valutati alla luce del testo complessivo della sentenza, in cui si è riportato specificamente il contenuto della censura e ci si è soffermati sul comportamento dell’imputato e sulle peculiarità del caso concreto, ma anche sulla gravità del fatto, sicché non si ravvisano lacune, manifeste illogicità o contraddizioni nella motivazione (v. sul punto anche Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019 ud. – dep. 09/06/2020, Rv. 279181 – 02, secondo cui, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel confermare il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto).

Per quanto concerne, invece, la quantificazione della pena (8 mesi di reclusione), che si discosta lievemente dal minimo edittale di 6 mesi di reclusione, tenuto conto della riconosciuta equivalenza delle generiche con l’aggravante della circolazione stradale e della conseguente applicazione dell’art. 589, primo comma, cod. pen., secondo la disciplina all’epoca vigente, va ricordato che nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchè è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 ud. – dep. 08/07/2013, Rv. 256464 – 01).

11. In ordine all’undicesimo motivo, con cui si è dedotta la contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine all’entità della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, incongrua rispetto alla misura della sanzione penale applicata, va ribadito che nei casi di applicazione da parte del giudice della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, previsti dall’art. 222 cod. strada, la determinazione della durata di tale sospensione deve essere effettuata non in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. proc. pen., ma in base ai diversi parametri di cui all’art. 218, comma 2, cod. strada (e, cioè, alla gravità della violazione commessa, alla entità del danno apportato, nonché al pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare), sicché le motivazioni relative alla misura della sanzione penale e di quella amministrativa restano tra di loro autonome e non possono essere raffrontate ai fini di un’eventuale incoerenza o contraddittorietà intrinseca del provvedimento (Sez. 4, n. 55130 del 09/11/2017 cc.-dep. 11/12/2017, Rv. 271661 – 01).

Peraltro, la Corte di appello ha precisato, in modo congruo e corretto, che la durata di un anno della sospensione della patente è proporzionata alla estrema gravità del fatto ed è, comunque, inferiore alla misura media dell’entità di quattro anni, già prevista dall’art. 222 cod. strada, vigente all’epoca dei fatti.

12. Quanto al dedotto vizio di motivazione relativamente alla modifica delle sanzioni civili ed in particolare alla entità della provvisionale, è sufficiente ricordare che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2 n. 44859 del 17/10/2019 ud. – dep. 05/11/2019, Rv. 277773 – 02).

Tale orientamento risale ad una pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui «il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento» (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli Rv. 186722), che si consolidato ed è stato anche recentemente confermato (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 2 n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; Sez. 6 n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv.261536; non massimate: v. Sez. 6, n. 28858 del 03/04/2019, Paggi; Sez. 5, n. 19700 del 05/03/2019, Oleari; Sez. 1, n. 29845 del 19/06/2018, dep. 2019, Raeli).

13. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione, in solido con il responsabile civile, delle spese di lite sostenute dalle parti civili costituite, ‘che hanno presentato memorie, liquidate in euro 3.500,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, in solido con il responsabile civile Trygg Hansa, alla rifusione, a favore delle parti civili costituite Gianni Brancoli e Marta Brancoli, delle spese di questo giudizio, che liquida in euro 3.500,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.