REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere –
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Giovanni, nato a (OMISSIS) il 18/7/19xx;
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma in data 4/6/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 26/9/2019, il Magistrato di sorveglianza di Viterbo respinse il reclamo proposto nell’interesse di Giovanni (OMISSIS), sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., con il quale il detenuto lamentava l’illegittimità del diniego dell’Amministrazione penitenziaria alla sua richiesta di essere autorizzato a usare il servizio di posta elettronica per la corrispondenza con il difensore; diniego fondato sulla mancata previsione di tale possibilità da parte della circolare applicabile ai soggetti sottoposti al regime differenziato.
Secondo il primo Giudice, infatti, con il reclamo non era stato dedotto un pregiudizio grave e attuale all’esercizio di un diritto derivante dalla violazione di norme dell’ordinamento penitenziario e del suo regolamento di esecuzione, non essendovi alcuna previsione, da parte dell’art. 18 Ord. pen., che disciplinasse le comunicazioni con il difensore e dovendo ritenersi non irragionevole l’esclusione di quel mezzo per quella tipologia di detenuti.
1.1. Con ordinanza in data 4/6/2020, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettò il reclamo proposto personalmente dal detenuto avverso il primo provvedimento, ribadendo che la possibilità di comunicare con il difensore a mezzo della posta elettronica non poteva configurarsi come un diritto e non potendo la scelta dell’Amministrazione ritenersi ingiustificata o irragionevole rispetto alla disciplina dettata per i detenuti comuni, sottoposti a un regime differente.
2. Giovanni (OMISSIS), per mezzo del difensore di fiducia, avv. Valerio (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, deducendo, con un unico motivo di impugnazione la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 18 Ord. pen., in relazione agli artt. 3, 24 e 27 Cost., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, il ricorso premette che il regime differenziato è finalizzato a rescindere i collegamenti ancora attuali sia tra detenuti, sia tra gli stessi e i soggetti in libertà; che secondo la Consulta e la Corte di cassazione le regole del regime differenziato soggiacciono al limite della congruità della misura applicata rispetto allo scopo che essa persegue, nonché della funzione rieducativa della pena e del divieto di pene contrarie al senso d’umanità (cita Corte cost., n. 351/1996 e n. 97/2020).
Pertanto, ove le misure in questione non rispondano al fine per cui la legge consente siano adottate, esse diventerebbero «ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale».
Su tali basi, la difesa evidenzia che:
– le lettere trasmesse al difensore tramite posta elettronica potrebbero essere sottoposte alla ordinaria censura da parte dell’ufficio competente, rimanendo impregiudicate le esigenze di sicurezza;
– l’e-mail sarebbe l’unico strumento idoneo a consentire l’invio di comunicazioni istantanee al difensore;
– l’istituto potrebbe far pagare tale servizio al detenuto, come accade per il servizio postale.
Su tali premesse, il rigetto del reclamo sarebbe ingiustificato e lesivo del diritto di mantenere contatti con il difensore di fiducia, oltre che discriminatorio rispetto agli altri detenuti della Casa circondariale di Viterbo non sottoposti al regime ex art. 41-bis Ord. pen.
Tanto più che, secondo lo stesso Tribunale, «non sarebbe eccessivamente difficoltoso introdurre un meccanismo di controllo di tale strumento elettronico in assoluta sicurezza».
3. In data 24/11/2020 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. La prospettazione del ricorrente riconduce le modalità di comunicazione tra il detenuto e il proprio difensore nell’alveo del diritto di difesa.
Tuttavia, anche rispetto a tale fondamentale diritto, le relative modalità di esercizio, pur senza intaccarne il relativo svolgimento, possono essere concretamente disciplinate secondo scansioni, temporali e procedimentali, definite dall’Amministrazione penitenziaria, la quale può certamente adottare, attraverso previsioni di carattere generale (circolari e regolamento di istituto) assunte nell’esercizio della discrezionalità che le pertiene, disposizioni organizzative o comunque operative intese a definire, appunto, tempi e modi per la concreta attuazione del diritto.
In tali casi, come avviene in tutte le ipotesi in cui l’azione amministrativa incide su situazioni di diritto soggettivo, gli atti che contengono tali misure sono assoggettati a un controllo giurisdizionale; controllo che, nel caso di soggetti detenuti, spetta alla magistratura di sorveglianza (v. Corte cost., 7 maggio 2013, n. 135; Sez. U, n. 25079 del 26/2/2003, Gianni, in motivazione), alla stregua delle consuete categorie che sostanziano l’eventuale illegittimità degli atti amministrativi: competenza, violazione di legge, eccesso di potere.
3. Nel caso in esame, la scelta organizzativa dell’Amministrazione penitenziaria si è certamente esplicata in un ambito di legittima discrezionalità che le norme le consentono pienamente, al fine di contemperare le legittime istanze del detenuto con l’interesse generale sotteso al regime dell’art. 41-bis Ord. pen.
La Corte costituzionale nella sentenza n. 97/2020 ha chiarito che, in base all’art. 41-bis, comma 2, Ord. Pen., è possibile sospendere solo l’applicazione di regole e istituti dell’ordinamento penitenziario che risultino in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, sicché non possono essere disposte misure che, a causa del loro contenuto, non siano riconducibili a quelle concrete esigenze, poiché si tratterebbe di misure palesemente incongrue o inidonee rispetto alle finalità del provvedimento che assegna il detenuto al regime differenziato.
Se ciò accadesse, le misure in questione diventerebbero ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale.
4. Nel caso qui in esame, nondimeno, la mancata previsione, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, della possibilità di comunicare con il difensore a mezzo di posta elettronica appare immune da qualunque profilo di illogicità o irragionevolezza, essendo coerente con le particolari esigenze di controllo proprie del regime differenziato.
Né può ragionevolmente configurarsi alcuna violazione di norme primarie o secondarie, nemmeno sotto il profilo di una ipotetica disparità di trattamento riservata ai detenuti sottoposti al regime detentivo ordinario.
Invero, anche a prescindere dal fatto che la possibilità, per i detenuti comuni, di fare ricorso a tale strumento è stata solo prospettata dal ricorso, senza che sia stato specificato quale sia la fonte della disciplina in parola e senza che la circostanza di fatto possa dirsi dimostrata, va in ogni caso osservato che il riconoscimento della relativa facoltà sarebbe riconducibile, anche nella prospettiva segnalata dal ricorso, a una mera opportunità offerta dall’Amministrazione a beneficio dei detenuti cd. comuni (ossia assoggettati al regime ordinario), peraltro soltanto in alcuni istituti penitenziari, grazie a una non meglio specificata attività di talune cooperative sociali, ovviamente non suscettibili di alcun coinvolgimento in caso di detenuti ristretti in regime di art. 41-bis Ord. pen., rispetto ai quali sono massime le esigenze di controllo al fine di evitare pericolosi contatti con l’ambiente esterno.
Ne consegue, pertanto, la infondatezza della prospettata lesione alle facoltà difensive dell’odierno ricorrente.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 20/1/2021.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021.