REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –
Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Concetto nato a (OMISSIS) il 10/01/19xx;
avverso la sentenza del 18/09/2020 del TRIBUNALE di CATANIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Matilde BRANCACCIO.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catania, in data 18.9.2020, ha applicato a Concetto (OMISSIS), ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni due di reclusione ed euro 600 di multa per i reati di furto in abitazione e possesso di arnesi da scasso, reati entrambi aggravati.
2. Ricorre l’imputato personalmente, chiedendo che sia annullata la sentenza per violazione di legge per essere venuto meno il giudice al proprio dovere motivazionale, non escluso dalla peculiarità del rito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per ragioni che si pongono fuori dal perimetro di quelle consentite dal legislatore al fine di ricorrere per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, ragioni, peraltro, anche manifestamente infondate.
2. Come noto, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. peri. – disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
In tema di patteggiamento, pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. pen., atteso che l’art. 448, comma 2 -bis, citato limita l’impugnabilità della pronuncia, come poc’anzi precisato, alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 1032 del 7/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337; Sez. F, ord. n. 28742 del 25/8/2020, Messnaoui, Rv. 279761).
Orbene, il ricorrente non deduce alcuna delle ragioni di ricorso consentite, ma si limita a dolersi, molto genericamente e senza tener conto dei contenuti della pronuncia impugnata, della mancanza di motivazione sulla responsabilità del ricorrente.
Il giudice del patteggiamento, peraltro, ha spiegato sinteticamente la sussistenza di un quadro probatorio adeguato e idoneo ad escludere una pronuncia ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e tanto è sufficiente ai fini del sindacato positivo sulla legittimità della decisione dal punto di vista di eventuali, proposti vizi di motivazione.
Invero, la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento previste dall’art. 129 cod.proc. pen., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 39159 del 10/9/2019, Hussain Tasawar, Rv. 277102; Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, Rv. 256359; Sez. 4, n. 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011, dep. 2012, Rv. 252085).
Ebbene, il motivo è privo di specificità al riguardo, poiché non indica elementi favorevoli all’imputato acquisiti in atti e non considerati, o mal considerati, ai fini di un proscioglimento; esso, comunque, è manifestamente infondato, dal momento che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 c.p.p., e ritenendo la correttezza della proposta qualificazione giuridica dei fatti contestati.
Tali argomentazioni, come ha condivisibilmente sottolineato la citata sentenza n. 39159 del 2019, appaiono del tutto corrispondenti ai parametri motivazionali richiesti per le decisioni di patteggiamento, avuto riguardo alla rinunzia alla contestazione delle prove e della qualificazione giuridica dei fatti costituenti oggetto di imputazione, che è implicita nella domanda di applicazione pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., nonché tenuto conto della speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in tale tipologia peculiare di rito alternativo previsto dal legislatore (cfr., tra le altre, Sez. U, n. 5777 del 27/3/1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/9/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214637; cfr. Sez. 6, n. 56976 del 11/9/2017, Sejdaras, Rv. 271671).
La sentenza Di Benedetto ha ricostruito l’archetipo dei contenuti della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444, comma secondo, cod. proc. pen., secondo uno schema di delibazione ad un tempo positiva e negativa.
Positiva quanto all’accertamento:
a) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena;
b) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze;
c) della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.;
d) della concedibilità della sospensione condizionale della pena, solo qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio.
Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del reato.
Le delibazioni positive debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi.
In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
La successiva sentenza Serafino ha poi chiarito come l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma terzo, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, operi, sì, anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma che, tuttavia, in caso di pronuncia ex art. 444 cod. proc. pen., esso deve essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Tanto premesso, la giurisprudenza successiva ha affermato condivisibilmente che l’accordo sulla pena “esonera il giudice dall’obbligo di motivazione sui punti non controversi della decisione” (Sez. 2, 12/10/2005, Scafidi, Rv. 232844).
Il principio merita di essere riaffermato e da esso discende che anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti (così la citata sentenza Sez. 6, n. 56976 del 2017 in motivazione).
Esattamente questo è accaduto nel caso del provvedimento impugnato dal ricorrente, in cui il giudice ha descritto brevemente i fatti, ha condiviso la loro qualificazione giuridica, ha escluso la sussistenza di una delle condizioni di proscioglimento dettate dall’art. 129 cod. proc. pen. ed ha valutato la congruità della pena.
Tutto secondo i canoni contenutistici essenziali e necessari richiesti dalla giurisprudenza di legittimità.
Da qui l’inammissibilità del ricorso, premesso il seguente principio di diritto: l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma terzo, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti, ma in tal caso esso deve essere rapportato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento ed all’esistenza dell’atto negoziale sulla pena, sicchè anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve considerarsi sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti.
4. Alla declaratoria d’inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 4.000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021.